Visto che tra un pò è Pasqua, e qualche dolce sicuramente imbandirà le nostre tavole, parliamo un pò di pasticceria, un’arte antica che esprime una capacità manuale accompagnata ad una creatività e abilità nel mescolare ingredienti di ogni sorta che nei secoli si è sempre più specializzata dando origine a prelibatezze per tutti i gusti.
Risalgono all’antico Egitto le rappresentazioni dei primissimi laboratori di pasticceria, attraverso dipinti che raffigurano la lavorazione di pani dolci a forma di animali modellati a mano o in stampi. Anche però se i veri precursori dell’arte pasticcera furono i Greci, che fecero largo uso del miele introducendo nei dolci anche la frutta ( uva, noci, mandorle).
I precursori invece della canditura di fiori, frutta, semi furono gli Arabi che erano soliti servire agrumi e rose candite nei loro banchetti. I canditi di fiori rimasero in largo uso fino a tutto l’Ottocento, mentre i canditi di frutta sono ancora oggi utilizzati nei dolci come la cassata, la colomba, il panforte e il panettone.
Durante l’Impero Romano, al mestiere del panettiere si affiancò quello più raffinato del pasticcere, prima svolto unicamente dalle donne poi anche dagli uomini, tanto che si rese necessaria l’istituzione di una ”lega dei pasticceri” una sorta di moderna associazione di categoria. In epoca romana comparvero anche i dolci più elaborati, primi ”esperimenti” di un’arte che svilupperà la pasta sfoglia, i bignè, i budini…
Raffinatezza e maestria erano le doti attribuite ai pasticceri francesi nel Quattrocento, secolo in cui si formò la Confraternita di Sant’Onorato, in onore del Santo rappresentato con la pala da fornaio su cui sono posati tre pani.
Manuali e regole scritte di pasticceria risalgono all’età moderna. Celeberrimo il ”Libro de Arte Coquinaria” di Maestro Martino, dove tra l’altro sono trattati i tempi di cottura, per i quali si consiglia di non avere fretta e di regolarsi, per la perfetta riuscita di dolci e pietanze, su preghiere recitate a memoria.
Tra il XVIII e il XIX secolo la pasticceria tocca vertici altissimi e in Europa l’abilità dei ”maitres patissiers” come Antoine Careme e Jules Gouffè è riconosciuta come una vera e propria forma d’arte.
Oggi nessuno di noi penso davanti una bella pasticceria potrà passare oltre…Penso con golosità adesso anche a tutte le belle preparazioni pasquali di questi giorni. E allora siete pronti? Assaggiamo qualcosa? No, miei cari, tratteniamoci aspettando la Domenica di Pasqua. Avremo a nostra disposizione colombe, pastiera, uova di cioccolato e tutto ciò che decideremo di mettere in tavola…Aurevoir
Fonte: Da ”Buongusto – ogni sapore ha un seguito” Fratelli Carli
”Bevete solo i vini migliori. Bevete vini forti. Evitate
nel modo più assoluto le acquette e gli svaporati.
Evitate la feccia.”
”Trattato sul buon uso del vino” di Francois Rabelais (1494- 1553)”.
Ambros Bierce (1842-1914) scrittore, giornalista statunitense, parlava dell’astemio definendolo un” debole che cede alla tentazione di negarsi un piacere.” E un vecchio detto dice ”Giornata senza vino , giornata senza sole”. Tutto ciò per introdurre l’argomento che dall’ultimo post avevo promesso di trattare : il vino, ma quello francese. Eravamo rimasti in Provenza, per la precisione nel Vaucluse e proprio qui dalle rive del Rodano ai pendii del Luberon la lunga storia del vino si esprime attraverso i vari linguaggi del gusto e del colore. E la si scopre magicamente immergendosi in itinerari dove la vita genuina dei vignaioli rapisce e contagia. E il vino in queste zone è prima di tutto storia e poi piacere. Per capire allora l’importanza che assume questa bevanda in terra francese cominciamo con un pò di storia.
La valle del Rodano nata vari secoli fa dallo scontro tra il Massiccio centrale e le Alpi, è attraversata dal fiume omonimo che nasce nelle Alpi svizzere e sfocia nel Mediterraneo in terra francese nei pressi di Marsiglia. La regione si divide in due parti la valle settentrionale e quella meridionale. Nel nord già nel I sec. a. C il vigneto faceva concorrenza a quelli italiani. E’ di questo periodo la costruzione della città gallo-romana di Molard, la più importante cantina di vinificazione romana, fino ad oggi identificata nei pressi del Rodano a Donzère. In questo periodo si sviluppano anche le botteghe di anfore destinate al trasporto del vino e alle salse di pesce. Le scoperte archeologiche di terreni adatti alla coltivazione di vigneti, accompagnate a studi storici, provano che il vigneto ” rodaniano ” è di gran lunga anteriore ad altri e che i Romani nelle loro risalite lungo il fiume, furono capaci di dare ad esso impulso commerciale. La valle settentrionale produce vini più rossi che bianchi con una differenza basilare rispetto a quella meridionale, e cioè l’utilizzo di un solo tipo d’ uva . Nel sud prevale invece l’assemblaggio di più uve come nel caso di Chateauneuf- du-Pape dove addirittura possono essere utilizzate ben tredici tipi di uve diverse, sia rosse che bianche. Delle due aree la più celebre è quella settentrionale poichè qui si trovano due delle più grandi denominazioni dell’intera regione : Cote- Rotie e Hermitage. Proprio i vini di tale denominazione hanno consentito una maggiore riconoscibilità ai vini della valle del Rodano così da competere con quelli più blasonati della Borgogna e del Bordeaux. Quando nel medioevo i papi s’installarono ad Avignone apprezzando molto il buon vino e la zona, incoraggiarono la piantagione dei vigneti ed ecco quindi lo sviluppo sempre più ricco di questa bevanda fino ai giorni nostri . Lungo la valle ” le strade dei vini” sono indicate attraverso cartelli segnaletici : itinerario azzurro, indaco, seppia, malva, turchese e per ogni circuito sono proposte cantine qualificate da una a tre foglie di vite secondo la qualità dell’accoglienza e il livello di prestazioni offerte. Quest’anno con i nostri amici ci siamo recati in una di queste cantine, ubicata al centro di un’ area coltivata , dove un simpatico vignaiolo con barba e cappello in calzoni corti, ci ha accolto e accompagnati all’interno per offrirci dell’ottimo vino da degustazione. Sotto gli alberi della fattoria, in un grande capannone un altrettanto grande trattore per lavorare la vigna ed altri grossi utensili. La voglia di rimanere lì, lontano da tutto e tutti per rimanere immersi in una vita totalmente diversa da quella alla quale siamo abituati, dirò che era tanta. Anche perchè il vignaiolo sopra la cantina aveva la sua abitazione, pensate un pò che bellezza, lavoro e riposo insieme, una manna. Comunque per tornare al vino, beviamolo sì ma con moderazione, anche poco ma buono.
fonti varie , e alla corte di bacco.com