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artgeist.it

Brilla   la   luna   tra   il   vento   d’  autunno,

nel   cielo   risplendendo   come   pena   lungamente   sofferta.

Ma  non   sarà   il   poeta   a   rivelare

le   ragioni   segrete,   il   segno   indecifrabile

di   un   cielo   liquido   di   ardente   fuoco

che  annegherebbe   le   anime,

se   sapessero   il   loro   destino   sulla   terra.

La   luna   quasi   mano

divide   ingiustamente,   come   bellezza   usa,

i   suoi   doni   sul   mondo.

Guardo   pallidi   volti.

Guardo   fattezze   amate.

Non   sarò   io   a   baciare   il   dolore   che   nei   volti   si   mostra.

Solo   la   luna   può   chiudere,   baciando,

quelle   palpebre   dolci   che   la   vita   ha   stancate.

Quelle   labbra   lucenti,   labbra   di   luna   pallida,

labbra   sorelle   per   i   tristi   uomini,

sono   un   segno   d’  amore   nella   vita   deserta,

sono   il   concavo   spazio   dove   l’  uomo   respira

e   vola   sulla   terra   ciecamente   girando.

Il   segno   dell’  amore   nei   volti   amati   a   volte

è   solo   la   bianchezza   brillante,

la   dischiusa   bianchezza   di   quei   denti   che   ridono.

Allora   si   che   in   alto   la   luna   si   fa   pallida,

si   estinguono   le   stelle

e   c’è   un’  eco   remota,   uno   splendore   ad   oriente,

vago   suono   di   soli   che   anelano   ad   irrompere.

Quale   gioia,   che   giubilo   quando   il  riso   rifulge !

Quando   un   corpo   adorato,

eretto   nel   suo   nudo,   brilla   come   la   pietra,

come   la   dura   pietra   infiammata   dai   baci.

Guarda   la   bocca.   In   alto   diurno   un   lampeggiare

attraversa   un   bel   volto,   un   cielo   dove   gli   occhi

non   sono   ombra,   ciglia,   inganni   rumorosi,

ma   la   brezza   di   un’  aria   che   percorre   il   mio   corpo

come   un’  eco   di   giunchi   che   cantano   levati

contro   le   acque   vive,   fatte   azzurre   dai   baci.

Il   puro   cuore   amato,   la   verità,   la   vita,

la   certezza   di   un   amore   irraggiante,

la   sua   luce   sui   fiumi,   il   suo   nudo   stillante,

tutto   vive,   resiste   ,   sopravvive   ed   ascende

come   brace   lucente   di   desiderio   ai   cieli.

Ormai   è   soltanto   il   nudo.   Solo   il   riso   nei   denti.

La   luce,   la   sua   gemma   folgorante :   le   labbra.

E’   l’  acqua   che   piedi   adorati   bacia,

come   occulto   mistero   bacia   la   notte   vinta.

Ah   meraviglia   lucida   di   stringer   nelle   braccia

un   odoroso   nudo,   circondato   da   boschi !

Ah   mondo   solitario   che   sotto   i   piedi   gira,

ciecamente   cercando la   sua   sorte   di   baci !

Io   so   chi   ama   e   vive,   chi   muore   e   gira   e   vola.

So   che   lune   si   estinguono,   nascono,   vivon,   piangono.

So   che   due   corpi   amano,   due   anime   si   fondono.

trad.   di    M.   Vazquez    Lopez

Vicente   Aleixandre  

poeta spagnolo (Siviglia 1898-Madrid 1984). Come gli altri scrittori appartenenti alla “Generazione del ’27”, fu sensibile alle correnti estetiche di avanguardia e per molti aspetti la sua poesia può definirsi surrealista, sebbene l’entroterra culturale su cui si modella a sua esperienza sia la grande tradizione poetica di lingua spagnola, e in particolare Góngora e Rubén Darío. Nella sua ricerca Aleixandre tenta di trascendere il piano della coscienza per far emergere le possibilità espressive dell’inconscio, che si configura in una visione del mondo quasi panteistica, in cui la metafora accosta, attraverso immagini e contrasti, aspetti diversi della natura e dell’uomo: spesso le sue metafore alternano visioni fortemente pessimistiche ad analisi più tendenti alla fiducia nel progresso. Uno dei temi ricorrenti della sua poesia è il rifiuto ostile della città e la ricerca di un paradiso che è proiezione dell’infanzia. Fra le sue opere principali sono da ricordare: Ámbito (1928), Espadas como labios (1932; Spade come labbra), Pasión de la tierra (1935; Passione della terra), La destrucción o el amor (1935; La distruzione e l’amore), Sombra del Paraíso (1944; Ombra del Paradiso), Nacimiento último (1953), Historia del corazón (1954; Storia del cuore), En un vasto dominio (1962; In un vasto dominio), Poemas de la consumación (1968; Poemi della consunzione), Sonido de la guerra (1972), Poesía superrealista (1971), Diálogos del conocimiento (1974 e 1976; Dialoghi del conoscere), opera nella quale la poesia approda nell’ambito della riflessione filosofica intorno al tema della morte. Nel 1977 è stato insignito del premio Nobel per la letteratura. Pubblicazioni postume: Epistolario (1986), a cura di J. L. Cano e Nuevos poemas varios (1987; Nuove poesie).

da   Sapere.it


 

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Phis.org

 

Ulivo,

che   sembri

piangere

per   lo   scempio

che   di   te

fa

l’  odiosa   xylella,

non   abbatterti,

non   lasciare

che   ti   uccida

ogni   giorno

di   più.

Ribellati,

ulivo

vecchio   di   secoli.

Alza   i   tuoi   rami

non   lasciare

che   diventino   secchi,

non   soccombere.

Regalaci

ancora

i   tuoi   frutti,

regalaci   ombra,

come   sempre

hai   fatto.

Il   tuo   legno,

durissimo,

non   può   cedere,

non   può   diventare

cartapesta.

Voglio   ancora

in   terra

di   Puglia,

in   campagna,

ovunque   tu   sia,

vederti   rigoglioso,

solare.

Vinci   la   tua   battaglia,

lotta   contro

la   xylella   fastidiosa.

Raddrizza

la   tua   chioma

fluente,

torna   ad   essere

la   pianta   che   eri,

che   sei   sempre   stata.

Torna   a   produrre

quell’ olio   ambrato,

di   cui   tutti   

andiamo   fieri,

resta   con   noi,

non   scomparire.

Come   potremmo

vivere   la   Pasqua

senza   il   dono

di   un   tuo   ramo,

simbolo   della   gioia,

d’  infinito   amore  ?

 

Isabella   Scotti   ottobre  2019

testo  :   copyright   legge   22   aprile   1941   n°   633

Vederli   così   malati   da   vicino,    vi  assicuro   è   una   tristezza.

Ora   per   voi   la   voce   del  grande   Pablo   Neruda

Ode  all’ulivo

Accanto al frusciare
del cereale, tra le onde
del vento sull’avena,
l’ulivo
dal volume argentato,
stirpe austera,
nel suo ritorto
cuore terrestre:
le gracili
ulive
lucidate
dalle dita
che fecero
la colomba
e la chiocciola
marina:
verdi,
innumerevoli,
purissimi
picciuoli
della natura,
e lì
negli
assolati
uliveti,
dove
soltanto
cielo azzurro con cicale
e terra dura
esistono,

il prodigio,
la capsula
perfetta
dell’uliva
che riempie
il fogliame con le sue costellazioni:
più tardi
i recipienti,
il miracolo,
l’olio.
Io amo
le patrie dell’olio,
gli uliveti
di Chacabuco in Cile,
al mattino
le piume di platino
forestali
contro la rugosa
cordigliera,
ad Anacapri, là su,
nella luce tirrena,
la disperazione degli ulivi,
e nella carta d’Europa,
la Spagna,
cesta nera di olive
spolverata di fiori d’arancio
come da una ventata marina.
Olio,
recondita e suprema
condizione della pentola,
piedistallo di pernici,
chiave celeste della maionese,
delicato e saporito
sulle lattughe
e soprannaturale nell’inferno
degli arcivescovili pesciprete.
Olio,
nella nostra voce, nel
nostro coro,
con
intima
mitezza possente
tu canti:
sei lingua
castigliana:
ci sono sillabe di olio,
ci sono parole
utili e profumate
come la tua fragrante materia.
Non soltanto il vino canta,
anche l’olio canta,
vive in noi con la sua luce matura
e tra i beni della terra
io seleziono,
olio,
la tua inesauribile pace,
la tua essenza verde,
il tuo ricolmo tesoro che discende
dalle sorgenti dell’ulivo.

Pablo Neruda 

 

E   il   nostro   Giovanni   Pascoli

 

La canzone dell’ulivo

A’ piedi del vecchio maniero
che ingombrano l’edera e il rovo;
dove abita un bruno sparviero,
non altro, di vivo;

che strilla e si leva, ed a spire

poi torna, turbato nel covo,
chi sa? dall’andare e venire
d’un vecchio balivo:

a’ piedi dell’odio che, alfine,
solo è con le proprie rovine,
piantiamo l’ulivo!

II
l’ulivo che a gli uomini appresti
la bacca ch’è cibo e ch’è luce,
gremita, che alcuna ne resti
pel tordo sassello;

l’ulivo che ombreggi d’un glauco
pallore la rupe già truce,
dov’erri la pecora, e rauco
la chiami l’agnello;

l’ulivo che dia le vermene
pel figlio dell’uomo, che viene
sul mite asinello.

III
Portate il piccone; rimanga
l’aratro nell’ozio dell’aie.
Respinge il marrello e la vanga
lo sterile clivo.

Il clivo che ripido sale,
biancheggia di sassi e di ghiaie;
lo assordano l’ebbre cicale
col grido solivo.

Qui radichi e cresca! Non vuole,
per crescere, ch’aria, che sole,
che tempo, l’ulivo!

IV
Nei massi le barbe, e nel cielo
le piccole foglie d’argento!
Serbate a più gracile stelo
più soffici zolle!

Tra i massi s’avvinchia, e non cede,
se i massi non cedono, al vento.

Lì, soffre, ma cresce, né chiede
più ciò che non volle.

L’ulivo che soffre ma bea,
che ciò ch’è più duro, ciò crea
che scorre più molle.

V
Per sé, c’è chi semina i biondi
solleciti grani cui copra
la neve del verno e cui mondi
lo zefiro estivo.

Per sé, c’è chi pianta l’alloro
che presto l’ombreggi e che sopra
lui regni, al sussurro canoro
del labile rivo.

Non male. Noi mèsse pei figli,
noi, ombra pei figli de’ figli,
piantiamo l’ulivo!

VI
Voi, alberi sùbiti, date
pur ombra a chi pianta ed innesta;
voi, frutto; e le brevi fiammate
col rombo seguace!

Tu, placido e pallido ulivo,
non dare a noi nulla; ma resta!
ma cresci, sicuro e tardivo,
nel tempo che tace!

ma nutri il lumino soletto
che, dopo, ci brilli sul letto
dell’ultima pace!

L’olivo nella storia

L’intensificarsi dei traffici marittimi lungo le coste del Meridione d’Italia ad opera di fenici, greci e romani fu alla base dello sviluppo dell’olivicoltura in Puglia, la cui millenaria civiltà ha profonde radici nella presenza dell’olivo, un albero dotato di grande sobrietà e resistenza, che si adatta anche a terreni magri e superficiali.

La spremitura delle olive per ottenere olio era pratica conosciuta molti secoli prima della venuta di Cristo: le testimonianze di macine primitive sono conservate nei musei dell’isola di Creta, ad Haifa in Israele ed in Egitto. Sono innumerevoli le raffigurazioni plastiche e pittoriche che pongono al centro l’albero di olivo e le pratiche connesse con l’estrazione dell’olio e con la sua utilizzazione come medicina, come alimento, come cosmetico, come fornitore di energia e luce.

Nel museo nazionale di Taranto sono conservate tre anfore antiche ed un sarcofago di un atleta che aveva partecipato alle Panatanee di Atene ed era stato premiato con vasi riccamente ornati contenenti olio di oliva, ricavato dagli olivi piantati da Solone. Questi legiferò nel Seicento a.C. che per tutta l’Attica fosse vietato l’abbattimento degli alberi di olivo; solo in caso di estrema necessità sarebbe stato consentito l’abbattimento di non più di due piante. Ancora oggi è in vigore nel nostro paese una legge emanata nell’immediato dopoguerra per salvaguardare il patrimonio olivicolo da indiscriminati abbattimenti per farne legna da ardere.

Con l’affermarsi dell’Impero Romano, l’olio d’oliva assunse una funzione strategica nel campo del commercio e delle attività di scambio tra i diversi popoli e si intensificarono anche gli studi sulla buona coltivazione dell’olivo. Illustri uomini di cultura, quali Plinio il Vecchio, Catone, Columella, offrirono un notevole contributo di conoscenze sulla coltivazione degli olivi. Secondo Varrone, le olive debbono essere brucate (raccolte a mano) utilizzando, se è necessario, le scale; Plinio rileva i danni che si procurano alle piante dalla bacchiatura ed ordina ai raccoglitori di non scorticare l’albero. Columella descrive i diversi sistemi di estrazione dell’olio dalla drupe.

La presenza dell’olivo nel corso dell’alto Medioevo era piuttosto scarsa. Olivi isolati tra i coltivi o tra le distese pascolative interessavano soprattutto aree a diretta gestione signorile. L’olio comunque non era merce ricca e il suo commercio era condizionato anche dagli ingombranti recipienti con i quali veniva trasportato.

Con la bizantinizzazione dell’Italia meridionale si determinò un nuovo quadro colturale, ma nel frattempo vennero ripristinate anche le colture tradizionali, come l’olivo e la vite.

Ai secoli bui della caduta dell’Impero Romano seguì un periodo di rinnovamento anche per l’olivicoltura, nell’epoca dei Comuni e dei Monasteri. Il commercio dell’olio riprende ad opera dei navigatori veneziani. I porti di Brindisi, Gallipoli, Otranto e Taranto divennero meta di navi che trasportavano enormi quantità di olio; vi si installano fondachi oltre che veneziani, anche toscani, genovesi, russi, inglesi e tedeschi. Il commercio dell’olio d’oliva assunse una tale importanza che nel 1559, il viceré spagnolo Parafran De Rivera dispose la costruzione di una strada che collegasse Napoli alla Puglia, con biforcazioni per la Calabria e l’Abruzzo per consentire un trasporto più rapido dell’olio di oliva.

I primi decenni del XVII secolo segnano, anche in Terra d’Otranto, il momento culminante di quella fase di prosperità che aveva caratterizzato tutto il Cinquecento, ma registrano anche l’inizio di una lunga crisi, che diventerà poi irreversibile per tutto il Mezzogiorno. Il deterioramento delle condizioni climatiche e il lungo ciclo di basse temperature che investirono l’Europa dopo il 1600 furono le cause che determinarono la crisi dei raccolti e le eccezionali carestie. Per fortuna la crisi registrata nella metà del XVII secolo non fu di lunga durata e già verso gli anni Ottanta del Seicento si poteva registrare una forte ripresa dell’economia agricola, con l’oliveto che ancora una volta s’imponeva nel quadro generale del paesaggio agrario. Da allora la coltura dell’ulivo ha conosciuto solo periodi di espansione e le tecniche di coltivazione sono state caratterizzate da un costante progresso. Sono state le abili mani di generazioni di “potatori” e “innestatori” pugliesi a modellare la iniziale forma selvatica dell’olivo, per trasformare le zone boscose in coltivazioni ben curate e regolari, allo scopo di esaltare la funzione produttiva delle piante e nello stesso tempo contenere gli elevati costi di coltivazione e raccolta. Un lavoro duro di secoli, che s’è andato ad incorporare in un grande patrimonio naturale di incomparabile bellezza, caratteristico di ogni angolo di questa terra, tanto da suscitare sorpresa e ammirazione nel visitatore. La Puglia perderebbe ogni identità se venisse a mancare l’olivo dal suo splendido panorama.

https://www.olioterranostra.it/InfoOlio/OlivoNellaStoria.asp

 

E   ora  poteva   forse  mancare  il   grande   Van   Gogh   e   il   suo   famoso   dipinto sugli   ulivi   ?

 

Gli Ulivi - Oliveto - Olive Trees - Van Gogh

   Gli   ulivi   (   Oliveto  )   Van   Gogh   Giugno   1889

 

E   ancora   nel   cinema   :    dalla  serie   televisiva   Maria   di   Nazaret    

 

Gesù,   interpretato   da   Andreas   Pietschmann ,   prega   sul   Monte  degli   ulivi  

 

Buonanotte   cari   amici


Anche   se   siamo   già   ad   ottobre   parliamo   ancora   d’  estate…

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fotocommunity.it      campagna   pugliese

 

 

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salento.it

 

 

Masseria   Narducci   –   foto   booking.com

 

Vorrei  

di   te

poter  

raccontare

il   colore  

d’estate

che  

ti   tramuta

in   perla   rara.

Vorrei  

di   te

parlare,

regalando  

l’immagine

perfetta

di   quello  

che   sei.

Terra  

di   Puglia,

che    con   le   mani

raccolgo,

quando  

in   campagna

tra   secolari   ulivi

m’ attardo.

Bisbiglii  

di   uccelli,

canti   che

si   perdono  

sommessi

tra     

rami  

d’alberi

di   antica  

memoria.

Il   vento  

viene

dal   mare,

smuove  

cespugli,

gli   oleandri  

in   fiore,

mentre  

i   muretti  

a   secco,

si   fan   bollenti,

quando  

il   sole 

di   mezzogiorno

raggiunge

il   punto  

più   alto.

Intanto

d’ intorno    

profumi  

deliziosi

si   perdono  

nell’ aria.

Fiori  

di   mandorlo,

frutta   odorosa,

fico  selvatico,

miele   d’  arancia.

E   com’ è   dolce

poter   godere

dell’  aria   salentina

al   riparo

del   bianco 

porticato

della   masseria,

mentre   un  cielo

pieno   di   stelle

illumina

la   mia   sera.

 

Isabella   Scotti   settembre   2020

testo   :   copyright   legge   22   aprile   1941   n°   633

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 


Foto   Andrea   Romani

Umbria-   foto   Andrea   Romani

 

L’afa   assale   la   terra   già   all’alba.

Sembra   che   nasca   anche   dal   suolo   e   bruci

l’aria   e   l’asfalto   delle   vie   che   si   scioglie

come   liquirizia,   e   manda   odore   d’arsura

dovunque   e   verso   il   cielo   non   più   azzurro.

Intorno,   a   perdita   d’occhio,   è   tutto   secco,

e   l’erba   sulle   scarpate   e   lungo   i   fossi

aspetta   solo   una   scintilla   dalla   pietra

ustoria   per   incendiare   la   pianura.

Anche   il   rivo   delle   lavandaie

che   d’inverno   straripa   e   allaga   gli   orti,

ora   è   asciutto   e   mostra   il   greto   nudo,

desolato   e   osceno   come   un   vecchio   sesso.

Così   la   canicola   consuma

il   cuore   invisibile   dei   giorni

e   il   paesaggio   fino   all’orizzonte,

dove   il   sole   accecante   crea   i   suoi   miraggi.

Nella   distesa   dei   campi   mietuti

resiste   soltanto   la   gentiana   verna, ( * )

il   piccolo   fiore   azzurro   delle   stoppie.

Morirà   nel  suo   mare   d’oro   con   l’estate

sola   con   se   stessa   come   visse,

sotto   il   cielo   nuovo   delle   piogge.

 

Antonio   Seccareccia    (da  ” La  Memoria   Ferita ” )

 

La genzianella di primavera o genziana primaticcia (Gentiana verna )   è   una   pianta   perenne   appartenente   alla   famiglia   delle   Gentianaceae   diffusa   in   Eurasia   e   Nordafrica  .   Il   nome   del   genere   Gentiana ,  deriva   da   Gentius,   re   dell’   Illiria,   a   cui   tale   pianta   è   dedicata,   essendo   stato   il   primo   ad   utilizzarla   a   scopo   medicinale.   L’   aggettivo   latino   verna,   significa   ”  primaverile  ”  

Wikipedia

 

Acrostico   –   Settembre

Foto   Andrea   Romani

Foto   Andrea   Romani  –    Fonti   del   Clitunno   –  Umbria

 

S   on   ricordi  indelebili  e   tristi  quelli   che   restano   di   una

E   state  passata

T   ra   speranze  e

T   anta  angoscia

E    ora   che   nonostante   tutto ,  giunto   è   questo   nuovo

M   ese    ricco   di   date   per   me   importanti

B   ramo   che   un   po’   di   quiete

R    aggiunga   il   mio   cuore

E    ad   essa   mi   possa   abbandonare

 

Isabella   Scotti   settembre   2020

testo   :   copyright   legge   22   aprile   1941   n°   633

 

Foto   Andrea   Romani

Foto   Andrea   Romani


  Si  è  tanto  scritto  sugli  animali  cosiddetti  ”malati  d’uomo”:  il  gatto.  il  cane,  certi  volatili.  Ebbene  anche  i  fiori,  certi  fiori,  vivono  l’estasi  di  una  simile  amorosa  malattia.

Sembrano  spuntare  per  un  omaggio  di  sintonia  e  complicità  con  noi,  in  attesa  delle  punte  delle  dita  che  li  accarezzino,  di  un  gesto  che  li  doni.

I  fiori  ”  malati  d’uomo”  sono  piccole  divinità  della  religione  naturale. ”

Alberto  Bevilacqua

 

L’angolo  della  poesia

 

Fiore  di  montagna

 

Dopo  lunghe  salite

ti  vedo,

là  sulla  roccia,

aggrappato  alla  terra,

arida  e  dura.

Piccolo  fiore  rosa,

rododendro  vigoroso,

forte  e  resistente

sparso  qua  e  là

per  regalare  un  sorriso

a  chi  salendo,

con  fatica,

si  trova  dinanzi

uno  scenario

di  pietre  levigate,

dai  contorni  spigolosi,

appuntiti.

Dolce  rododendro,

fiore  di  montagna,

unico  tocco  delicato,

in  un  deserto  calcareo

roso  dall’acqua

e  inasprito  dal  vento.

Isabella  Scotti

dal  mio  libro  ”Miscellanea…”’

04rododendri_rocce_montonate8263.JPG (708×600)

foto :  tapazovaldoten altervista org- 708-600


Questo  mese  ricevette  il  nome  attuale  dall’imperatore  Augusto  e  fu  scelto  non  perchè  fosse  il  suo  mese  natale,  ma  perchè  fu  il  mese  in  cui  gli  accaddero  gli  avvenimenti  più  fortunati.  Siccome  Luglio  contava  31  giorni   e  Agosto  solo  30,  fu  necessario  aggiungere  a  quest’ultimo  mese,  un  altro  giorno,  in  quanto  l’imperatore  Augusto  non  doveva  essere  sotto  ogni  aspetto  inferiore  a  Giulio  Cesare.

Enciclopedia  Britannica

 

24   Agosto    San  Bartolomeo

15   Agosto  festa  dell’Assunta

16  Agosto   MIO  COMPLEANNO

 

DETTI

”  Tutte  le  lacrime  che  San  Swithin  può  versare,  il  mantello  di  San  Bartolomeo  le  può  asciugare.”

 

”San  Bartolomeo  porta  la  fresca  rugiada  sul  posto.”

 

”Se  il  24  agosto  sarà  bello  e  chiaro  sii  certo  che  l’autunno  non  sarà  avaro”

 

L’ANGOLO   DELLA    POESIA

 

O  più  bello   tra  i  mesi!  Fulgido  re  d’estate

Apogeo  dell’anno

Con  drappi  che  risplendono  di  sole,

O  dolce  Agosto,  appari.

 

R.  Combe  Miller

 

Avanza  Agosto,

Baldanzoso.

Caldi  sorrisi

Regala  alla  terra,

Ma  ahimè

Non  disdegna

Elargire

Anche  brezza

  Mattutina.

E’  un  pò  bizzoso

Agosto:

Sembra  fuoco

Ma  è  anche

Acqua.

Un  pò  come  fa

Marzo,

E  ai  suoi  giochi 

 Allora,

Noi  stiamo  attenti

Sempre  sperando

Più  nel  sole

Che  nei  venti !

 

Isabella  Scotti

 

Il   gallo  di  brughiera  con  un  frullo  d’ali

Salta  tra  l’erica  in  fiore,

Vieni,  andiamo  il  nostro  lieto  sentiero,

E  guardiamo  gli  incanti  di  natura,

Il  grano  frusciante,  il  rovo  coi  suoi  frutti.

E  ogni  creatura  felice.

 

Burns

 

Non  c’è  brezza  sulle  felci,

Nessuna  increspatura  sul  lago;

Sopra  il  nido  sonnecchia  l’aquila,

Nella  macchia  si  è  rifugiato  il  cervo;

Gli  uccellini  più  non  cantano,

La  balzante  nota  sta  immobile.

Tanto  cupa  minaccia  la  nube  tempestosa,

Che  sovrasta  come  un  sudario  viola

La  remota  collina  di  Ben – Ledi.

 

Scott

 

Viveva  dove  il  monte  scende  al  mare,

Dove  fiume  e  marea  s’incontrano,

Sorbo  dorato  di  Menolowan,

Così  la  chiamavano.

 

Nessuna  circostanza  poteva  turbare

        La  sua  anima;

Sorbo  dorato  di  Menolowan

Come  il  tempo  era  immobile  per  lei!

 

I  suoi  amici  crebbero  all’amore,

          Ma  quella  timida  vagabonda,

          Sorbo  dorato  di  Menolowan,

          Sapeva  che  amore  non  era  per  lei.

 

L’amor  suo  era  per  le  cose  selvatiche;

Ascoltare  uno  scoiattolo  squittire,

Nel  dorato  sorbo  di  Menolowan

Era  gioia  abbastanza  per  lei.

 

Lei  dorme  sulla  collina  col  sole  solitario,

Là  dove,  nei  giorni  che  furono,

                  Il  sorbo  dorato  di  Menolowan

così  spesso  le  dava  la  sua  ombra

 

Verrà  il  frutto  scarlatto  a  maturare,

Le scarlatte  fronde  a  stormire,

Il  dorato  sorbo  di  Menolowan,

E  nessun  sogno  sveglieranno  in  lei.

 

Solo  il  vento  si  china  sulla  sua  tomba,

Per  piangerla  e  confortarla,

               E  il  sorbo  dorato  di  Menolowan

                E’  tutto  ciò  che  sappiamo  di  lei.

 

Bliss  Carmen

 

 

 

 

 


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Foto dell’epoca

 

 

DSC_0665       Il   6  giugno  è  stato  l’anniversario  dello  sbarco  in   Normandia.   E  mi  si  sono  affacciati  allora  ricordi  di  un  viaggio ” on  the  road”   fatto  due  estati  fa  ( rigorosamente  in  macchina  e  non  in  moto  per  chi  magari  m’ immaginasse  super  sportiva ).  Un  viaggio  da  noi  effettuato  seguendo  un  itinerario  preciso, ” redatto”  con  cura  e  attenzione  ai  dettagli  da  mio  figlio  che  lo  aveva  già  sperimentato.  Un  viaggio  entusiasmante  di  cui  ho  tenuto  un  diario  giornaliero  per  fermare  attimi  particolari,  avventure  vissute  e  ricordare  luoghi  splendidi  e  ricchi  di  storia.  Ho  scritto  anche  due  poesie  dedicate  una  alla  Bretagna  e  l’altra  alla  Normandia  perchè  questo  è  stato  il  viaggio:  andare  alla  scoperta  di  queste  terre  del  nord  della  Francia.  Di  alcuni luoghi  toccati  ho  intenzione  di  parlarne  in  altri  post,  qui, invece, rifacendomi  all’inizio  di  questo,  voglio  raccontarvi  di  quando  siamo  stati  ad  Omaha  beach  facendo  riferimento  a  quello  da  me  scritto  sul  diario.

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Sono quindi queste mie , impressioni,  anche  riflessioni  che  ho  appuntato  visitando  luoghi  ricchi  di  storia  come  le  spiagge  dello  sbarco  del  6  giugno  1944.  Ecco  cosa  ho  scritto  allora:  ”… Il  20  settembre  del  2012  ci  spostiamo, lasciando  alle  nostre  spalle  la  bella  Bayeaux   avviandoci  verso le spiagge  dello  sbarco.  E’  una  mattina  strana  in  cui  il  sole  si  mescola  o  meglio  si  alterna  a  grosse  nuvole  per  fortuna  che  vanno  e  vengono.  Seguiamo  le  indicazioni  del  navigatore,  finora  validissimo  aiuto  in  terra  di  Francia,  e  percorriamo  strade  alberate,  verde  ovunque,  alte  siepi  e  case  sparpagliate  in  mezzo  a  questo  verde.  Ci  stiamo  avvicinando  a  poco  a  poco,  il  paesaggio  è  molto  suggestivo  quando  all’improvviso  cominciano  ad  apparire  cartelli  per  strade  laterali  con  le indicazioni   ed  i  nomi  delle  più  famose  spiagge  dello  sbarco:  Utha beachOmaha  beach,  Juno  beach,  .  Noi  ci  dirigiamo  verso  Omaha  beach.    Seguendo  il  cartello  arriviamo  in  una  grande  piazza  poco  lontano  dalla  spiaggia,  dove  un’enorme  monumento  ricorda  il  sacrificio  di  migliaia  di  vite  umane.  Direttamente  sulla  spiaggia  c’è  un’altra  opera  scultorea,  intitolata  ”Les  Braves’‘,  dove  risalta  una  poesia,  dedicata  a  tutti  i  ragazzi  che  hanno  preso  parte  a  questo  importante  passaggio  della  seconda  guerra  mondiale  per  fermare  i  tedeschi  nella  loro  avanzata  in  Europa.  Tira  un  pò  di  vento  e  farmi  qualche  fotografia  mi  crea  imbarazzo  se  penso  che  mi  trovo  dove  tanti  giovani  hanno  perso  la  vita,  e  mi  ritorna  in  mente  il  film  ”Il  soldato  Ryan”  con  Tom  Hanks  e  tutte  quelle  scene  terribili  dello  sbarco.   Comunque  ne  facciamo  qualcuna  per  lasciare  poi  la  spiaggia  e  dirigerci  verso  il  cimitero  americano.  Arrivati  attraversiamo  un  lungo  viale  pieno  di  vegetazione  ed  entriamo  in  un  grande  parcheggio.   Iniziamo  così  un  percorso  a  piedi  immersi  nel  verde,  tra  alberi  altissimi  e  una  veduta  mozzafiato  sulla  spiaggia  dello  sbarco.  In  questo  cimitero  riposano  novemilaottocento  americani,  le  cui  croci  di  un  bianco  accecante  improvvisamente  si  stagliano,  tutte  rigorosamente  in  fila  davanti  a  noi  creando  un  contrasto  netto  con  il  verde  luminoso  dell’erba.   Nomi  di  uomini,  prima  che  soldati,  che  leggere  così,  uno  di  seguito  all’altro,  dà  la  dimensione  esatta  della  vastità  di  quella  tragedia,  in  perdite  umane,  in  quel  fatidico  6  giugno  1944.  C’è  un  silenzio  fatto  di  commozione   e  di  preghiera   mentre  camminiamo  in  questo  triste  e  anche  bellissimo  posto.  Tanti  americani  sono  stati  riportati  a  casa,  per  essere  sepolti  nei  loro  luoghi  di  origine,  e  tanti  altri,  canadesi,  francesi,  tedeschi  (  mi  pare  circa  22.000 )  sono  sepolti  in  altrettanti  cimiteri  nelle  vicinanze.  Una  cosa  sbalorditiva,  che  al  pensiero,  mi  fa  quasi  piangere.  Ci   allontaniamo  piano,  in  silenzio  e  arriviamo  al  monumento  eretto  in  nome  della  libertà,  dove  tutti  si  raccolgono  a  leggere  su  di  una  grossa  lapide,  come  si  sviluppò  lo  sbarco  e  dove  erano  localizzate,  lungo  la  costa,  le  forze  alleate.  Proprio  leggendo  qui,  ci  si  rende  conto  dal  vivo  della  precisione,  dello  studio  approfondito  delle  posizioni  di  dislocamento  delle  varie  truppe  di  sbarco.  E  poi  in  cerchio,  su  altre  lapidi,  dietro  il  monumento,  altri  nomi,  altri  morti.  A  questo  punto  ci  avviamo  alla  macchina  senza  parlare,  senza  commenti.  Usciamo  quindi  dal  cimitero  e  ci  dirigiamo  verso  Arromanches,  un  tempo , all’epoca  della  Belle  Epoquè,  ridente  città  balneare,   oggi  luogo  di  rimembranze,  dove  si  viene  oramai  per  scoprire  i  resti  di  questo  che  fu  un  porto  artificiale  creato  per  rifornire  le  truppe  dello  sbarco  garantendo  loro  un’aiuto  importantissimo.  Scendendo  infatti  al  mare,  ci  sono  ancora  i  resti  dei  cassoni  di  cemento  e  acciaio  che  formavano  una  specie  di  diga  contro  le  maree  dell’oceano.   Una  visione  spettrale  che  mette  i  brividi.  Negozi  pieni  di  cimeli,  cartoline  dell’epoca  e  bandiere  francesi,  canadesi,  americane  che  sventolano  sotto  l’azione  di  un  vento  freddo  e  antipatico.  Decidiamo  allora  di   fermarci  a  mangiare  un  panino  per  poi  ripartire  e  proseguire  il  viaggio  con  negli  occhi  ancora  quelle  bianche  croci…”    Adesso  un  pò  di  foto  di  quel  viaggio :

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Arromanches  e  i  cassoni  che  emergono  dall’acqua

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44987_1523319277018_6894824_n  La  spiaggia  di  Omah  beach

 

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Vedute da più angolazioni

 

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Monumento ”Les  Braves”

 

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Due   gabbiani   stazionano   con   davanti   l’ immenso

 

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”Les  Braves” particolare

 

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Cimitero   di    Omah  beach.   Le   foto   sono   più   di   una   per   testimoniare   quanti   giovani   qui   sono   sepolti.   Impressionante

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Io

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Il   consorte   Luciano

 

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Tutte   le   foto   sono   scattate   da   me


Nell’ antico  calendario  romano,  Giugno  era  il  quarto   mese.  Ovidio  afferma  che  a  questo  mese  è  stato  dato  il  nome  in  onore  di  Giunone,  altri  scrittori  collegano  il  termine  col  consolato  di   Giunio  Bruto.  Tuttavia  si  tratta  probabilmente  di  un  riferimento  all’agricoltura  e  in  origine  indicava  il  mese  in  cui  crescono  e  maturano  le  messi.  Gli  Anglosassoni  lo  chiamavano  ”il  mese  asciutto”,  ma  anche  il  ”mese  di  mezza  estate”,  per  contraddistinguerlo  da  Luglio,   ”il  primo  mese  caldo”.  In  giugno  cade  il  solstizio  d’estate.

Enciclopedia  britannica

 

Detti  del  mese

 

”Giugno  piovoso  porta  messe  copiosa”

 

”  Giugno  umido  e  piuttosto  caldo  al  contadino  non  porta  danno”

 

”Foschia  in  maggio  e  caldo  in giugno  di  preoccuparsi  non  c’è  bisogno”

 

”L’11  giugno  San  Barnaba  porta  giorno  lungo  e  notte  corta”

 

”A  San  Barnaba  è  bene  cominciare  il  primo  fieno  a  falciare”

 

”Di  giugno,  falce  in  pugno”  (  suggerito  da  Gina  http://sonoqui.wordpress.com )

 

 

 L’angolo  della  poesia

 

Fugge  maggio,

per  far  posto

al  regale  Giugno.

Ed  eccolo  alfine.

Pieno 

della  sua  luce

dorata,

a  portar  letizia

e  gioia.

I  raggi  del  sole

si  fan  strada

tra  le  fronde.

Spighe  di  grano

ondeggiano

al  vento  e

lucciole  di  sera

s’illuminano  d’incanto.

Eccolo  Giugno,

arriva  tionfante

accompagnato

dal  canto  degli  uccelli

e  si  siede 

sul  suo  trono,

tramutando

in   oro  lucente

le  spente  messi 

della  nostra  terra. 

Isabella  Scotti

 

Poi  i  giunchi  verdi,  così  smaltati  e  verdi,

I  giunchi  sussurreranno,  frusceranno,  fremeranno,

E  sulla  fluttuante  foschia  giungerà,  ingioiellata,

E  ricca  più  d’una  regina,  la  libellula  dagli  occhi  di  giada

E  si  librerà  sui  fiori…aerea  creatura;

Piccoli  arcobaleni  si  rifletteranno  sulle  sue  ali.

Jean  Ingelow

 

 

Scintillante  per  lo  splendore  della  rugiada

L’erica  si  perde  nel  mare  di  verde

Scott

 

 


Padre  mio,  mi  sono  affezionato  alla  terra  quanto  non  avrei  creduto.  E’  bella  e  terribile  la  terra.  Io  ci  sono  nato  quasi  di  nascosto,  ci  sono  cresciuto  e  fatto  adulto  in  un  suo  angolo  quieto,  tra  gente  povera,  amabile  ed  esecrabile.  Mi  sono  affezionato  alle  sue  strade,  mi  sono  divenuti  cari  i  poggi  e  i  suoi  uliveti,  le  vigne,  perfino  i  deserti.  E’  solo  una  stazione  per  il  Figlio  tuo  la  terra,  ma  ora  mi  addolora  lasciarla  e  perfino  questi  uomini  e  le  loro  occupazioni,  le  loro  case,  i  loro  ricoveri.  Mi  dà  pena  doverli  abbandonare.  Il  cuore  umano  è  pieno  di  contraddizioni  ma  neppure  un  istante  mi  sono  allontanato  da  te.  Ti  ho  portato  perfino  dove  sembrava  che  non  fossi,  o  avessi  dimenticato  di  essere  stato.   La  vita  sulla  terra  è  dolorosa  ma  è  anche  gioiosa.  Mi  sovvengono  i  piccoli  dell’uomo,  gli  alberi,  gli  animali.  Mancano  oggi  qui,  su  questo  poggio  che  chiamano  ”Calvario”.  Congedarmi  mi  dà  angoscia  più  del  giusto.  Sono  stato  troppo  uomo  tra  gli  uomini,  o  troppo  poco  ?  Il  terrestre  l’ho  fatto  troppo  mio  o  l’ho  rifuggito ?  La  nostalgia  di  Te  è  stata  continua  e  forte.  Tra  non  molto  saremo  ricongiunti  nella  sede  eterna.  Padre  non  giudicarlo  questo  mio  parlarTi  umano  quasi  delirante,  accoglilo  come  un  desiderio  d’amore,  non  guardare  alla  sua  insensatezza. Sono  venuto  sulla  terra  per  fare  la  tua  volontà,  a  volte  l’ho  anche  discussa,  sii  indulgente  con  la  mia  debolezza.  Te  ne  prego.  Quando  saremo  in  cielo  ricongiunti,  sarà  stata  una  prova  grande  ed  essa  non  si  perde  nella  memoria  dell’eternità.  Ma  da  questo  stato  umano  di  abiezione  vengo  ora  a  te,  comprendimi,  nella  mia  debolezza.

Mi  afferrano,  mi  alzano  alla  Croce,  piantata  sulla  collina.  Ahi  Padre  m’inchiodano  le  mani  e  i  piedi…

Qui  termina  veramente  il  cammino.

Il  debito  dell’iniquità  è  pagato  all’iniquità.

Ma  Tu  sai  questo  mistero.

Tu  solo.

 

 

Penso  che  leggere  queste  parole  scritte  da  Mario Luzi  per la  Via Crucis  del  1999,  non possano  che  non  entrare  direttamente  in  ciascuno  di  noi.. Colpisce  ( almeno  è  ciò  che  è  capitato  a  me)  come Luzi  abbia  trattato  l’umanità  di  Gesù.  La  sua  paura,  la  sua  angoscia  nel  dover  affrontare  la  morte,  è  la  stessa penso,  di  tutti  noi,  è  ciò  che  ce  lo  fa  sentire  vicino,  possiamo  comprenderne  la  tristezza  per  essere  costretto  ad  abbandonare  questo  mondo,  e  Luzi  rende  bene  il  concetto  quando  fa  dire  a  Gesù : ”  Mi  sono  diventati  cari i poggi e  i  suoi  uliveti…”  ed  il  timore  di  affrontare  qualcosa  di  cui  ancora  ignora  come  sarà.  Auguro che  ciascuno  possa  un  attimo  riflettere  su  ciò  che  siamo  e  su  ciò  che  ci  aspettiamo  da  questa  vita.  La  preghiera  aiuta  molto,  sempre,  anche  nei  momenti  peggiori,  anzi   proprio con  la  preghiera  si  possono  superare  momenti  di  sconforto  e dolore.  L’ho  sperimentato  varie  volte,  ve  lo  assicuro. La  morte,  il  dolore  ci  appartengono,  sono  la  vita.  Affidiamoci  come  Gesù  al  Padre,  pur  nel  timore  e  angoscia.  Auguro  a  tutti  voi  una  serena  Pasqua.  Vi  voglio  bene.  Isabella