Cosa vedi
in me
uomo,
di così sbagliato,
tanto
da usarmi
violenza?
Cosa c’è in me
che non sopporti,
tanto da colpirmi
ripetutamente,
perché tutto
questo odio
nei miei confronti?
Non riesco a comprendere.
Perché io credo
nel nostro stare
insieme.
Credo sia
la cosa più bella
amarsi,
volersi bene.
Vorrei che
le tue mani
non mi strappassero
i vestiti di dosso,
non mi schiaffeggiassero,
non mi riempissero
la faccia
di pugni, non mi buttassero l’ acido sul volto,
non si armassero
di coltello,
non mi si stringessero
attorno al collo.
Vorrei…
o sì
come vorrei
essere trattata da te
con dignità, con rispetto.
Io donna, tu uomo,
nessun padrone,
ciascuno
con la propria individualità,
col sapere sopportare,
perdonare e amare.
Questa è l’unica
cosa che vorrei, nessuna violenza.
Io donna, tu uomo,
insieme con amore
Isabella Scotti novembre 2022
testo : copyright legge 22 aprile 1941 n° 633
Amici carissimi abbiamo tutti il covid. Ancora positivi ma martedi spero che saremo negativi. Sono ormai quasi 15 giorni . Fino a giovedi eravamo ancora positivi. Speriamo bene dai. Un abbraccio a tutti.
La vostra Isabella
artgeist.it
Brilla la luna tra il vento d’ autunno,
nel cielo risplendendo come pena lungamente sofferta.
Ma non sarà il poeta a rivelare
le ragioni segrete, il segno indecifrabile
di un cielo liquido di ardente fuoco
che annegherebbe le anime,
se sapessero il loro destino sulla terra.
La luna quasi mano
divide ingiustamente, come bellezza usa,
i suoi doni sul mondo.
Guardo pallidi volti.
Guardo fattezze amate.
Non sarò io a baciare il dolore che nei volti si mostra.
Solo la luna può chiudere, baciando,
quelle palpebre dolci che la vita ha stancate.
Quelle labbra lucenti, labbra di luna pallida,
labbra sorelle per i tristi uomini,
sono un segno d’ amore nella vita deserta,
sono il concavo spazio dove l’ uomo respira
e vola sulla terra ciecamente girando.
Il segno dell’ amore nei volti amati a volte
è solo la bianchezza brillante,
la dischiusa bianchezza di quei denti che ridono.
Allora si che in alto la luna si fa pallida,
si estinguono le stelle
e c’è un’ eco remota, uno splendore ad oriente,
vago suono di soli che anelano ad irrompere.
Quale gioia, che giubilo quando il riso rifulge !
Quando un corpo adorato,
eretto nel suo nudo, brilla come la pietra,
come la dura pietra infiammata dai baci.
Guarda la bocca. In alto diurno un lampeggiare
attraversa un bel volto, un cielo dove gli occhi
non sono ombra, ciglia, inganni rumorosi,
ma la brezza di un’ aria che percorre il mio corpo
come un’ eco di giunchi che cantano levati
contro le acque vive, fatte azzurre dai baci.
Il puro cuore amato, la verità, la vita,
la certezza di un amore irraggiante,
la sua luce sui fiumi, il suo nudo stillante,
tutto vive, resiste , sopravvive ed ascende
come brace lucente di desiderio ai cieli.
Ormai è soltanto il nudo. Solo il riso nei denti.
La luce, la sua gemma folgorante : le labbra.
E’ l’ acqua che piedi adorati bacia,
come occulto mistero bacia la notte vinta.
Ah meraviglia lucida di stringer nelle braccia
un odoroso nudo, circondato da boschi !
Ah mondo solitario che sotto i piedi gira,
ciecamente cercando la sua sorte di baci !
Io so chi ama e vive, chi muore e gira e vola.
So che lune si estinguono, nascono, vivon, piangono.
So che due corpi amano, due anime si fondono.
trad. di M. Vazquez Lopez
Vicente Aleixandre
poeta spagnolo (Siviglia 1898-Madrid 1984). Come gli altri scrittori appartenenti alla “Generazione del ’27”, fu sensibile alle correnti estetiche di avanguardia e per molti aspetti la sua poesia può definirsi surrealista, sebbene l’entroterra culturale su cui si modella a sua esperienza sia la grande tradizione poetica di lingua spagnola, e in particolare Góngora e Rubén Darío. Nella sua ricerca Aleixandre tenta di trascendere il piano della coscienza per far emergere le possibilità espressive dell’inconscio, che si configura in una visione del mondo quasi panteistica, in cui la metafora accosta, attraverso immagini e contrasti, aspetti diversi della natura e dell’uomo: spesso le sue metafore alternano visioni fortemente pessimistiche ad analisi più tendenti alla fiducia nel progresso. Uno dei temi ricorrenti della sua poesia è il rifiuto ostile della città e la ricerca di un paradiso che è proiezione dell’infanzia. Fra le sue opere principali sono da ricordare: Ámbito (1928), Espadas como labios (1932; Spade come labbra), Pasión de la tierra (1935; Passione della terra), La destrucción o el amor (1935; La distruzione e l’amore), Sombra del Paraíso (1944; Ombra del Paradiso), Nacimiento último (1953), Historia del corazón (1954; Storia del cuore), En un vasto dominio (1962; In un vasto dominio), Poemas de la consumación (1968; Poemi della consunzione), Sonido de la guerra (1972), Poesía superrealista (1971), Diálogos del conocimiento (1974 e 1976; Dialoghi del conoscere), opera nella quale la poesia approda nell’ambito della riflessione filosofica intorno al tema della morte. Nel 1977 è stato insignito del premio Nobel per la letteratura. Pubblicazioni postume: Epistolario (1986), a cura di J. L. Cano e Nuevos poemas varios (1987; Nuove poesie).
da Sapere.it
Il giardino è quel luogo dove mi piace, se possibile, qualche volta passeggiare.
Ma non parlo del comune appezzamento di casa propria, ( per carità ottimo pure quello ) ma di quel giardino che per tradizione ingentilisce, con piante, fiori, colori e profumi, ville antiche, dimore importanti. Un luogo da vivere in un arco di tempo che va dal risveglio primaverile, alla maturità dell’estate, con qualche concessione al seducente declino dell’autunno. L’inverno si tende un po’ a dimenticarla come stagione, triste, con gli alberi spogli, le foglie morte ammucchiate in qualche angolo.
Eppure è in inverno, nel freddo e nel riposo, che il giardino può svelare il suo vero carattere, quando il gelo sottolinea il nitore di certe forme, disegna arabeschi sulle siepi, trasforma i prati in arazzi di erba e di brina.
Pensiamo anche per un attimo a tutte quelle statue che nei grandi giardini classici, erano un ornamento irrinunciabile, un mezzo efficace per segnalare la raffinatezza culturale del proprietario, per ostentare le ricchezze di famiglia, vantare origini illustri anche se improbabili. Pensiamole un attimo ricoperte di neve. Putti che sembrano riposare contenti sotto una soffice coltre bianca. Tritoni e figure mitologiche che sembrano indossare mantelli a coprire quasi le loro nudità. Uno scenario irreale, magico, particolare.
E’ dal XV secolo che si cominciano a progettare in Italia giardini che possono essere considerati veri e propri archetipi della tradizione giardiniera occidentale. Giardini assolutamente inediti, segni tangibili di quel rinnovamento economico e culturale che lascia dietro sé la lunga stagnazione dei secoli precedenti, decretando il tramonto degli orti medievali per promuovere l’avvento di decori e ornamenti concepiti per la gioia degli occhi. Nascono così gl’impeccabili giardini” all’italiana”, che nemmeno nei mesi più freddi riescono a perdere quel loro aspetto di capolavori di ordine ed armonia, nei quali all’epoca si rifletteva il razionalismo e l’orgoglioso desiderio dell’uomo rinascimentale di dominare la natura. Ogni elemento che ricordasse la mutevolezza delle stagioni, veniva accantonato , per dare origine così a giardini assolutamente artificiali, senza stagioni, dove ogni angolo era regolato da precise norme architettoniche che nulla lasciavano al caso. Il corredo vegetale era composto quasi esclusivamente da alberi e arbusti sempreverdi che, proprio per tale caratteristica, sembravano capaci di sconfiggere il tempo, dando al giardino un aspetto definitivo. Lecci, pini e cipressi piantati in file ordinate, oppure tassi, allori, bossi e mirti trattati come materiale da costruzione e trasformati in spalliere e in siepi squadrate, oppure potati secondo l’arte topiaria ( arte di potare alberi e arbusti dando loro una forma geometrica ) in sfere, coni, piramidi o in bizzarre figure di uomini o animali.
genova.erasuperba.it
giardinaggio.org
In questi giardini i fiori non erano previsti : troppo effimeri per trovar posto in spazi che volevano sembrare eterni e troppo vistosi per decorare aiuole improntate a una rigorosa sobrietà cromatica. E così venivano ospitati in un angolo nascosto – il giardino segreto – sistemato vicino a casa, ma nettamente separato dalle zone di rappresentanza, dove c’era posto invece per le catene e i giochi d’acqua, per le fontane zampillanti e per altri decori che restavano inalterati nel tempo, mantenendo il loro fascino anche nel cuore dell’inverno appunto.
Anche i giardini francesi del Seicento nacquero dal desiderio di creare spazi verdi dotati di una bellezza immutabile e al di là dei limiti e dei vincoli imposti dalla natura. Ad esempio nello sterminato parco di Versailles, si erano moltiplicate le statue, le fontane avevano raggiunto il culmine del fasto e in più erano comparsi viali d’acqua, cascate e immensi bacini di forma geometrica che riflettevano il cielo. Le ampie terrazze erano state ornate con ”parterre” ( aiuole ) che mantenevano inalterato il loro aspetto dall’estate all’inverno. I più raffinati erano i parterres de broderie, aiuole trattate come stoffe ricamate, prive di alberi, e ornate con sottili siepi di bosso nano che formavano elaborati disegni di arabeschi, tralci e volute messi in risalto da un fondo colorato ottenuto con sabbia, limatura di ferro o polvere di mattone, di carbone, di marmo o ardesia. Queste aiuole ordinate e precise erano state create per il piacere della vista e il loro schema si apprezzava ancor più guardandole dalle finestre dei piani superiori dei palazzi. Dalla Francia si diffusero in tutta Europa come ad esempio in Inghilterra, dove si usavano molto i ”giardini a nodi” – knot garden – costituiti da basse siepi di bosso, timo potate in modo da sembrare intrecciate tra loro. Uno dei più rinomati giardini di questo tipo è senz’altro quello di Barnsley House nel Gloucestershire, creato dalla grande paesaggista Rosemary Verey ( 1918 – 2001 ) molto amato da Carlo, principe di Galles, che dopo la sua prima visita nel 1986, vi ritornò ogni primavera ammaliato da tanta bellezza. A dire il vero soggiornerei qui anch’io con molto piacere.
Barnsley House kiwicollection.com
A Versailles comunque i viali continuavano a essere decorati con eleganti topiarie di piante sempreverdi e con imponenti pareti di tasso, ma in alcuni boschetti avevano fatto la loro comparsa anche alberi che in inverno perdevano le foglie: tigli, ippocastani, querce, faggi, olmi, pioppi piantati artificiosamente a scacchiera, ma che erano indubbiamente il primo sintomo dei nuovi canoni estetici che caratterizzeranno i parchi paesaggistici settecenteschi.
tripadvisor.it Reggia di Versailles – viale con topiaria
Anche un famoso filosofo inglese, Francesco Bacone, nel Seicento, nei suoi Essays aveva criticato l’artificiosità dei giardini classici e aveva avanzato idee decisamente innovative, mettendole in pratica nello spazio che circondava la sua casa di Londra. Qui aveva bandito la simmetria, la potatura degli arbusti secondo le regole della topiaria, e gli specchi d’acqua di forma geometrica, dando spazio a piante che crescevano in forma libera capaci di garantire un giardino bello in tutte le stagioni. Per i mesi più freddi aveva scelto e consigliava specie sempreverdi come agrifoglio, alloro, ginepro, tasso, lavanda e rosmarino, e ancora crochi, giacinti, e tulipani, precoci in fiore alla fine dell’inverno. Per apprezzare in pieno maggio e giugno, suggeriva rose, garofani, peonie, gigli e caprifogli. Mentre per estate e autunno proponeva di ricorrere soprattutto alla frutta: prima ciliegie, fragole, ribes e lamponi, poi prugne, pesche, uva , pere e mele.
dizionaripiu.zanichelli.it Bacone
Fonte Il giardino in inverno – conoscere, progettare e scegliere le piante
Maria Brambilla
Altra nomina cari amici. Per questo ringrazio la cara amica Paola del blog http://Tuttolandia.wordpress.com// un blog molto vario, di quelli che piacciono a me, dove potrete trovare recensioni che spaziano dal cinema ai libri a notizie interessanti di storia, o vita quotidiana. Insomma avrete capito che vale la pena una sbirciatina.
Le regole:
ringraziare chi ti ha menzionato ( fatto )
raccontare un pò di sè
nominare altri blogger ( cosa che non farò e voi lo sapete bene)
Quello che vi concedo è parlare un pò di me
Fin da ragazza in tutto ciò che mi circondava ho sempre trovato il meglio. E a dire il vero non sono stata mai un tipo pretenzioso , so cos’è il sacrificio , penso che aiuti molto nella vita. Soprattutto ti dà una forza notevole e ti tempra, anche se la fede aiuta ancor di più. Non ho mai preteso nulla nella mia vita, pur cercando con tutte le mie forze di realizzare ciò in cui ho sempre creduto. Ed ecco allora che la più grande realizzazione è stata la mia famiglia. E l’aver saputo creare attorno a me quel mondo d’amore al quale ogni uomo dovrebbe aspirare. Sono serena e soddisfatta se guardo al mio passato di ragazza gioiosa ma lo sono ancor di più guardandomi ora allo specchio diventata ormai donna matura. Prendere la vita come viene passando tra dolori profondi e gioie inattese è tutto ciò che sono, è quella Isabella che è arrivata sin qui e che voi tutti avete conosciuto. Vi abbraccio.
Cari amici sono di nuovo qui. Speravo di tornare e mantenere il mio stato gioioso per la vacanza che mi sono concessa. Ma i fatti successi a Roma hanno creato in me sgomento e tristezza tali da togliermi la voglia oggi di sorridere e di fare considerazioni sterili. Posso solo dire che fintanto che l’uomo continuerà ad essere stupido, ignorante, gretto, vuoto, schiavo dell’alcol, di droghe, innamorato più che del bello di vacuità e insensataggini, il mio sorriso si tramuterà in smorfia di dolore perenne. Vi abbraccio e ringrazio sentitamente tutti per le notifiche inviatemi in risposta al mio post ”Un saluto”. A breve tornerò da voi. Isabella
In una bellissima poesia di Angelo Barile, un grande poeta cristiano dimenticato, il mistero dell’amore e della nascita è sfiorato con un pudore che ha il tocco della grazia.
Eccoli, gli sposi, nel loro ”acceso eremo”.
Il rumore delle onde, che il mare guida sino alla loro casa come a una carena, si insinua fin dentro i loro sogni e fa più dolce il loro amore. Non il corpo soltanto ne ha gioia ma anche l’anima, che mareggia senza più rive.
Ora, sul far dell’alba, la donna spia il suo grembo, il peso che cresce e che l’ala dell’angelo rende più lieve.
L’uomo è già in cammino, va per la sua strada che balugina, strappa qualche filo d’erba, zufola un’aria allegra. Guarda il giorno che nasce alla marina.
L’amore. La nascita.
La più notturna delle vostre ore
ritremerà nel giglio del mattino.
Giovanni Cristini
( poeta e giornalista italiano Brescia 22 gennaio 1925 – 1995. La sua poesia cresciuta nel tempo e maturata in ambito religioso, è stata, come ha scritto Luigi Santucci, poeta a sua volta, scrittore e romanziere milanese, ritenuto dalla critica il principale narratore della seconda metà del Novecento, ”una personale avventura di ricerca, d’inquietudine e di conferme”. da Wikipendia )
L’amore vero, tu lo sai,
è volere la gioia
di chi non ci appartiene,
è questo uscire, traboccare da se stessi
come il sangue dalle vene
per un taglio,
è l’irrinunciabile,
amore energia mutabile eterno bene.
Giuseppe Conte ( Poeta e scrittore contemporaneo – Porto Maurizio – 15 novembre 1945)
L’augurio più sincero a tutti gli amici e non che passeranno di qui per un Buon Natale , che possa essere un periodo, questo delle feste, sereno per tutti, con tutto il cuore. Isabella
PS Arianna si associa agli auguri.
Peccato che in questa foto Arianna non rida, la nonna in compenso non si smentisce mai!!
Dato che questo è un vecchio post è bene aggiornarlo , non vi pare amici ? Ecco allora in aggiunta anche qualche mia poesia
sanfrancescopatronoditalia.it
Ogni anno
si rinnova
il mistero.
Ogni anno
il 25 dicembre
festeggiamo
la tua nascita.
Quest’ anno,
caro bambino Gesù ,
le lacrime
rigano il volto
di tante persone,
ancor più degli anni passati.
Son quelle persone
senza più un lavoro,
quelle
che hanno visto
i propri figli morire
in incidenti,
le proprie figlie
uccise,
dalla mano violenta
di chi diceva
di amarle.
Quelle
di chi vede
in un letto d’ ospedale
soffrire chi ama
senza poter far nulla.
Le lacrime
rigano il volto
di chi rimane solo,
di chi più non spera.
Gesù bambino,
tenero, dolce fagottino,
in ginocchio,
davanti a te
prostrata,
io ti prego :
asciuga ogni lacrima
che scende.
Porta amore
là dove pare scomparso,
ridai fiducia
a chi più non crede,
a chi più non prega,
a chi ha perso tutto.
E’ difficile vivere
quando tutto si sbriciola.
Per pietà
asciuga queste lacrime
che ormai
scendono copiose.
T’ imploro Gesù Bambino,
vieni in nostro aiuto,
salvaci.
Senza te,
tutto è troppo complicato.
Isabella Scotti dicembre 2019
testo : copyright legge 22 aprile 1941 n° 633
” Bambino Gesù asciuga ogni lacrima ” ( Santo Giovanni Paolo II )
regardsdefemmes.info
Dicembre
sei mese
di magica atmosfera,
perché viviamo con te
un periodo unico,
quello dell’ avvento.
Siamo tutti in attesa.
Aspettiamo
che nasca Gesù.
Abbiamo nei cuori
una gioia
incontenibile.
Tutto è addobbato
a festa.
Luci, vetrine ,
alberi sfavillanti,
e presepi
a ricordare ,
come la vita
semplice
dei pastori,
sia in fondo
un ottimo esempio
anche oggi.
L’ uomo
è sempre alla ricerca
di qualcosa.
Se capisse
che la risposta
ai suoi perché,
ai suoi dubbi,
è là nella mangiatoia
di quella capanna,
allora il Natale
avrebbe davvero senso.
E sarebbe festa
ogni giorno a venire.
Isabella Scotti dicembre 2019
testo : copyright legge 22 aprile 1941 n° 633
RASSICURAMI
italiaora.net
Inquieto
è il nostro vivere.
Cupi
si son fatti
i giorni .
Scesa è la nebbia.
Una spessa coltre che
c’impedisce
di vedere oltre.
Mi sento smarrita.
Se non dirada,
lasciando filtrare
un pò
di chiarore,
turbato
resta il mio cuore.
Ho bisogno che Tu
mi rassicuri.
Che Tu, Signore
venga in mio aiuto.
Non mi piace
sentirmi così,
andare avanti
alla cieca.
Rassicurami,
ti prego.
E che la Tua luce
rassicuri anche
il mondo intero
per sempre,
tutta la vita.
Isabella Scotti dicembre 2019
testo : copyright legge 22 aprile 1941 n° 633
Incipit in neretto dalla poesia di Paul Géraldy ” Sempre tutta la vita ”
E altre due poesie
NADALE
A tie pitzinnu impotente e poveritu
naschiu intro de iverru fritu
chin coro lacrimosu afritu
custu ti pedo semper sias benitu.
Prena solu ‘ e amore
cada ischìliu
tue coro ‘ e mama
in morte e bida
nostru solu aficu.
A te bambino impotente e poveretto/ nato dentro inverno freddo/con cuore lacrimoso e afflitto/questo ti chiedo sempre tu sia benedetto. // Riempi solo d? Amore / ogni vagito/ tu, cuore di mamma/ in morte e in vita/ nostra sola speranza.
Presépiu
In sa gruta de su coro
mi lacheddas a sa muda
incantada canto a Tie.
Chin sos res e sos pastores
pro custoire segretu
de mistèriu no iscopiau.
In sa gruta de su coro
mi lacheddas a sa muda
Incantadu canto a Tie.
Canto s’ Amore
eternu tuo
in eternu donau
in eternu donau
Nella grotta del mio cuore/ mi culli in silenzio / incantata canto a Te // Con i re magi e i pastori/ per custodire il segreto/ di mistero non svelato// Nella grotta del cuore/ mi culli in silenzio/ incantato canto a te// Canto l’ Amore/ tuo eterno / In eterno donato / in eterno donato
Queste poesie in dialetto sardo è tratta dal libro di poesie di Pipina Frantzisca Nieddu intitolato ”Fiza de pastore” alla cui presentazione ho assistito godendo di un pomeriggio indimenticabile, fatto di ricordi e testimonianze di un tempo che fu. Tradizioni, canti portati e presentati dalla stessa Giuseppina accompagnata dal marito. Entrambi bravissimi nel cantare in sardo nenie dolcissime che seppure lì per lì incomprensibili, e poi tradotte sono state un piacere ascoltare. Con Giuseppina, insegnante di lettere in Sardegna, Toscana e Lazio, ho iniziato il mio percorso di scrittura anni fa.
E ora con qualche foto… l’ albero di casa
E il presepe fatto con Arianna ( notare le pecorelle tutte rigorosamente in fila e il bambinello , già messo ma coperto perché non ancora nato, e oltre il bue e l’ asinello anche qualche capretta per riscaldare ancor di più Gesù che poverino nella capanna avrà di certo molto freddo.
E per finire…
Buon Natale cari amici, e buon Natale a chi passerà qui per la prima volta.
La vostra Isabella
Padre mio, mi sono affezionato alla terra quanto non avrei creduto. E’ bella e terribile la terra. Io ci sono nato quasi di nascosto, ci sono cresciuto e fatto adulto in un suo angolo quieto, tra gente povera, amabile ed esecrabile. Mi sono affezionato alle sue strade, mi sono divenuti cari i poggi e i suoi uliveti, le vigne, perfino i deserti. E’ solo una stazione per il Figlio tuo la terra, ma ora mi addolora lasciarla e perfino questi uomini e le loro occupazioni, le loro case, i loro ricoveri. Mi dà pena doverli abbandonare. Il cuore umano è pieno di contraddizioni ma neppure un istante mi sono allontanato da te. Ti ho portato perfino dove sembrava che non fossi, o avessi dimenticato di essere stato. La vita sulla terra è dolorosa ma è anche gioiosa. Mi sovvengono i piccoli dell’uomo, gli alberi, gli animali. Mancano oggi qui, su questo poggio che chiamano ”Calvario”. Congedarmi mi dà angoscia più del giusto. Sono stato troppo uomo tra gli uomini, o troppo poco ? Il terrestre l’ho fatto troppo mio o l’ho rifuggito ? La nostalgia di Te è stata continua e forte. Tra non molto saremo ricongiunti nella sede eterna. Padre non giudicarlo questo mio parlarTi umano quasi delirante, accoglilo come un desiderio d’amore, non guardare alla sua insensatezza. Sono venuto sulla terra per fare la tua volontà, a volte l’ho anche discussa, sii indulgente con la mia debolezza. Te ne prego. Quando saremo in cielo ricongiunti, sarà stata una prova grande ed essa non si perde nella memoria dell’eternità. Ma da questo stato umano di abiezione vengo ora a te, comprendimi, nella mia debolezza.
Mi afferrano, mi alzano alla Croce, piantata sulla collina. Ahi Padre m’inchiodano le mani e i piedi…
Qui termina veramente il cammino.
Il debito dell’iniquità è pagato all’iniquità.
Ma Tu sai questo mistero.
Tu solo.
Penso che leggere queste parole scritte da Mario Luzi per la Via Crucis del 1999, non possano che non entrare direttamente in ciascuno di noi.. Colpisce ( almeno è ciò che è capitato a me) come Luzi abbia trattato l’umanità di Gesù. La sua paura, la sua angoscia nel dover affrontare la morte, è la stessa penso, di tutti noi, è ciò che ce lo fa sentire vicino, possiamo comprenderne la tristezza per essere costretto ad abbandonare questo mondo, e Luzi rende bene il concetto quando fa dire a Gesù : ” Mi sono diventati cari i poggi e i suoi uliveti…” ed il timore di affrontare qualcosa di cui ancora ignora come sarà. Auguro che ciascuno possa un attimo riflettere su ciò che siamo e su ciò che ci aspettiamo da questa vita. La preghiera aiuta molto, sempre, anche nei momenti peggiori, anzi proprio con la preghiera si possono superare momenti di sconforto e dolore. L’ho sperimentato varie volte, ve lo assicuro. La morte, il dolore ci appartengono, sono la vita. Affidiamoci come Gesù al Padre, pur nel timore e angoscia. Auguro a tutti voi una serena Pasqua. Vi voglio bene. Isabella
trussel.com
repubblica.it
Sherlock Holmes sappiamo tutti essere nato dalla penna di sir Arthur Conan Doyle. Ma conosciamo come ciò avvenne ? Doyle era un giovane medico inglese, che essendosi trovato un bel dì senza pazienti, aveva incominciato a ingannare la noia scrivendo alcuni racconti. Un pò per la sua educazione scientifica, e un pò per la passione che nutriva per i romanzi polizieschi, gli venne in mente di inventare un detective nuovo e moderno, che rispecchiasse lo spirito razionale del XIX secolo. Lo voleva intelligente, dotato di una logica ferrea. Capace di partire da indizi insignificanti per arrivare a scoprire verità nascoste. Per sua fortuna Doyle aveva un modello a cui fare riferimento ed era il professore Joseph Bell, un illustre studioso d’anatomia che era stato suo maestro all’Università di Edimburgo. Secondo Doyle aveva lo spirito di un grande ”detective”. Diceva che ” gli aveva insegnato ad usare gli occhi, le orecchie, il naso le mani e il cervello per fare una diagnosi. Un giorno portò in aula un uomo e ci disse : ”come avrete sicuramente notato, signori, quest’uomo è un ciabattino mancino. Guardate come sono lisi i suoi calzoni di velluto sul grembo, dove appoggia le scarpe che deve riparare. La mano sinistra è più ruvida della destra, quasi a provare che è mancino.” Un’altra volta con un altro paziente disse che si trattava di un laccatore francese, e osservando lo stupore dei suoi studenti ridendo disse: ” E’ molto semplice signori, non sentite forse l’odore di lacca che impregna i suoi abiti e tutto il suo corpo?” Così Doyle ricordando tutto ciò decise di servirsene per dare vita al suo ”detective”. Scelse il cognome Holmes d’istinto, in omaggio al poeta americano Oliver Wendell Holmes. Quanto al nome, il primo che scelse fu Sherringford. Ma era un pò troppo lungo e somigliava un pò ad uno scioglilingua. Finalmente dopo vari tentativi, arrivò ad un vecchio nome irlandese : Sherlock. Provò a pronunciarlo varie volte: ”Sherlock Holmes…” e capì subito di avere fatto centro. In realtà la prima edizione dello ”Studio in rosso” cadde nell’indifferenza più totale. Doyle ricevette un misero assegno chiudendo con quello smacco la sua carriera di scrittore. Nel 1890 capitò a Londra l’editore americano Lippincot che lesse la storia e innamoratosene chiese a Doyle di scrivere un racconto per la sua rivista letteraria. Fu quello , ”Il segno dei quattro”, a decretare il successo di Sherlock Holmes e del suo autore. Questo nuovo ”detective” era nuovo, eccitante, bizzarro. Dimostrava la validità di metodi d’indagine che erano quasi fantascientifici per i suoi tempi. Studiava in laboratorio la composizione delle sostanze arrivando a riconoscere con sicurezza eventuali macchie di sangue. Analizzava la polvere. Prendeva i calchi delle impronte lasciate dalle scarpe nel fango. E non si trattava di trovate spiritose. Le polizie di tutto il mondo misero alla prova quei suoi metodi e li trovarono facili da realizzare ma anche utilissimi per la soluzione dei loro casi più difficili. Il commissario capo dei laboratori scientifici della polizia di Lione disse una volta :” Abbiamo imparato molto da Sherlock Holmes. Senza le sue teorie non saremmo mai riusciti a fare i progressi che abbiamo fatto. ” La polizia egiziana era tanto convinta dell’utilità di Sherlock Holmes che obbligò i suoi agenti a leggere tutte le avventure dell’eroe. Le sue scoperte ebbero un avallo ufficiale anche nella prima opera moderna di criminologia, la monumentale ”Investigazione criminale” che il tedesco Hans Gross pubblicò nel 1891, quattro anni dopo la nascita dell’immortale segugio. Comunque lo scrittore ben presto si stancò del suo personaggio creato più per ”gioco intellettuale” che altro. Sognava di dedicarsi più al romanzo storico e alla saggistica che considerava la sua vera vocazione . Quando si rese conto che il pubblico era interessato ad Holmes e rifiutava il resto, cominciò a sentirsi vittima e prigioniero di quel ”detective”. Perfino la madre era contraria al fatto che lui abbandonasse quei racconti. Ma lo scrittore, stufo, decise di far morire nelle acque della cascata di Reichenbach il povero Holmes avvinghiato al suo mortale nemico, il professor Moriarty, in un racconto del 1893. Solo nel 1903 a corto di soldi, ne pubblicò un altro sulla rivista ”Strand” che andò letteralmente a ruba. Cominciò così a sopportare quel suo personaggio, a tal punto da improvvisarsi in più di una occasione, lui stesso investigatore. Si occupò così nel 1903 del caso di un giovane avvocato indiano. Questi, era accusato di avere mutilato e ucciso decine di pony e altri animali . Come prova della sua colpevolezza la polizia aveva portato l’impronta di un piede trovata vicino al cadavere. Un’impronta che corrispondeva perfettamente ad una scarpa del giovane indiano. Il mistero interessò Conan Doyle che decise di occuparsene. Scoprì che il torturatore di animali usava un bisturi per poter fare tagli netti e precisi mentre il giovane avvocato mai avrebbe potuto riuscirvi soffrendo di una gravissima forma di miopia. Da allora lo scrittore cominciò a considerare Sherlock Holmes come un amico virtuale il cui successo lo seguirà fino alla morte che arrivò il 7 luglio del 1930.
da un’intervista di Nicoletta Sipios del 1987 a ” Stanley MacKenzie ”segretario dell’associazione inglese dedicata a Sherlock Holmes. MacKenzie che in gioventù è stato attore, ha trasformato la sua casa in un museo per raccogliere pipe, lanterne, lenti d’ingrandimento d’epoca, ritratti, foto e libri rari tra i quali fanno spicco le copie originali dei 4 romanzi e dei 56 racconti dedicati alle avventure di Sherlock Holmes.
Vedo il demonio
agire indisturbato.
E’ ovunque.
Nelle violenze
di tutti i giorni
verbali e fisiche.
Nelle nostre azioni
sconsiderate,
nei giovani
tristi e soli
che buttano via,
ridendo,
ogni attimo
della loro vita,
senza riflettere
sul fatto che
indietro non si torna.
Lo vedo
nella solitudine
di migliaia
di persone,
nello sconforto
che aiuta
la depressione.
Nel cambiamento
di una società
dove sembra
voglia passare
il messaggio
che ”amori” tra simili
siano così naturali
da far dimenticare,
e passare sotto tono,
come in via d’estinzione
l’amore
unico,
di sempre,
meraviglioso
tra uomo e donna.
Lo vedo
tranquillo osservare
guerre
e gioire
dei morti
dei corpi straziati
e lacerati
dalle bombe.
L’uomo ha bisogno
di Voi, Signore.
Aiutateci a sconfiggere
questo mostro
che da troppo tempo
vince
ovunque si annidi
prepotente, ridanciano.
Non c’è speranza
per noi,
Padre,
senza il vostro aiuto !
Isabella Scotti
Vi capita mai di leggere un libro ed estraniarvi da ciò che vi circonda? Il libro ha questo potere. Quello di farvi entrare in una storia staccandovi un pò dal mondo circostante.Non c’è lettura digitale, per me, che dia la stessa sensazione. Certo leggere un ebook sul tablet può anche essere comodo per vari motivi, ma volete mettere il piacere di ”sfogliare” un libro vero, toccare con mano quella carta dove mille e mille parole si rincorrono dopo essere state create da un autore appassionato? Due libri che ho letto ultimamente mi hanno molto ”estraniata”dalla quotidianità: ”Il terzo ufficiale” di Giuseppe Conte, poeta e scrittore ligure, e ” Dove nessuno ti troverà” di Alicia Gimenez. Il primo, è una storia di mare, che Conte ama profondamente e di cui conosce ogni aspetto, e di marinai, qui descritti attraverso un linguaggio forte, vero, a volte quasi da scaricatore di porto.Ma proprio questo gergo, tipicamente marinaresco,unito ad una descrizione accurata di tutto ciò che fa riferimento alla vita stessa di mare, ci fa entrare in una storia dal sapore avventuroso, dove ciascun personaggio tipicizzato in maniera precisa, pur essendo forte, spavaldo rimane sempre ”uomo” con le sue debolezze ed incertezze. Da leggere. Così come il secondo libro,ambientato a differenza dell’altro, in una Spagna dal caldo
opprimente e dai paesaggi aridi negli anni cinquanta. E’ la storia della cosiddetta ”Pastora” personaggio di sesso ambiguo, realmente esistito, divenuto mito(altro tema, oltre il mare, molto caro a Conte)
per i contadini, come simbolo di reazione ai soldati franchisti,dopo la fine della guerra civile spagnola. Autrice o autore di ventinove omicidi, rimane lassù tra le montagne catalane, anche dopo la fine della guerra, nascosta e braccata dalle forze di polizia.Non dico nulla sul finale perchè ovviamente un pò di mistero non guasta. Una storia comunque scritta in maniera impeccabile, molto incisiva anche se a volte un pò ripetitiva. Comunque affascinante e interessante.Provate a leggerli (mi raccomando, che siano libri da tenere in mano, per una volta niente tecnologia okay? )