Piccola, snella, lineamenti marcati e irregolari, brutti o belli a seconda delle espressioni e della luce, grandi occhi scuri, capelli ricciuti, frangetta sulla fronte alta, voce morbida e bassa, molto duttile, mani bellissime, estremamente autoritaria in scena, vera primadonna- capocomico, padrona dei personaggi drammatici, sempre in cerca di un Pigmalione, Eleonora Duse nasce a Vigevano nel 1858 come figlia d’arte da una di quelle famiglie girovaghe, che fanno del palcoscenico la loro eterna dimora. E’ così che sin da bambina prende confidenza con ciò che rappresenterà per tutta la sua vita, la cosa più importante: il teatro. Nel 1862, a 4 anni, interpreta Cosetta in una versione teatrale de ”I miserabili”. E nel 1878 alcune sue rappresentazioni come la ”Teresa Raquin ” di Emile Zola la faranno conoscere e apprezzare da pubblico e critica. Non esistendo negli anni ottanta una drammaturgia italiana la Duse farà scelte ben precise di repertorio che caratterizzeranno il suo percorso artistico portandola ad una notorietà impensata. I testi francesi di Victorien Sardou e Alessandro Dumas figlio sono i suoi prediletti. E il suo teatro sarà di denuncia di quei valori borghesi fatti di ipocrisia e apparenze.
Dopo il matrimonio con Teobaldo Checchi, attore come lei, la Duse si accompagnerà al più noto Flavio Andò, primo dei suoi spettacolari amori. Seguirà il pittore- scrittore esotico Alessandro Wolkof- Murozof, poi Adolfo De Bosis, Marco Praga, quindi il tranquillo e serio Arrigo Boito, capo riconosciuto della scapigliatura lombarda, che riesce a placare la farraginosa, assetata anima dell’attrice.
Infine, il fatale incontro con Gabriele D’Annunzio.
Saranno i coniugi Scarfoglio- Serao a farli incontrare.
La Duse, maggiore di tre anni, è in quel momento, la ” divina” del teatro nazionale, lui è il poeta per antonomasia, arrivatissimo, viziatissimo, stravagante ( non è forse lui a galoppare nudo per la campagna romana su di un cavallo bianco? )
Una grande passione , la loro, teatral- letteraria- mondana che durerà otto anni, a tutto vantaggio di Gabriele, che tra le tante cose riesce a trasmettere ad Eleonora anche il suo gusto necrofilo nel rapporto amoroso. Il loro rifugio sarà presso Firenze, alla Capponcina, tra l’orribile kitch in cui tutti e due vivono : lui, tra volute d’incenso e teschi fasulli ; lei, tra contorcimenti di mano e furiosi scoppi d’ira per le continue infedeltà del Vate.
Come spesso accade in rapporti d’amore complicati, uno dei due perde ed in questo caso è la Duse a soccombere mentre lui ne trae vantaggio anche a livello economico. E’ lei infatti che contribuisce anche generosamente, al mantenimento di quel lusso sfrenato e assurdo ( i cavalli di lui devono riposare su tappeti Bukara e mangiare ad esempio dentro ciotole di porcellana antica ).
Lei porta anche al successo i lavori teatrali dell’Immaginifico, procurandogli inusitati diritti d’autore. Tutto fa per lui.
Ma arriva la fine di tutto, e quando si lasciano Eleonora ha quarantacinque anni. E’ sfiorita, malata, povera, alle soglie di un disfacimento che lui descrive con impietoso, pessimo gusto, e si chiude allora in un totale e malinconico silenzio.
Tornerà alle scene, circa dieci anni dopo, spinta dal bisogno, braccata dai creditori. L’ex amante non muove un dito per aiutarla, offeso anzi che lei non reciti solo le sue opere, che non gli garantisca abbastanza diritti d’autore.
Il pubblico, curioso e pettegolo come sempre, le tributa nuovo successo, i teatri di tutto il mondo applaudono di nuovo la ”divina”.
Dopo aver chiesto aiuto invano a Mussolini per la creazione di un teatro stabile italiano, Eleonora riparte in tourneè. E’ davvero un’emigrante, come agli inizi. Rifiuta l’aiuto di pochi amici sinceri, quali Praga, Boito, che vede solo come carità.
Malata, stanca, delusa, non è ormai che l’ombra di se stessa, sostenuta solo dalla straordinaria presenza scenica.
Alla fine, il gelido clima di Pittsburg la stronca.
Il suo funerale attraversa l’America, l’Oceano e l’Italia, accompagnato da pietà e rimpianti, ultimo omaggio alla superdonna distrutta dal superuomo, costruiti, entrambi, sugli aspetti più vistosi e morbosi del loro tempo.
Le lettere, inviate da d’Annunzio alla Duse, vengono bruciate per volontà di lei, cosa che il Vate ritiene un’offesa al suo genio. Io, con tutti voi, credo più al gesto nobile di un’amante ferita.
Passate da Barbara ( tuttoilmondoateatro.wordpress.com) potrete leggere stralci di queste lettere .Un carteggio che mette i brividi.
Fonti : Parlami d’amore Mariù- Vita, costume e storia d’Italia tra gli anni venti e quaranta
a cura di Roberto Gervaso
Wikipedia
Sono voce
anonima
persa nell’aria,
sono voce
che nessuno ascolta.
Ma
sono voce,
quasi un fruscio
appena percettibile,
che ti sa
sussurrare piano,
lontano da tutti,
” ti amo”.
Sono voce
che cambia
sussurrando,
che si fa dolce,
impalpabile
soffio,
capace
di raggiungerti,
ovunque tu sia,
ed essere
alfine
ascoltata
solo
da te!
Isabella Scotti marzo 2015
testo : copyright legge 22 aprile 1941 n° 633
Ed ora cari amici ecco a voi la vera, l’unica , insostituibile,
THE VOICE : FRANK SINATRA
In effetti ho avuto tanta indecisione su cosa proporre, vista la produzione così ricca di splendide musiche, da ”Stranger in the night”, ”My way”, ”New York, New York” per ricordare le più note.
Poi ho deciso di proporvi questo pezzo dove Frank canta accompagnato non tanto da un altro cantante quanto da un grande danzatore che amo molto ( assieme anche all’altro grande, elegante , inimitabile Fred Astaire ), il simpatico GENE KELLY. Spero vi piaccia come è piaciuto a me.
Il post lo dedico a Carla http://ladimoradelpensiero.wordpress.com//
Ho incontrato
per caso,
un giorno,
”Poesia”.
Con semplicità
e umiltà
si è avvicinata a me,
senza orpelli e fronzoli,
muta,
e a lei allora,
che così ascoltava,
mi son rivolta.
Nuda,
spoglia d’ogni pudore,
ho cominciato
a offrirle
i miei pensieri,
anche i più sciocchi,
i più
puerili.
Ma mai
ho ricevuto
rimproveri,
perchè
”Poesia”
è discreta,
ascolta in silenzio
tutto quello
che dico
a voce alta
e poi scrivo.
Così
di colpo,
ho capito ,
dopo tanto tempo
che la cercavo,
di averla,
finalmente
trovata:
è lei
quel ”tesoro” d’amica
che mi mancava.
Isabella Scotti novembre 2014
testo : copyright legge 22 aprile 1941 n° 633
Questa la mia umile voce, e ora lascio il posto alla sua , a quella di un grande senza tempo…
Accadde in quell’età…La poesia
venne a cercarmi. Non so da dove
sia uscita, da inverno o fiume.
Non so come nè quando,
no, non erano voci, non erano
parole nè silenzio,
ma da una strada mi chiamava,
dai rami della notte,
bruscamente fra gli altri,
tra violente fiamme
o ritornando solo,
era lì senza volto,
e mi toccava.
Non sapevo che dire, la mia bocca
non sapeva nominare,
i miei occhi erano ciechi,
e qualcosa batteva nel mio cuore,
febbre o ali perdute,
e mi feci da solo,
decifrando
quella bruciatura,
e scrissi la prima riga incerta,
vaga, senza corpo, pura
sciocchezza,
pura saggezza,
di chi non sa nulla,
e vidi all’improvviso
il cielo
sgranato
e aperto,
pianeti,
piantagioni palpitanti,
ombra ferita,
crivellata da frecce, fuoco e fiori,
la notte travolgente,
l’universo.
Ed io,
minimo essere,
ebbro del grande vuoto
costellato,
a somiglianza,
a immagine del mistero,
mi sentii parte pura
dell’abisso,
ruotai con le stelle,
il mio cuore si sparpagliò nel vento.
Pablo Neruda
Come vi avevo promesso in un altro post, ecco la frase, che ho messo sul titolo, ripresa dalla canzone di Vecchioni ”Sogna, ragazzo sogna”. Vi raccontavo in quel post, che ad un incontro di poesia ci avevano suggerito di scrivere qualcosa lasciandosi guidare da frasi, parole, di poesie o canzoni, come in questo caso, che ci avevano colpito e ” ricamare” intorno a quello da noi scelto, qualcosa. Ecco, cosa a me, ha suggerito questa frase.
Ti ho lasciato un foglio
sulla scrivania.
Potrai riempirlo di parole,
quelle che vorrai.
Sarai libero di volare
e il tuo pensiero
vivrà per sempre.
Sarà una sensazione nuova
e meravigliosa.
Vedrai la tua mano
prendere una penna
e quasi scivolare
su quel foglio.
Ogni parola
sarà parte di te.
Prova a volare
lascia un segno,
che anche gli altri
possano ascoltare la tua voce.
Isabella Scotti marzo 2014
testo : copyright legge 22 aprile 1941 n° 633
Non ci sono pretese particolari o pensieri costruiti, solo d’impeto ciò che è venuto dal cuore.
Ricorderò i tuoi sorrisi.
Quando mano nella mano
andavamo incontro al sole.
Quando ci guardavamo negli occhi
e vedevamo solo noi.
Nessuna tenebra offuscò il nostro amore
e liberi ci perdevamo
in un mondo di sogni.
Ricorderò i tuoi occhi.
Luminosi e brillanti.
E ancorà udrò la tua voce,
limpida, dolce
che mi chiamerà
ancora
e per sempre
”Amore” .
Isabella Scotti
Dedicato a chi ha perso un grande amore.
Strano
come l’usignolo
ancora taccia.
Mi addolora
non sentire il suo canto.
Sia fuggito lontano?
O triste,
non abbia voglia
di farsi sentire?
Chissà,
se malinconico,
preferisce
nascondersi al mondo.
Oh,
dolce voce,
torna,
e di nuovo
fammi compagnia.
Riprenderò vita
quando ti sentirò cantare…
Isabella Scotti
Dedicato a chi, come me , si diletta del canto degli uccelli.