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Cosa vedi
in me
uomo,
di così sbagliato,
tanto
da usarmi
violenza?
Cosa c’è in me
che non sopporti,
tanto da colpirmi
ripetutamente,
perché tutto
questo odio
nei miei confronti?
Non riesco a comprendere.
Perché io credo
nel nostro stare
insieme.
Credo sia
la cosa più bella
amarsi,
volersi bene.
Vorrei che
le tue mani
non mi strappassero
i vestiti di dosso,
non mi schiaffeggiassero,
non mi riempissero
la faccia
di pugni, non mi buttassero l’ acido sul volto,
non si armassero
di coltello,
non mi si stringessero
attorno al collo.
Vorrei…
o sì
come vorrei
essere trattata da te
con dignità, con rispetto.
Io donna, tu uomo,
nessun padrone,
ciascuno
con la propria individualità,
col sapere sopportare,
perdonare e amare.
Questa è l’unica
cosa che vorrei, nessuna violenza.

Io donna, tu uomo,

insieme con amore

Isabella Scotti novembre 2022

testo : copyright legge 22 aprile 1941 n° 633

Amici carissimi abbiamo tutti il covid. Ancora positivi ma martedi spero che saremo negativi. Sono ormai quasi 15 giorni . Fino a giovedi eravamo ancora positivi. Speriamo bene dai. Un abbraccio a tutti.

La vostra Isabella


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artgeist.it

Brilla   la   luna   tra   il   vento   d’  autunno,

nel   cielo   risplendendo   come   pena   lungamente   sofferta.

Ma  non   sarà   il   poeta   a   rivelare

le   ragioni   segrete,   il   segno   indecifrabile

di   un   cielo   liquido   di   ardente   fuoco

che  annegherebbe   le   anime,

se   sapessero   il   loro   destino   sulla   terra.

La   luna   quasi   mano

divide   ingiustamente,   come   bellezza   usa,

i   suoi   doni   sul   mondo.

Guardo   pallidi   volti.

Guardo   fattezze   amate.

Non   sarò   io   a   baciare   il   dolore   che   nei   volti   si   mostra.

Solo   la   luna   può   chiudere,   baciando,

quelle   palpebre   dolci   che   la   vita   ha   stancate.

Quelle   labbra   lucenti,   labbra   di   luna   pallida,

labbra   sorelle   per   i   tristi   uomini,

sono   un   segno   d’  amore   nella   vita   deserta,

sono   il   concavo   spazio   dove   l’  uomo   respira

e   vola   sulla   terra   ciecamente   girando.

Il   segno   dell’  amore   nei   volti   amati   a   volte

è   solo   la   bianchezza   brillante,

la   dischiusa   bianchezza   di   quei   denti   che   ridono.

Allora   si   che   in   alto   la   luna   si   fa   pallida,

si   estinguono   le   stelle

e   c’è   un’  eco   remota,   uno   splendore   ad   oriente,

vago   suono   di   soli   che   anelano   ad   irrompere.

Quale   gioia,   che   giubilo   quando   il  riso   rifulge !

Quando   un   corpo   adorato,

eretto   nel   suo   nudo,   brilla   come   la   pietra,

come   la   dura   pietra   infiammata   dai   baci.

Guarda   la   bocca.   In   alto   diurno   un   lampeggiare

attraversa   un   bel   volto,   un   cielo   dove   gli   occhi

non   sono   ombra,   ciglia,   inganni   rumorosi,

ma   la   brezza   di   un’  aria   che   percorre   il   mio   corpo

come   un’  eco   di   giunchi   che   cantano   levati

contro   le   acque   vive,   fatte   azzurre   dai   baci.

Il   puro   cuore   amato,   la   verità,   la   vita,

la   certezza   di   un   amore   irraggiante,

la   sua   luce   sui   fiumi,   il   suo   nudo   stillante,

tutto   vive,   resiste   ,   sopravvive   ed   ascende

come   brace   lucente   di   desiderio   ai   cieli.

Ormai   è   soltanto   il   nudo.   Solo   il   riso   nei   denti.

La   luce,   la   sua   gemma   folgorante :   le   labbra.

E’   l’  acqua   che   piedi   adorati   bacia,

come   occulto   mistero   bacia   la   notte   vinta.

Ah   meraviglia   lucida   di   stringer   nelle   braccia

un   odoroso   nudo,   circondato   da   boschi !

Ah   mondo   solitario   che   sotto   i   piedi   gira,

ciecamente   cercando la   sua   sorte   di   baci !

Io   so   chi   ama   e   vive,   chi   muore   e   gira   e   vola.

So   che   lune   si   estinguono,   nascono,   vivon,   piangono.

So   che   due   corpi   amano,   due   anime   si   fondono.

trad.   di    M.   Vazquez    Lopez

Vicente   Aleixandre  

poeta spagnolo (Siviglia 1898-Madrid 1984). Come gli altri scrittori appartenenti alla “Generazione del ’27”, fu sensibile alle correnti estetiche di avanguardia e per molti aspetti la sua poesia può definirsi surrealista, sebbene l’entroterra culturale su cui si modella a sua esperienza sia la grande tradizione poetica di lingua spagnola, e in particolare Góngora e Rubén Darío. Nella sua ricerca Aleixandre tenta di trascendere il piano della coscienza per far emergere le possibilità espressive dell’inconscio, che si configura in una visione del mondo quasi panteistica, in cui la metafora accosta, attraverso immagini e contrasti, aspetti diversi della natura e dell’uomo: spesso le sue metafore alternano visioni fortemente pessimistiche ad analisi più tendenti alla fiducia nel progresso. Uno dei temi ricorrenti della sua poesia è il rifiuto ostile della città e la ricerca di un paradiso che è proiezione dell’infanzia. Fra le sue opere principali sono da ricordare: Ámbito (1928), Espadas como labios (1932; Spade come labbra), Pasión de la tierra (1935; Passione della terra), La destrucción o el amor (1935; La distruzione e l’amore), Sombra del Paraíso (1944; Ombra del Paradiso), Nacimiento último (1953), Historia del corazón (1954; Storia del cuore), En un vasto dominio (1962; In un vasto dominio), Poemas de la consumación (1968; Poemi della consunzione), Sonido de la guerra (1972), Poesía superrealista (1971), Diálogos del conocimiento (1974 e 1976; Dialoghi del conoscere), opera nella quale la poesia approda nell’ambito della riflessione filosofica intorno al tema della morte. Nel 1977 è stato insignito del premio Nobel per la letteratura. Pubblicazioni postume: Epistolario (1986), a cura di J. L. Cano e Nuevos poemas varios (1987; Nuove poesie).

da   Sapere.it


Il    giardino   è   quel   luogo   dove   mi   piace,   se   possibile,   qualche   volta   passeggiare.

Ma   non  parlo   del   comune   appezzamento   di   casa   propria,   (  per   carità   ottimo   pure   quello  )   ma   di   quel   giardino   che   per   tradizione   ingentilisce,   con   piante,   fiori,   colori   e   profumi,   ville   antiche,   dimore   importanti.   Un   luogo   da   vivere   in   un   arco   di   tempo   che   va   dal   risveglio   primaverile,   alla   maturità   dell’estate,   con   qualche   concessione   al  seducente   declino   dell’autunno.   L’inverno   si   tende   un   po’   a   dimenticarla   come   stagione,   triste,   con   gli   alberi   spogli,   le   foglie   morte   ammucchiate   in   qualche   angolo.

Eppure   è   in   inverno,   nel   freddo   e   nel   riposo,   che   il   giardino   può   svelare   il   suo   vero   carattere,   quando   il   gelo   sottolinea   il   nitore   di   certe   forme,   disegna   arabeschi   sulle   siepi,   trasforma   i   prati   in   arazzi   di   erba   e   di  brina.

Pensiamo   anche   per   un   attimo   a   tutte   quelle   statue   che   nei   grandi   giardini   classici,   erano   un   ornamento   irrinunciabile,   un   mezzo   efficace   per   segnalare   la   raffinatezza   culturale   del   proprietario,   per   ostentare   le   ricchezze   di   famiglia,   vantare   origini   illustri   anche   se   improbabili.   Pensiamole   un   attimo   ricoperte   di   neve.   Putti   che   sembrano   riposare   contenti   sotto   una    soffice   coltre   bianca.   Tritoni   e   figure   mitologiche   che   sembrano   indossare   mantelli   a   coprire   quasi   le   loro   nudità.   Uno   scenario   irreale,   magico,   particolare.

E’   dal   XV   secolo   che   si   cominciano   a   progettare   in   Italia   giardini   che   possono   essere   considerati   veri   e   propri   archetipi   della   tradizione   giardiniera   occidentale.   Giardini   assolutamente   inediti,   segni   tangibili   di   quel   rinnovamento   economico   e   culturale   che   lascia   dietro   sé   la   lunga   stagnazione   dei   secoli   precedenti,   decretando   il   tramonto   degli   orti   medievali   per   promuovere   l’avvento   di   decori   e   ornamenti   concepiti   per   la   gioia   degli   occhi.   Nascono   così   gl’impeccabili   giardini”  all’italiana”,   che   nemmeno   nei   mesi   più   freddi riescono   a   perdere   quel   loro   aspetto   di   capolavori   di   ordine   ed   armonia,   nei   quali   all’epoca   si   rifletteva   il   razionalismo   e   l’orgoglioso   desiderio   dell’uomo   rinascimentale   di   dominare   la   natura.   Ogni   elemento   che   ricordasse   la   mutevolezza   delle   stagioni,   veniva   accantonato ,  per   dare   origine   così   a   giardini   assolutamente   artificiali,   senza   stagioni,   dove   ogni   angolo   era   regolato   da   precise   norme   architettoniche   che   nulla   lasciavano   al   caso.   Il   corredo   vegetale   era   composto   quasi   esclusivamente   da   alberi   e   arbusti   sempreverdi   che,   proprio   per   tale   caratteristica,   sembravano   capaci   di   sconfiggere   il   tempo,   dando   al   giardino   un   aspetto   definitivo.   Lecci,  pini   e   cipressi   piantati   in   file   ordinate,   oppure   tassi,   allori,   bossi   e   mirti    trattati   come   materiale   da   costruzione   e   trasformati   in   spalliere   e   in   siepi  squadrate,   oppure   potati   secondo    l’arte   topiaria  (   arte   di   potare  alberi   e   arbusti   dando   loro   una   forma   geometrica  )   in   sfere,   coni,   piramidi   o   in   bizzarre   figure   di   uomini   o   animali.

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genova.erasuperba.it

 

giardinaggio.org

In   questi   giardini   i   fiori   non   erano   previsti  :   troppo   effimeri   per   trovar   posto   in   spazi   che   volevano   sembrare   eterni   e   troppo   vistosi   per   decorare   aiuole   improntate   a   una   rigorosa   sobrietà   cromatica.   E   così   venivano   ospitati   in   un   angolo   nascosto   –   il   giardino   segreto   –   sistemato   vicino   a   casa,   ma   nettamente   separato   dalle   zone   di   rappresentanza,   dove   c’era   posto   invece   per   le   catene   e   i   giochi   d’acqua,   per   le   fontane   zampillanti   e   per   altri   decori   che   restavano   inalterati   nel   tempo,   mantenendo   il   loro   fascino   anche   nel   cuore   dell’inverno   appunto.

Anche   i   giardini   francesi   del   Seicento   nacquero   dal   desiderio   di   creare   spazi   verdi   dotati   di   una   bellezza   immutabile   e   al   di   là   dei   limiti   e   dei   vincoli   imposti   dalla   natura.   Ad   esempio   nello   sterminato   parco   di   Versailles,   si   erano   moltiplicate   le   statue,   le   fontane   avevano   raggiunto   il   culmine   del   fasto   e   in   più   erano   comparsi   viali   d’acqua,   cascate   e   immensi   bacini   di   forma   geometrica   che   riflettevano   il   cielo.   Le   ampie   terrazze   erano   state   ornate  con   ”parterre”  (   aiuole  )   che   mantenevano   inalterato   il   loro   aspetto   dall’estate   all’inverno.   I   più   raffinati   erano   i   parterres   de   broderie,   aiuole   trattate   come   stoffe   ricamate,   prive   di   alberi,   e   ornate   con   sottili   siepi   di   bosso   nano   che   formavano   elaborati   disegni   di   arabeschi,   tralci   e   volute   messi   in   risalto   da   un   fondo   colorato   ottenuto   con   sabbia,   limatura   di   ferro   o   polvere   di   mattone,   di   carbone,   di   marmo   o   ardesia.   Queste   aiuole   ordinate   e   precise   erano   state   create   per   il   piacere   della   vista   e   il   loro   schema   si   apprezzava   ancor   più   guardandole    dalle   finestre   dei   piani   superiori   dei   palazzi.   Dalla   Francia   si   diffusero   in   tutta   Europa   come   ad   esempio   in   Inghilterra,   dove   si   usavano   molto   i   ”giardini   a   nodi”   –   knot   garden   –   costituiti   da   basse   siepi   di   bosso,   timo   potate   in   modo   da   sembrare   intrecciate   tra   loro.   Uno   dei   più   rinomati   giardini   di   questo   tipo   è   senz’altro   quello   di   Barnsley   House   nel   Gloucestershire,    creato   dalla    grande  paesaggista   Rosemary   Verey   ( 1918 – 2001  )  molto   amato   da   Carlo,   principe   di   Galles,   che   dopo   la   sua   prima   visita   nel   1986,   vi   ritornò   ogni   primavera   ammaliato   da   tanta   bellezza.  A   dire   il   vero   soggiornerei   qui   anch’io   con   molto   piacere.

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Barnsley House     kiwicollection.com

A   Versailles   comunque   i   viali   continuavano   a   essere   decorati   con   eleganti   topiarie   di   piante   sempreverdi   e   con   imponenti   pareti   di   tasso,   ma   in   alcuni   boschetti   avevano   fatto   la   loro   comparsa   anche   alberi   che   in   inverno   perdevano   le   foglie:   tigli,   ippocastani,   querce,   faggi,   olmi,   pioppi   piantati   artificiosamente   a   scacchiera,   ma   che   erano   indubbiamente   il   primo   sintomo   dei   nuovi   canoni   estetici   che   caratterizzeranno   i   parchi   paesaggistici   settecenteschi.

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tripadvisor.it   Reggia  di  Versailles   –   viale   con   topiaria

 

Anche   un   famoso   filosofo   inglese,   Francesco   Bacone,   nel   Seicento,   nei   suoi   Essays   aveva   criticato   l’artificiosità   dei   giardini   classici   e   aveva   avanzato   idee   decisamente   innovative,   mettendole   in   pratica   nello   spazio   che   circondava   la   sua   casa   di   Londra.   Qui   aveva   bandito   la   simmetria,   la   potatura   degli   arbusti   secondo   le   regole   della   topiaria,   e   gli   specchi   d’acqua   di   forma   geometrica,   dando   spazio   a   piante   che   crescevano   in   forma   libera   capaci   di   garantire   un   giardino   bello   in   tutte   le   stagioni.   Per   i   mesi   più   freddi   aveva   scelto   e   consigliava   specie   sempreverdi   come   agrifoglio,   alloro,   ginepro,   tasso,   lavanda   e   rosmarino,   e   ancora   crochi,   giacinti,    e   tulipani,   precoci   in   fiore   alla   fine   dell’inverno.   Per   apprezzare   in   pieno   maggio   e   giugno,   suggeriva   rose,    garofani,   peonie,   gigli   e   caprifogli.   Mentre   per   estate   e   autunno  proponeva   di   ricorrere   soprattutto   alla   frutta:   prima   ciliegie,   fragole,   ribes   e   lamponi,   poi   prugne,   pesche,   uva   ,   pere   e   mele.

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dizionaripiu.zanichelli.it    Bacone

Fonte    Il   giardino   in   inverno   –   conoscere, progettare   e   scegliere   le   piante 

Maria   Brambilla

 


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Altra  nomina  cari  amici.  Per   questo  ringrazio la cara  amica  Paola  del  blog  http://Tuttolandia.wordpress.com//  un  blog  molto  vario,  di  quelli  che  piacciono  a  me, dove  potrete trovare  recensioni  che  spaziano  dal  cinema  ai  libri  a  notizie  interessanti  di  storia,  o  vita  quotidiana. Insomma  avrete  capito  che  vale  la  pena  una  sbirciatina.

Le  regole:

 ringraziare  chi  ti  ha  menzionato (  fatto )

raccontare  un  pò  di  sè

nominare  altri  blogger  (  cosa  che  non  farò e  voi  lo  sapete  bene)

Quello  che  vi  concedo  è  parlare  un  pò  di  me

Fin  da  ragazza  in  tutto  ciò  che  mi  circondava  ho  sempre  trovato  il  meglio.  E  a  dire  il  vero  non  sono  stata  mai  un  tipo  pretenzioso ,  so  cos’è  il  sacrificio , penso  che  aiuti  molto  nella  vita.  Soprattutto  ti  dà  una  forza   notevole  e  ti  tempra,  anche  se  la  fede  aiuta  ancor  di  più.  Non  ho  mai  preteso  nulla  nella  mia  vita,  pur  cercando  con  tutte  le  mie  forze  di  realizzare  ciò  in  cui  ho  sempre  creduto.  Ed  ecco  allora  che  la  più  grande  realizzazione  è  stata  la  mia  famiglia.  E  l’aver  saputo  creare  attorno  a  me  quel  mondo  d’amore  al  quale  ogni  uomo  dovrebbe  aspirare.  Sono  serena  e  soddisfatta  se  guardo  al  mio  passato  di  ragazza  gioiosa  ma  lo  sono  ancor  di  più  guardandomi  ora  allo  specchio  diventata  ormai  donna  matura.  Prendere  la  vita  come  viene passando  tra  dolori  profondi  e  gioie  inattese  è  tutto  ciò  che  sono,  è  quella  Isabella  che  è  arrivata  sin  qui  e  che  voi  tutti  avete  conosciuto.  Vi  abbraccio.


Cari  amici  sono  di  nuovo  qui.  Speravo  di  tornare  e  mantenere  il  mio  stato  gioioso  per  la  vacanza  che  mi  sono  concessa.  Ma  i  fatti  successi  a  Roma  hanno  creato  in  me  sgomento  e  tristezza  tali  da  togliermi  la  voglia  oggi  di  sorridere e  di  fare  considerazioni  sterili.  Posso  solo  dire  che  fintanto  che  l’uomo  continuerà  ad  essere  stupido,  ignorante,  gretto,  vuoto,  schiavo  dell’alcol,  di  droghe,  innamorato  più  che  del  bello  di  vacuità  e  insensataggini,  il  mio  sorriso  si  tramuterà  in  smorfia  di  dolore  perenne. Vi  abbraccio  e  ringrazio  sentitamente  tutti  per  le  notifiche  inviatemi  in  risposta  al  mio  post  ”Un  saluto”.  A  breve  tornerò  da  voi.  Isabella


In   una  bellissima  poesia  di  Angelo  Barile,  un  grande  poeta  cristiano  dimenticato,  il  mistero  dell’amore  e  della  nascita  è  sfiorato  con  un  pudore  che  ha  il  tocco  della  grazia.

Eccoli,  gli  sposi,  nel  loro  ”acceso  eremo”.

Il  rumore  delle  onde,  che  il  mare  guida  sino  alla  loro  casa  come  a  una  carena,  si  insinua  fin  dentro  i  loro  sogni  e  fa  più  dolce  il  loro  amore.  Non  il  corpo  soltanto  ne  ha  gioia  ma  anche  l’anima,  che  mareggia  senza  più  rive.

Ora,  sul  far  dell’alba,  la  donna  spia  il  suo  grembo,  il  peso  che  cresce  e  che  l’ala  dell’angelo  rende  più  lieve.

L’uomo  è  già  in  cammino,  va  per  la  sua  strada  che  balugina,  strappa  qualche  filo  d’erba,  zufola  un’aria  allegra.  Guarda  il  giorno  che  nasce  alla  marina.

L’amore.  La  nascita.

 

 

 

La  più  notturna  delle  vostre  ore

                  ritremerà  nel  giglio  del  mattino.

 

Giovanni  Cristini

( poeta e giornalista italiano  Brescia  22  gennaio 1925 – 1995.  La  sua  poesia  cresciuta  nel  tempo e  maturata  in  ambito  religioso,  è  stata,  come  ha  scritto  Luigi  Santucci, poeta a sua volta, scrittore  e  romanziere  milanese,  ritenuto  dalla  critica  il  principale  narratore  della  seconda  metà  del  Novecento,  ”una  personale  avventura  di  ricerca,  d’inquietudine  e  di  conferme”.    da  Wikipendia )

 

                                  L’amore  vero,  tu  lo  sai,

                                             è  volere  la  gioia

di  chi  non  ci  appartiene,

                          è  questo  uscire,  traboccare  da  se  stessi

come  il  sangue  dalle  vene

per  un  taglio,

è  l’irrinunciabile,

                              amore  energia  mutabile  eterno  bene.

Giuseppe  Conte   (  Poeta e scrittore contemporaneo  –  Porto  Maurizio – 15 novembre 1945)

 

 

L’augurio  più  sincero  a  tutti  gli  amici  e  non  che  passeranno  di  qui  per  un  Buon  Natale ,  che  possa  essere  un  periodo,  questo  delle  feste,  sereno  per  tutti,  con  tutto  il  cuore.  Isabella

PS    Arianna  si  associa  agli  auguri.

 

 

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Peccato che in questa foto Arianna non rida, la nonna in compenso non si smentisce mai!!

 

Dato   che   questo   è   un   vecchio   post   è   bene   aggiornarlo ,  non   vi   pare   amici ?   Ecco   allora   in   aggiunta   anche  qualche   mia   poesia

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sanfrancescopatronoditalia.it

Ogni   anno
si   rinnova
il   mistero.
Ogni   anno
il   25   dicembre
festeggiamo
la   tua   nascita.
Quest’  anno,
caro   bambino   Gesù ,
le   lacrime
rigano   il   volto
di   tante   persone,
ancor   più   degli   anni   passati.
Son   quelle   persone
senza   più   un   lavoro,
quelle
che   hanno   visto
i   propri   figli   morire
in   incidenti,
le   proprie   figlie  
uccise,
dalla   mano   violenta
di   chi   diceva
di   amarle.
Quelle 
di   chi   vede
in   un   letto   d’  ospedale
soffrire   chi   ama
senza   poter   far   nulla.
Le   lacrime
rigano   il   volto
di   chi   rimane  solo,
di   chi   più   non   spera.
Gesù   bambino,
tenero,   dolce   fagottino,
in   ginocchio,
davanti   a   te
prostrata,
io   ti   prego  :
asciuga   ogni   lacrima
che   scende.
Porta    amore
là   dove   pare   scomparso,
ridai   fiducia
a   chi   più   non   crede,
a   chi   più   non   prega,
a   chi   ha   perso   tutto.
E’   difficile   vivere
quando   tutto   si   sbriciola.
Per   pietà
asciuga   queste   lacrime
che   ormai
scendono   copiose.
T’ imploro     Gesù   Bambino,
vieni   in   nostro   aiuto,
salvaci.
Senza   te,
tutto   è   troppo   complicato.

 

Isabella   Scotti   dicembre   2019

testo  :   copyright   legge   22   aprile   1941   n°   633

”   Bambino   Gesù   asciuga   ogni   lacrima  ”    ( Santo    Giovanni   Paolo   II  )

 

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regardsdefemmes.info

Dicembre
sei   mese
di    magica   atmosfera,
perché   viviamo   con   te
un   periodo   unico,
quello   dell’  avvento.
Siamo   tutti   in   attesa.
Aspettiamo
che   nasca   Gesù.
Abbiamo   nei   cuori
una   gioia
incontenibile.
Tutto   è   addobbato
a   festa.
Luci,   vetrine ,
alberi   sfavillanti,
e    presepi
a   ricordare ,
come   la   vita
semplice
dei   pastori,
sia   in   fondo
un   ottimo   esempio
anche   oggi.
L’  uomo
è   sempre   alla   ricerca
di   qualcosa.
Se   capisse 
che   la   risposta
ai   suoi   perché,
ai   suoi   dubbi,
è   là   nella   mangiatoia
di   quella   capanna, 
allora   il   Natale
avrebbe   davvero   senso.
E   sarebbe   festa
ogni   giorno   a   venire.

 

Isabella   Scotti   dicembre   2019

testo  :   copyright   legge   22   aprile   1941   n°   633

 

RASSICURAMI

 

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italiaora.net

Inquieto
è   il   nostro   vivere.
Cupi
si   son   fatti
i   giorni .
Scesa   è   la   nebbia.
Una   spessa   coltre   che
c’impedisce
di   vedere   oltre.
Mi sento   smarrita.
Se   non   dirada,
lasciando   filtrare
un   pò
di   chiarore,
turbato
resta   il   mio   cuore.
Ho   bisogno   che   Tu  
mi   rassicuri.
Che   Tu,   Signore
venga   in   mio   aiuto.
Non   mi   piace
sentirmi   così,
andare   avanti
alla   cieca.
Rassicurami,
ti   prego.
E   che   la   Tua   luce
rassicuri   anche
il   mondo   intero
per   sempre,
tutta   la   vita.

Isabella   Scotti   dicembre   2019

testo  :   copyright   legge   22   aprile   1941   n°   633

Incipit   in   neretto   dalla   poesia  di   Paul   Géraldy   ”   Sempre   tutta   la   vita  ”

 

E   altre   due   poesie

 

NADALE

 

A   tie   pitzinnu   impotente   e   poveritu
naschiu   intro   de   iverru   fritu
chin   coro   lacrimosu   afritu
custu   ti   pedo   semper  sias   benitu.

Prena   solu   ‘ e   amore
cada   ischìliu
tue   coro   ‘   e   mama
in   morte   e   bida
nostru   solu   aficu.

A   te   bambino   impotente   e   poveretto/   nato   dentro   inverno   freddo/con   cuore   lacrimoso   e   afflitto/questo   ti   chiedo   sempre   tu   sia   benedetto. //   Riempi   solo   d?  Amore /   ogni   vagito/   tu,   cuore   di   mamma/   in   morte   e   in   vita/   nostra   sola   speranza.

 

Presépiu

 

In   sa   gruta   de   su   coro

mi    lacheddas   a   sa   muda

incantada   canto   a   Tie.

 

Chin   sos   res   e   sos   pastores

pro   custoire   segretu

de   mistèriu   no   iscopiau.

 

In   sa   gruta   de   su   coro

mi   lacheddas   a   sa   muda

Incantadu   canto   a   Tie.

 

Canto   s’   Amore

eternu   tuo

in   eternu  donau

in   eternu   donau

 

Nella   grotta   del   mio   cuore/  mi   culli   in   silenzio /   incantata   canto   a   Te //   Con   i   re   magi   e   i   pastori/   per   custodire   il   segreto/   di   mistero   non   svelato// Nella   grotta   del   cuore/   mi   culli   in   silenzio/   incantato   canto   a   te//  Canto   l’ Amore/  tuo   eterno /  In  eterno   donato  /  in  eterno   donato

 

Queste   poesie   in   dialetto   sardo   è   tratta   dal   libro   di   poesie   di   Pipina   Frantzisca   Nieddu    intitolato  ”Fiza   de   pastore”   alla   cui   presentazione   ho   assistito   godendo   di   un   pomeriggio   indimenticabile,   fatto   di   ricordi   e   testimonianze   di   un   tempo   che   fu.   Tradizioni,   canti   portati   e   presentati   dalla   stessa   Giuseppina   accompagnata   dal   marito.   Entrambi   bravissimi   nel   cantare   in   sardo   nenie   dolcissime   che   seppure   lì   per   lì   incomprensibili,   e   poi   tradotte   sono    state   un   piacere   ascoltare.   Con   Giuseppina,   insegnante   di   lettere   in   Sardegna,   Toscana   e   Lazio,   ho   iniziato   il   mio   percorso   di   scrittura   anni   fa.

 

E   ora   con   qualche   foto… l’ albero  di   casa

E    il   presepe  fatto   con   Arianna  (   notare   le   pecorelle   tutte   rigorosamente   in   fila   e   il   bambinello ,  già   messo   ma   coperto   perché   non   ancora   nato,   e   oltre   il   bue   e   l’ asinello   anche   qualche   capretta   per   riscaldare   ancor   di   più   Gesù  che poverino   nella   capanna   avrà   di   certo   molto   freddo.

 

E   per   finire…

 

 

 

Buon   Natale   cari   amici,   e   buon   Natale   a   chi   passerà   qui   per   la   prima   volta.

La   vostra   Isabella

 

 

 


Padre  mio,  mi  sono  affezionato  alla  terra  quanto  non  avrei  creduto.  E’  bella  e  terribile  la  terra.  Io  ci  sono  nato  quasi  di  nascosto,  ci  sono  cresciuto  e  fatto  adulto  in  un  suo  angolo  quieto,  tra  gente  povera,  amabile  ed  esecrabile.  Mi  sono  affezionato  alle  sue  strade,  mi  sono  divenuti  cari  i  poggi  e  i  suoi  uliveti,  le  vigne,  perfino  i  deserti.  E’  solo  una  stazione  per  il  Figlio  tuo  la  terra,  ma  ora  mi  addolora  lasciarla  e  perfino  questi  uomini  e  le  loro  occupazioni,  le  loro  case,  i  loro  ricoveri.  Mi  dà  pena  doverli  abbandonare.  Il  cuore  umano  è  pieno  di  contraddizioni  ma  neppure  un  istante  mi  sono  allontanato  da  te.  Ti  ho  portato  perfino  dove  sembrava  che  non  fossi,  o  avessi  dimenticato  di  essere  stato.   La  vita  sulla  terra  è  dolorosa  ma  è  anche  gioiosa.  Mi  sovvengono  i  piccoli  dell’uomo,  gli  alberi,  gli  animali.  Mancano  oggi  qui,  su  questo  poggio  che  chiamano  ”Calvario”.  Congedarmi  mi  dà  angoscia  più  del  giusto.  Sono  stato  troppo  uomo  tra  gli  uomini,  o  troppo  poco  ?  Il  terrestre  l’ho  fatto  troppo  mio  o  l’ho  rifuggito ?  La  nostalgia  di  Te  è  stata  continua  e  forte.  Tra  non  molto  saremo  ricongiunti  nella  sede  eterna.  Padre  non  giudicarlo  questo  mio  parlarTi  umano  quasi  delirante,  accoglilo  come  un  desiderio  d’amore,  non  guardare  alla  sua  insensatezza. Sono  venuto  sulla  terra  per  fare  la  tua  volontà,  a  volte  l’ho  anche  discussa,  sii  indulgente  con  la  mia  debolezza.  Te  ne  prego.  Quando  saremo  in  cielo  ricongiunti,  sarà  stata  una  prova  grande  ed  essa  non  si  perde  nella  memoria  dell’eternità.  Ma  da  questo  stato  umano  di  abiezione  vengo  ora  a  te,  comprendimi,  nella  mia  debolezza.

Mi  afferrano,  mi  alzano  alla  Croce,  piantata  sulla  collina.  Ahi  Padre  m’inchiodano  le  mani  e  i  piedi…

Qui  termina  veramente  il  cammino.

Il  debito  dell’iniquità  è  pagato  all’iniquità.

Ma  Tu  sai  questo  mistero.

Tu  solo.

 

 

Penso  che  leggere  queste  parole  scritte  da  Mario Luzi  per la  Via Crucis  del  1999,  non possano  che  non  entrare  direttamente  in  ciascuno  di  noi.. Colpisce  ( almeno  è  ciò  che  è  capitato  a  me)  come Luzi  abbia  trattato  l’umanità  di  Gesù.  La  sua  paura,  la  sua  angoscia  nel  dover  affrontare  la  morte,  è  la  stessa penso,  di  tutti  noi,  è  ciò  che  ce  lo  fa  sentire  vicino,  possiamo  comprenderne  la  tristezza  per  essere  costretto  ad  abbandonare  questo  mondo,  e  Luzi  rende  bene  il  concetto  quando  fa  dire  a  Gesù : ”  Mi  sono  diventati  cari i poggi e  i  suoi  uliveti…”  ed  il  timore  di  affrontare  qualcosa  di  cui  ancora  ignora  come  sarà.  Auguro che  ciascuno  possa  un  attimo  riflettere  su  ciò  che  siamo  e  su  ciò  che  ci  aspettiamo  da  questa  vita.  La  preghiera  aiuta  molto,  sempre,  anche  nei  momenti  peggiori,  anzi   proprio con  la  preghiera  si  possono  superare  momenti  di  sconforto  e dolore.  L’ho  sperimentato  varie  volte,  ve  lo  assicuro. La  morte,  il  dolore  ci  appartengono,  sono  la  vita.  Affidiamoci  come  Gesù  al  Padre,  pur  nel  timore  e  angoscia.  Auguro  a  tutti  voi  una  serena  Pasqua.  Vi  voglio  bene.  Isabella

 

 


Risultato immagine per foto di conan doyle e sherlok holmes

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Sherlock  Holmes  sappiamo tutti  essere  nato  dalla  penna   di  sir  Arthur  Conan  Doyle.   Ma conosciamo  come  ciò  avvenne ?  Doyle  era  un  giovane  medico  inglese,  che  essendosi  trovato  un  bel  dì  senza   pazienti,  aveva  incominciato  a  ingannare  la  noia  scrivendo  alcuni  racconti.  Un  pò  per  la  sua  educazione  scientifica,  e  un  pò  per  la  passione  che  nutriva  per  i  romanzi  polizieschi,  gli  venne  in  mente  di  inventare  un  detective  nuovo  e  moderno,  che  rispecchiasse  lo  spirito  razionale  del  XIX secolo. Lo  voleva  intelligente,  dotato  di  una  logica  ferrea.  Capace  di  partire  da  indizi  insignificanti  per  arrivare  a  scoprire  verità  nascoste.  Per sua  fortuna  Doyle  aveva  un  modello  a  cui  fare  riferimento  ed  era  il  professore  Joseph  Bell,  un  illustre  studioso  d’anatomia  che  era  stato  suo  maestro  all’Università  di  Edimburgo.  Secondo  Doyle  aveva  lo  spirito di   un grande ”detective”.  Diceva  che ” gli   aveva  insegnato  ad  usare  gli  occhi,  le  orecchie,  il  naso   le  mani  e  il  cervello  per  fare  una  diagnosi.   Un  giorno  portò  in  aula  un  uomo  e  ci  disse : ”come  avrete  sicuramente  notato,  signori,  quest’uomo  è  un  ciabattino  mancino.  Guardate  come  sono  lisi  i  suoi  calzoni  di  velluto  sul  grembo,  dove  appoggia  le  scarpe  che  deve  riparare.  La  mano  sinistra  è  più  ruvida  della  destra, quasi  a  provare  che  è  mancino.”  Un’altra  volta  con  un  altro  paziente  disse  che  si  trattava  di  un  laccatore  francese,  e  osservando  lo  stupore  dei  suoi  studenti  ridendo  disse: ” E’  molto  semplice  signori,  non  sentite  forse  l’odore  di  lacca  che  impregna  i  suoi  abiti  e  tutto  il  suo  corpo?”  Così  Doyle ricordando  tutto  ciò  decise  di  servirsene  per  dare  vita  al  suo  ”detective”.  Scelse  il  cognome  Holmes  d’istinto,  in  omaggio  al  poeta  americano  Oliver  Wendell  Holmes.  Quanto  al  nome,  il  primo  che  scelse  fu  Sherringford.  Ma  era  un  pò  troppo  lungo  e  somigliava  un  pò  ad  uno  scioglilingua.  Finalmente dopo vari  tentativi,  arrivò  ad  un  vecchio  nome  irlandese :  Sherlock.  Provò  a  pronunciarlo  varie  volte:  ”Sherlock  Holmes…”  e  capì  subito  di  avere  fatto  centro.   In  realtà  la  prima  edizione  dello  ”Studio  in  rosso”  cadde  nell’indifferenza  più  totale.  Doyle  ricevette  un  misero  assegno  chiudendo  con  quello  smacco  la  sua  carriera  di  scrittore.  Nel  1890  capitò  a  Londra  l’editore  americano  Lippincot  che  lesse  la  storia  e  innamoratosene  chiese  a  Doyle  di scrivere  un  racconto  per  la  sua  rivista  letteraria.  Fu  quello ,  ”Il  segno  dei  quattro”,  a  decretare  il  successo  di  Sherlock  Holmes  e  del   suo  autore.  Questo  nuovo  ”detective”  era  nuovo,  eccitante,  bizzarro.  Dimostrava  la  validità  di  metodi  d’indagine  che  erano  quasi  fantascientifici  per  i  suoi  tempi.  Studiava  in  laboratorio  la  composizione  delle  sostanze  arrivando  a  riconoscere  con  sicurezza  eventuali  macchie  di  sangue.  Analizzava  la  polvere.  Prendeva  i  calchi  delle  impronte  lasciate  dalle  scarpe  nel  fango.  E  non  si  trattava  di  trovate  spiritose.  Le  polizie  di  tutto  il  mondo  misero  alla  prova  quei  suoi  metodi  e  li  trovarono  facili  da  realizzare  ma  anche  utilissimi  per  la  soluzione  dei  loro  casi  più  difficili.  Il  commissario  capo  dei  laboratori  scientifici  della  polizia  di  Lione  disse  una  volta  :” Abbiamo  imparato  molto  da  Sherlock  Holmes. Senza  le  sue  teorie  non  saremmo  mai  riusciti  a  fare  i  progressi  che  abbiamo  fatto. ”  La  polizia  egiziana  era  tanto  convinta  dell’utilità   di  Sherlock  Holmes  che  obbligò  i  suoi  agenti  a  leggere  tutte  le  avventure  dell’eroe.  Le  sue  scoperte  ebbero  un  avallo  ufficiale  anche  nella  prima  opera  moderna  di  criminologia,  la  monumentale  ”Investigazione  criminale”  che  il  tedesco  Hans  Gross  pubblicò  nel  1891,  quattro  anni  dopo  la  nascita  dell’immortale  segugio.  Comunque  lo  scrittore  ben  presto  si  stancò  del  suo  personaggio  creato  più  per  ”gioco  intellettuale”  che  altro.  Sognava  di  dedicarsi  più  al  romanzo  storico  e  alla  saggistica  che  considerava  la  sua  vera  vocazione .  Quando  si  rese  conto  che  il  pubblico  era  interessato  ad  Holmes  e  rifiutava  il  resto,  cominciò  a  sentirsi  vittima e  prigioniero  di  quel  ”detective”.   Perfino  la  madre  era  contraria  al  fatto  che  lui  abbandonasse  quei  racconti.    Ma  lo  scrittore,  stufo,  decise  di  far  morire  nelle  acque  della  cascata  di  Reichenbach  il  povero  Holmes  avvinghiato  al  suo  mortale  nemico,  il  professor  Moriarty, in  un  racconto  del  1893.  Solo  nel  1903  a  corto  di  soldi, ne  pubblicò  un  altro sulla  rivista  ”Strand”  che  andò  letteralmente  a  ruba.  Cominciò  così  a  sopportare  quel  suo  personaggio,  a  tal  punto  da  improvvisarsi  in  più  di  una  occasione,  lui  stesso  investigatore.  Si  occupò  così  nel  1903  del  caso  di  un  giovane  avvocato  indiano.  Questi, era accusato  di  avere  mutilato  e  ucciso  decine  di  pony  e  altri  animali .  Come  prova della  sua  colpevolezza  la  polizia   aveva portato  l’impronta  di  un  piede  trovata  vicino  al  cadavere.  Un’impronta  che  corrispondeva  perfettamente  ad  una  scarpa  del  giovane  indiano.  Il  mistero  interessò  Conan  Doyle  che  decise  di  occuparsene. Scoprì  che  il  torturatore  di  animali  usava  un  bisturi  per poter  fare  tagli  netti  e  precisi  mentre  il  giovane  avvocato  mai  avrebbe  potuto  riuscirvi  soffrendo  di  una  gravissima  forma  di  miopia.  Da  allora  lo  scrittore  cominciò  a  considerare  Sherlock  Holmes  come  un  amico  virtuale  il  cui  successo  lo  seguirà  fino  alla  morte  che  arrivò  il  7  luglio  del  1930.

da  un’intervista  di  Nicoletta  Sipios  del 1987  a  ” Stanley  MacKenzie ”segretario   dell’associazione  inglese  dedicata  a  Sherlock  Holmes.  MacKenzie  che  in  gioventù  è  stato  attore,  ha  trasformato  la  sua  casa  in  un  museo  per  raccogliere  pipe,  lanterne,  lenti  d’ingrandimento  d’epoca,  ritratti,  foto  e  libri  rari  tra  i  quali  fanno  spicco  le  copie  originali  dei  4  romanzi  e  dei  56 racconti  dedicati  alle  avventure  di  Sherlock  Holmes.


Vedo   il  demonio

agire  indisturbato.

E’  ovunque.

    Nelle  violenze

di  tutti  i  giorni

verbali  e  fisiche.

Nelle  nostre  azioni 

sconsiderate,

      nei  giovani 

tristi  e  soli

che  buttano  via,

ridendo,

ogni  attimo 

       della  loro  vita,

senza  riflettere

sul   fatto  che

indietro  non  si  torna.

Lo  vedo

nella  solitudine

di  migliaia

di  persone,

nello  sconforto

che  aiuta

      la  depressione.

Nel  cambiamento

di  una  società

dove  sembra

voglia  passare

         il  messaggio

che  ”amori”  tra  simili

siano  così  naturali

da  far  dimenticare,

e  passare  sotto  tono,

          come  in  via  d’estinzione

l’amore

  unico,

di  sempre,

meraviglioso

tra  uomo  e  donna.

Lo  vedo

tranquillo  osservare

guerre

e  gioire

dei  morti

dei  corpi  straziati

e  lacerati

dalle  bombe.

L’uomo  ha  bisogno

di  Voi,  Signore.

Aiutateci  a  sconfiggere

questo  mostro

che  da  troppo  tempo

vince

ovunque  si  annidi

prepotente,  ridanciano.

Non  c’è  speranza

per  noi,

Padre,

senza  il  vostro  aiuto !

Isabella  Scotti

 


Vi capita mai di leggere un libro ed estraniarvi da ciò che vi circonda? Il libro ha questo potere. Quello di farvi entrare in una storia staccandovi un pò dal mondo circostante.Non c’è lettura digitale, per me, che dia la stessa sensazione. Certo leggere un ebook sul tablet può anche essere comodo per vari motivi, ma volete mettere il piacere di ”sfogliare” un libro vero, toccare con mano quella carta dove mille e mille parole si rincorrono dopo essere state create da un autore appassionato? Due libri che ho letto ultimamente mi hanno molto ”estraniata”dalla quotidianità: ”Il terzo ufficiale” di Giuseppe Conte, poeta e scrittore ligure, e ” Dove nessuno ti troverà” di Alicia Gimenez. Il primo, è una storia di mare, che Conte ama profondamente e di cui conosce ogni aspetto, e di marinai, qui descritti attraverso un linguaggio forte, vero, a volte quasi da scaricatore di porto.Ma proprio questo gergo, tipicamente marinaresco,unito ad una descrizione accurata di tutto ciò che fa riferimento alla vita stessa di mare, ci fa entrare in una storia dal sapore avventuroso, dove ciascun personaggio tipicizzato in maniera precisa, pur essendo forte, spavaldo rimane sempre ”uomo” con le sue debolezze ed incertezze. Da leggere. Così come il secondo libro,ambientato a differenza dell’altro, in una Spagna dal caldo
opprimente e dai paesaggi aridi negli anni cinquanta. E’ la storia della cosiddetta ”Pastora” personaggio di sesso ambiguo, realmente esistito, divenuto mito(altro tema, oltre il mare, molto caro a Conte)
per i contadini, come simbolo di reazione ai soldati franchisti,dopo la fine della guerra civile spagnola. Autrice o autore di ventinove omicidi, rimane lassù tra le montagne catalane, anche dopo la fine della guerra, nascosta e braccata dalle forze di polizia.Non dico nulla sul finale perchè ovviamente un pò di mistero non guasta. Una storia comunque scritta in maniera impeccabile, molto incisiva anche se a volte un pò ripetitiva. Comunque affascinante e interessante.Provate a leggerli (mi raccomando, che siano libri da tenere in mano, per una volta niente tecnologia okay? )