” Avevo l’abitudine di correre
dietro la guerra come un alcolizzato
corre dietro una lattina di birra”. Don McCullin
Il suo viso è grave, come marcato dall’impronta di un’esperienza insolita, fuori dal comune. A 78 anni, Don McCullin ha passato una buona parte della sua vita a renderci partecipi attraverso le sue foto, dei conflitti maggiori della seconda metà del XX secolo. La sua dignità ispira rispetto, la sua forza magnetica ammirazione da mettere in soggezione il suo interlocutore. Eppure possiede un tale charme, una certa flemma inglese, una cortesia e gentilezza che creano da subito un caloroso contatto . La sua vita è degna di un romanzo d’avventura. Da Cipro al Vietnam passando per Cuba e la Cambogia, senza dimenticare il Salvador l’Africa o l’Irlanda: un pioniere del fotogiornalismo. Egli va cercando, mettendo a rischio la propria vita, l’informazione là dove si trova: sul terreno. Le sue foto hanno permesso d’essere informati anche a distanza di migliaia di chilometri su ciò che avveniva in quei luoghi. Immagini sconvolgenti che colpiscono per la veridicità l’opinione pubblica rivelando allo stesso tempo l’assurdità e violenza della guerra in Vietnam. La sua carriera non si deve altro che alla sorte. Ad un gesto insignificante, che oggi suona come un atto del destino. Di ritorno nel suo quartiere natale di Finsbury Park, uno dei quartieri più poveri di Londra, e dopo aver terminato il suo servizio militare nella Royal Air Force, Don McCullin rivende il suo apparecchio fotografico acquistato in Kenya, dove aveva lavorato come laboratorista in una camera oscura. Sua madre lo recupera subito per lo stesso prezzo. 5 sterline: una magra somma alla quale in conclusione è legata tutta la carriera di Don McCullin, dal momento che sarà proprio con quell’apparecchio che fotograferà i Guvnors, una gang del suo quartiere implicata nella morte di un ufficiale di polizia. Non ha che 23 anni, nel 1958, quando la sua foto è pubblicata sull’Observer, marcando così l’inizio della sua carriera. Dai quartieri miserabili di Londra viene così catapultato nel mondo esaltante del giornalismo. Dislessico, il giovane McCullin, che a 14 anni, ha lasciato la scuola dopo la morte del padre per lavorare in un vagone- ristorante, osserva e si integra rapidamente in questo nuovo ambiente sociale dove frequenta gente colta e istruita. Parte per Berlino nel 1961, poi per Cipro nel 1963 per testimoniare la guerra civile. Attraverso il suo comportamento sul terreno, come per la qualità delle sue foto McCullin si fa una nuova volta notare. Il suo innato sapersi comportare, il suo fiuto, il suo istinto: egli sa quando partire, quando restare , come aspettare. Il suo coinvolgimento, il suo talento, la sua capacità ad uscire dalle situazioni più inestricabili, e soprattutto il suo occhio capace di cogliere i dettagli più importanti, dando alle sue foto un’impronta del tutto particolare, farà di lui un fotografo al di sopra di tanti altri. Nei reportage McCullin non conta su nessuno, e rifiuta d’accompagnare le truppe presenti sulle zone di guerra. ” I canali ufficiali vi allontanano dalla verità. Essi vogliono giustamente farvi fotografare ciò che fa loro comodo.(…) In realtà non serve a niente rifare il mondo dentro la propria testa. Sul terreno, bisogna avere i nervi abbastanza saldi, per attendere. E’ una questione di disciplina.” E questo rigore, questa disciplina si ritrova in tutto il suo lavoro. Le sue foto non sono mai una messa in scena. Mai ritoccate, mai inquadrate di nuovo, tranne una volta, in Vietnam, dove dispose accanto alle spoglie di un soldato i suoi effetti personali per farne come il suo testamento. Dal 1966 al 1984 lavorò con il Sunday Times Magazine. Ed è con quest’ultima testata che realizzerà la maggior parte dei suoi servizi fotografici sul Biafra, Bangladesh, la guerra civile libanese o ancora l’invasione russa in Afghanistan. I suoi rimpianti? Non aver avuto l’autorizzazione dal governo britannico per poter lavorare a servizi fotografici sulla guerra delle Falkland e non aver potuto andare in Etiopia nel 1984 durante la grande carestia. Lucido ed integro durante gli anni più importanti della sua carriera, oggi ha una visione differente sulla sua professione. ”Oggi il mondo della fotografia è stato messo in discussione dal digitale. Ci sono sempre dei fotografi mentre il futuro della stampa non è stato mai così incerto. E tutti i fotografi pensano che per essere riconosciuti al meglio, debbano andare in zone di guerra.”Così dice McCullin. A scapito di altri soggetti? ”La povertà, la disoccupazione, sono guerre sociali, che si svolgono attorno a noi, perchè non cominciare da lì?” Ma egli riconosce che la guerra procura una scossa tale di adrenalina che può rapidamente rendere drogati . In Cambogia la sua macchina fotografica ferma di colpo una pallottola d’ AK- 47; in Salvador, il fotografo cade da un tetto, si rompe un braccio, l’anca e qualche costola; in Uganda è fatto prigioniero dagli sgherri di Amin Dada e picchiato e buttato in prigione. McCullin non ha mai cessato di amare la fotografia anche se per essa ha rischiato più volte la vita. Senza di lei si definisce ” un’anima persa”. Dopo parecchi anni, Don McCullin ha cessato di occuparsi di conflitti per dedicarsi invece ad un altro stile fotografico, riprendendo immagini di paesaggio e immortalando la sua terra, l’Inghilterra, soprattutto il Somerset. E se recentemente si è recato qualche giorno in Siria è stato per testimoniare, una volta di più, gli orrori che vi si attuano . McCullin si dice comunque infastidito dal fatto di essere riuscito nella vita grazie alla miseria umana. ” Talvolta mi sentivo come un avvoltoio. A forza di fotografare tragedie e corrervi dietro, si finisce per farne parte. Ho distrutto il mio corpo con questo mestiere, e anche il mio spirito. Ma è il prezzo che si deve pagare andando in zone così pericolose.” Fin qui l’articolo. Ed ecco cosa dice del suo fotografare paesaggi un suo amico, Robert Pledge, antropologo, studioso di lingue e culture africane: ”Questi paesaggi, sono un autoritratto, sono il mondo interiore di Don, la quiete dopo la tempesta. E’ Shakespeare . E lui è un personaggio shakespeariano, è Re Lear”.
Quando ho letto il post dell’amica Fulvialuna ( http://tuttolandia.wordpress.com/ ) sul libro di Calabresi che parlava di vari fotografi, tra i quali Don McCullin, mi sono ricordata di quest’articolo che avevo letto in Francia l’estate scorsa e ho pensato di riproporlo qui per tutti voi. Se volete vedere qualche sua foto basta andare in internet cliccando : foto McCullin
fonte: da un articolo di Vincent Jolly Le Figaro – Magazine settembre 2013
Da me tradotto al meglio delle mie possibilità