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Ecco a voi , signori , la nave ammiraglia di Cristoforo Colombo
Prima di parlare però della ”Santa Maria” , parliamo un pò delle condizioni di vita a bordo durante i lunghi viaggi di esplorazione che non erano all’epoca, facilmente prevedibili. Ad esempio, nella sua quarta spedizione, Colombo impiegò 21 giorni a percorrere le 3000 miglia dalla Gran Canaria alla Martinica, ma ciò avvenne in condizioni di tempo eccezionalmente favorevoli. Magellano, viaggiando verso occidente, attraversò il Pacifico in 98 giorni; in senso inverso il viaggio poteva durare fino a sei mesi. Sir Francis Drake stette in mare 54 giorni per andare dalle Isole di Capo Verde al Brasile, a 1600miglia di distanza. Tornando alle condizioni di vita a bordo, in quei periodi diremmo che erano semplicemente spaventose. Intanto come prima cosa, prima di lasciare il porto, il capitano di una nave dell’inizio del XVII secolo faceva portare a bordo una quantità di provviste sufficiente per nutrire 190 uomini per tre mesi, prima che i cibi avariati, lo scorbuto e la fame riscuotessero il loro triste pedaggio, Egli sperava di toccare terra prima che le provviste si esaurissero, in modo di potersi rifornire di leccornie locali, come frutti dell’albero del pane, patate dolci. La libbra equivaleva a 453,59 g, e il gallone a 4,54 l. Ecco un tipico elenco:
8000 libbre di carne salata di manzo
2800 libbre di carne salata di maiale
alcune lingue di manzo
600 libbre di baccalà ( merluzzo salato )
15000 gallette scure
5000 gallette bianche
30 staia di farina di avena ( lo staio, ( staia al plurale ) era un’antica capacità di misura per i cereali )
40 staia di piselli secchi
1,5 staia di semi di senape
1 barile di sale
100 libbre di sugna
1 barile di farina
11 barilotti di burro
1 barilotto ( più grande ) di aceto
10.500galloni di birra
3.500 galloni di acqua
9 barilotti di sidro
Le provviste del capitano erano invece le seguenti :
formaggio, pepe, uva passa, chiodi di garofano, zucchero, acquavite, zenzero, prugne, lardo, marmellata, mandorle, cinnamomo, vino, riso.
filmatidimare altervista.org
Comunque il cibo non solo scarseggiava ma andava anche a male spesso. La scarsezza di cibo è descritta molto bene nella cronaca della traversata del Pacifico di Magellano : ”Mangiavamo biscotto, non più biscotto, ma polvere de quello con vermi a pugnate, perchè essi avevano mangiato il buono: puzzava grandemente de orina de sorci, e bevevamo acqua gialla già putrefatta per molti giorni, e mangiavamo certe pelle de bove, che erano sopra l’antenna maggiore, acciò che l’antenna non rompesse la sartia,…e ancora assai volte segatura de asse”.
Chiaramente nei lunghi viaggi, erano quindi cosa comune le malattie. I marinai mangiavano pochissime verdure fresche ; cibi essiccati ed erano troppo accalcati in uno spazio angusto, preda di pulci e di pidocchi, spesso inzuppati per giorni interi. I giornali di bordo parlano di diversi tipi di febbre, e talvolta anche di peste; ma la malattia professionale dei marinai era lo scorbuto, causato da carenza di vitamina C. Sull’andamento e sintomi della malattia ci sono testimonianze raccapriccianti.
Scriveva un malato : ” Mi faceva marcire tutte le gengive e da esse veniva fuori sangue nero e putrido. Avevo le cosce e le gambe nere e gangrenose, ed ero costretto a trafiggermi ogni giorno le carni col coltello per fare uscire quel sangue nero e guasto. Col coltello mi tagliavo anche le gengive, che erano livide e gonfie da coprirmi i denti…”
Insomma fare il marinaio all’epoca non era certo il lavoro migliore sulla piazza. Eppure l’amore per la scoperta di nuove terre spingeva tutti all’avventura seppur con risvolti drammatici.
Tra l’800 e il 1500 la nave a vela raggiunse il suo pieno sviluppo. Quella che era stata una semplice imbarcazione scoperta, spinta da un’unica e pesante vela di cuoio o di lana, si trasformò in un mercantile a più alberi, col timone situato a poppa, spinto da parecchie vele fatte di tela di lino, più leggere e maneggevoli.
Inavvertitamente ho pubblicato l’articolo che continuerò a breve. Sorry.
Ecco il seguito amici. La stanchezza talvolta fa brutti scherzi.
Le dimensioni e le capacità di carico vennero più che raddoppiate; le incerate di tela che servivano a riparare le merci cedettero il posto ai ponti permanenti di legno. Il timone laterale, che il rollio della nave sollevava fuori dall’acqua, venne sostituito con un timone a poppa, che si poteva manovrare più facilmente e faceva girare più rapidamente la nave. L’unica pesante vela venne suddivisa in cinque o sei unità più piccole, più facili da manovrare. A poppa e a prua vennero innalzati dei ”castelli” dai quali i marinai potevano bersagliare i ponti delle navi nemiche durante le battaglie navali; essi costituivano anche una protezione contro i pirati e contro gli ammutinamenti dello stesso equipaggio. Risultato finale: un piccolo e solido vascello, capace di andare dovunque e di difendersi in qualunque circostanza.
Non si sa con esattezza quale fosse la struttura precisa della nave ammiraglia di Colombo, ma si sa che la ”Santa Maria” era una piccola caracca di circa 150 tonnellate di stazza. Era lunga 25 metri larga 8 e pescava circa due metri ( per pescaggio s’intende l’altezza della parte di un galleggiante che rimane sommersa in acqua ). La prua era arrotondata e i fianchi ampi, più affusolati verso poppa: questo tipo di scafo a forma di sgombro, divenne molto comune nel XVII secolo. Aveva tre alberi e cinque vele. La più grande di tutte era quella di maestra, che produceva quasi tutta la forza di spinta, mentre le altre avevano per lo più una funzione di equilibrio. Durante il secolo successivo le dimensioni della vela di maestra vennero ridotte nei confronti delle altre vele. L’albero di trinchetto divenne molto più alto e successivamente venne aggiunta un’altra vela sopra quella di trinchetto. Le corde erano di canapa e molto soggette ad allentarsi; di conseguenza il nostromo aveva un bel da fare ad andare continuamente in giro per la nave per tenderle di nuovo. Le altre corde servivano per manovrare le vele: per variare l’inclinazione e la direzione dei pennoni, per orientare i bordi inferiori delle vele; per raccoglierle attorno ai pennoni quando il capitano ordinava che fossero imbrogliate. Nei moderni velieri le vele vengono ammainate sul ponte, ma allora era necessario imbrogliarle a causa del grande peso dei pennoni che le sostenevano. Una volta issato in posizione il pennone non veniva mai più ammainato, salvo in caso di emergenza.( per pennone s’intende una robusta asta in legno, perpendicolare all’albero o fuso , destinata a sostenere le vele quadre di un veliero ). Tutto ciò faceva della Santa Maria una nave media assai buona per il suo tempo, ma Colombo non la pensava così. Egli la definì ”un veliero lento e inadatto per l’esplorazione”. Il suo profondo pescaggio non le permetteva di insinuarsi fra gli scogli e nelle acque basse delle isole, e il giorno di Natale del 1492, essa si arenò al largo di Hispaniola e fu lì abbandonata.
Da ” L’età delle esplorazioni ” di John Hale e dei redattori di Time – Life- Arnoldo Mondadori Editore
Bruno
Maggio 5, 2016 alle 7:22 am
Per avere una idea delle dimensioni e cercare di capire la vita che si svolgeva a bordo delle Caravelle e delle navi simili di quel tempo bisogno andare a Palos de La Fronteira, proprio il porto da cui partì Colombo, dove sono esposte copie in grandezza naturale delle sue tre navi. Prima ancora di chiedersi “ma come vivevano a bordo per 50 giorni”? ….viene da chiedersi…”ma come si azzardavano ad attraversare l’O
ceano con una nave su cui non attraverserei nemmeno lo Stretto di Messina?”
tachimio
Maggio 5, 2016 alle 7:29 am
Hai ragione caro Bruno. Forse solo lo spirito dell’avventura o la voglia di scoprire nuove terre, chissà. Sono contenta del tuo passaggio. Grazie del commento. Isabella
tachimio
Maggio 5, 2016 alle 7:30 am
PS se ti va di rileggere il post ho aggiunto quello che mancava, Buona giornata.
silviatico
Maggio 5, 2016 alle 1:21 PM
Oltre che lo spirito dell’avventura, credo che fosse un ottimo propellente la brama di ricchezza: quando si sparsero dicerie sulla presenza di una città tutta d’oro nel cuore dell’Amazzonia, il mitico eldorado, in migliaia ci si cacciarono dentro la selva micidiale, per cercare di scoprirla ed impadronirsene. E poi c’è da considerare le condizioni di vita della popolazione di allora: non poi così differenti da quelle degli stessi marinai, date le frequenti guerre, saccheggi, pestilenze e condizioni igieniche oltre che di povertà dei vari insediamenti umani…
Bellissimo post…
Un saluto ed un fiore
tachimio
Maggio 5, 2016 alle 4:48 PM
Mio caro fa sempre bene riflettere. Ho riflettuto e sono giunta ad una conclusione. E cioè che dividerei la faccenda in tre parti:
Primo I marinai che si arruolavano lo facevano sicuramente per campare, sperando in qualcosa di meglio della propria vita a terra. Cosa che poi in realtà non si avverava per le cose anche dette sul post: malattie, cattiva nutrizione con cibo scarso e putrido.
Secondo: i capitani che avessero scoperto l’oro lo avrebbero di certo dovuto dare alla Corona, perchè erano i governi a sovvenzionare le spedizioni e erano i governi a non avere più voglia di scoprire nuovi territori una volta trovati oro, spezie, argento.
Terzo : forse personaggi come Colombo, Vasco de Gama, Magellano erano gli unici ad essere interessati veramente a cercare e trovare nuove terre, proprio come fare una ricerca in geografia. Comunque penso che un grazie sia loro dovuto per tutto quello che hanno dovuto all’epoca affrontare. Grazie per essere tornato da me. Ho preso tra le mani il fiore e l’ho odorato a lungo.Aveva un buon profumo.Ti abbraccio caro silviatico. Isabella
newwhitebear
Maggio 5, 2016 alle 8:07 PM
La caracca era una nave solida, anche se di dimensioni modeste. Reggeva bene le tempeste ed era sufficientemente veloce.
Certamente le condizioni di vita non erano brillanti, anzi tutt’altro. Molti marinai si imbarcavano non spinti dallo spirito di avventura ma dalla necessità – molti erano inseguiti dalla legge -. Solo chi comandava lo faceva per scoprire nuovi mondi ma in particolare fare un buon bottino.
Bacino serale
Un grande abbraccio
Gian Paolo
tachimio
Maggio 6, 2016 alle 1:44 PM
Giusto caro Gian Paolo.Un abbraccio con sorriso. Isabella
newwhitebear
Maggio 6, 2016 alle 6:54 PM
dolce serata con bacino serale
Gian Paolo
tachimio
Maggio 7, 2016 alle 12:48 PM
Eccomi qui mio caro Gian Paolo.Bacino pomeridiano con sorriso. Buon sabato. Isabella
newwhitebear
Maggio 7, 2016 alle 3:12 PM
pomeriggio di sole caldo, quasi estivo.
Un sorriso
Gian Paolo
tachimio
Maggio 8, 2016 alle 8:03 PM
Qui oggi coperto , molto variabile con momenti di caldo pesante. Ti abbraccio. Isabella
newwhitebear
Maggio 8, 2016 alle 8:25 PM
Caldo e sereno a parte la serata.
Un abbraccio
Gian Paolo
Bruno
Maggio 6, 2016 alle 6:46 am
Questo articolo si aggancia bene al mio “Castilla y Leòn” pubblicato circa un mese fa in quanto è proprio in questa ragione che tutto è nato.
E io ho studiato a fondo la storia della Spagna e delle sue colonie e ho visitato, più volte, sia la stessa Spagna che il centro America per una migliore visione di quelle che, a seguito di questo evento, è stata definita “Età Moderna”.
tachimio
Maggio 6, 2016 alle 1:41 PM
Verrò con piacere a leggerti. Grazie
vikibaum
Maggio 8, 2016 alle 6:58 am
quanto mi sei piaciuta isabella..lo scorbuto, in carenza di vitamina C, fu , ed è ancora in molti paese, una piaga terrificante. Tutto molto interessante, che dieta seguivano , sopravvivevano solo i più forti. Buona giornata, mia cara
tachimio
Maggio 8, 2016 alle 7:43 PM
Sono felice mia cara tu abbia letto il post. Purtroppo all’epoca non si viveva bene. Ed è vero, anche oggi nonostante si sia nel 2016, era moderna, supertecnologica, si muore di fame, e di malattie non del tutto debellate. Un abbraccio. Isabella
vikibaum
Maggio 8, 2016 alle 7:58 PM
altrettanto, ricambio
Andrea
Maggio 8, 2016 alle 12:52 PM
Bellissima descrizione, mi sembrava di rileggere Melville… Credo che quegli anni siano stati il massimo per l’avventura: un mondo ignoto le cui porte improvvisamente si spalancano per i temerari che hanno il coraggio, la forza e la disperazione di partire…
tachimio
Maggio 8, 2016 alle 7:28 PM
Giustissimo caro Andrea, condivido tutto, anche Melville. Ti consiglio per seguire il genere, di leggere ”Il terzo ufficiale”di Giuseppe Conte. So che lo apprezzerai. Un abbraccio. Isabella
Andrea
Maggio 8, 2016 alle 10:02 PM
Vado a informarmi…
rinaldoambrosia
luglio 30, 2016 alle 10:06 PM
Cara Isabella, ho letto con piacere il tuo articolo sulla vita di mare. Decisamente la vita a bordo era durissima…
un caro saluto. 🙂
r.
tachimio
luglio 31, 2016 alle 1:05 PM
Grazie per essere venuto a curiosare. Grazie di cuore caro Rinaldo. La vita a bordo non era molto divertente…Un abbraccio domenicale con simpatia. Isabella