Avrei preferito dedicarti dei versi. Ma so che poi rideresti prendendomi in giro. Come facevi sempre quando leggevi una mia poesia. Bastava un verso per cucirci sopra una battuta, una spiritosaggine. E tutti giù a ridere, compresa io che ero magari ” partita ” tutta seria. Si, mi sarebbe piaciuto caro Ricky per farti ridere ancora. Ma in realtà cosa potrei scrivere oggi se non che farti gli auguri.
Oggi i tuoi anni sarebbero 35. Nessuno di noi potrà più festeggiarti come facevamo sempre, tutti insieme riuniti. Aspettavamo che le ferie di agosto finissero per stare tutti insieme davanti ad una torta, e vederti soffiare sulle candeline. Ora faremo finta che tu ci sia lo stesso. Come davanti a quel dolce nel giorno dei tuoi 34 anni. Mai, nessuno di noi, avrebbe potuto immaginare che la tua vita si sarebbe fermata al numero di quelle candele. Ricorda che comunque, anche se la tua vita qui in terra, è finita, mai finirà nei nostri cuori. Lì vivrai per sempre . Non ti dimenticheranno mai i tuoi genitori, Paolo e Maria, Valeria tua sorella, i tuoi cugini tutti, la tua nonna Loredana, le tue zie pugliesi, tuo zio Luciano ed io caro nipote, cucciolo adorato. Auguri, caro Ricky, ovunque tu sia. Sicuramente vicino a nonno Tonino , a nonno Salvatore, a nonna Lucia e a don Vincenzo .
Bello come il sole
Aspetta, non ho finito. Ho pensato di farti un regalo. Sono sicura che da lassù sorriderai una volta in più vedendo di che si tratta. Ecco…
Guarda che spettacolo Ricky . Quante volte ti sei affacciato dal nostro balcone. Ti piaceva, con Andrea durante le feste , fumare insieme una sigaretta e guardare Roma tutta illuminata. Bello eh ? E tu sai anche cosa nasconde quel camion, cosa c’è dietro di lui…
Eccolo, tutto per te
Il tuo campo di rugby . Buon compleanno caro Ricky !!! Ti voglio bene
Decisamente uno spettacolo , non c’è che dire.
Milano ospita l’Expò 2015 …Milano costretta ad ”ospitare” come in un campo profughi migranti con 104 ( o 108, ma il numero non fa differenza ) casi di scabbia , alla stazione centrale. Luogo di transito per chi decide da altri luoghi di visitare l’Expò , o per motivi di lavoro deve prendere il treno. Situazione decisamente simpatica sia come immagine, che come testimonianza di come questo problema sia nelle alte sfere ben gestito. A Roma capitale si sgombra la stazione Tiburtina : migranti che finiranno dove visto che i centri di accoglienza sono tutti al collasso? Sono semplicemente nauseata. A quando un interesse maggiore sul come fermare questi sbarchi? Politiche fasulle, parole di cui riempirsi la bocca ( solidarietà, emergenza umanitaria, bla, bla , bla ). Tutto vero, per carità. Ma nessuno che decide veramente, affrontando la cosa direttamente nei luoghi da dove tutto ha inizio, Libia in primis. Ora, al punto in cui siamo arrivati, aspettiamo le mosse future. O si decide seriamente di mettere un freno a tutto ciò o coliamo a picco.
Per celebrare i cento anni di vita di Roma nel 1970 fu chiesto alla nota giornalista Miriam Mafai ( giornalista, scrittrice, tra i fondatori del giornale ”La Repubblica”) di fare una ricerca che testimoniasse come si viveva nel 1870 in città. Ne venne fuori un libro :”Roma cento anni fa’. Molto piacevole nella lettura , qui alcune descrizioni davvero interessanti.
Duecentoventimila abitanti, dei quali quasi la metà senza professione ma che se la cavavano vivendo di espedienti e di beneficenza. 65 botteghe di fabbri ferrai, 12 di armi, 9 di coltelli, una decina di manifatture di lana, seta e cotone, 38 tipografie, una grande manifattura tabacchi, 20 piccole fornaci,1500 orefici, 31 negozi di anticaglie e belle arti, 323 chiese, 221 case religiose, 340 opere pie, 50 alberghi e locande, 30 trattorie e centinaie di osterie : questa era Roma nel 1870.
”In via dei Delfini, dietro le Botteghe Oscure, al numero 36 si affitta tutto un primo piano; dieci vani di cui quattro molto ampi, una bella cucina, cantina, soffitta, acqua da lavare e da bere, illuminazione a gas per le scale e guardiaportone. La cifra richiesta è di trenta scudi al mese, poco più di centocinquanta lire, pari allo stipendio di un professore universitario. E’ l’estate del 1870. Le osservazioni meteorologiche, fatte dalla specola del Collegio Romano e quotidianamente pubblicate dal Giornale di Roma, avvertono che sono stati superati i 34 gradi, Roma sa di cavoli fradici e di sterco di cavalli. Dai mucchi di monnezza rovesciati a tutti gli angoli di strada e continuamente rimossi dai bastoni dei mendicanti, si levano nugoli di mosche. Per fortuna le giornate di calura sono interrotte da improvvisi temporali e rinfrescate. Allora la pioggia lava le strade e dalle grandi ville, fitte di cipressi e di pini che arrivano fino al centro della città, si leva il profumo acuto della terra bagnata e dell’erba orio fresca. A Castro Pretorio, — è l’estremo limite, da quella parte —-della città, per iniziativa di Monsignor De Merode sono state costruite da poco le caserme degli zuavi; l’Esquilino e il Viminale sono coperti dai boschi, dai palmeti e dalle piante esotiche di Villa Massimo. Sull’Aventino, attorno ai Cavalieri di Malta, si stendono giardini ed orti di conventi, attorno alla collinetta di cocci, ci sono terreni incolti e grotte dove gli osti di Roma tengono il vino in fresco. I polli razzolano nei cortili di Trastevere, dai muretti che recingono gli orti spuntano mucchi di letame. Orti, vigneti, boscaglia ricoprono i prati a Castel S. Angelo, al porto di Ripa Grande attraccano i barconi pieni di legna e di carbone. Le pecore brulicano al Colosseo, l’alba viene annunciata dai richiami dei galli. Sul Palatino c’è il mercato del bestiame, a Campo de’ Fiori il mercato della frutta e delle anticaglie, a Piazza Montanara il mercato dei braccianti. …
…Nonostante il caldo i romani, nei mesi di luglio e di agosto, restano in città, nelle case che le tende pesanti, le persiane chiuse e la stoppa nei campanelli difendono dal caldo e dai rumori. Il pomeriggio si dorme; la sera, quando scende il ponentino, i borghesi arrivano in uno dei Caffè del Corso a mangiare un gelato, le signore fanno una passeggiata al Pincio. Nei quartieri popolari, a Monti, a Trastevere, si vive per strada, ci si disseta con il vino all’osteria o con la limonata al chioschetto decorato di frasche….
…La città era raccolta entro le mura aureliane. Le antiche porte, Porta Salara, Porta Maggiore, Porta S. Giovanni, Porta S. Paolo, la difendevano dai miasmi della malaria che sovrastava l’agro, una campagna piatta e desolata dove pascolavano centinaia di migliaia di pecore e bufali che procuravano ai romani abbacchio a buon mercato e la migliore ricotta e provatura d’Italia, e profitti crescenti ai ”mercanti di campagna”, affittuari e fattori degli immensi latifondi, proprietà della chiesa e di alcune famiglie patrizie. Dal punto di vista economico e sociale la città era in arretrato non solo nei confronti di Parigi e Londra, ma anche nei confronti di Milano, Napoli, Torino. Era lenta, pigra, e come rassegnata al peso schiacciante della propria tradizione. I suoi aristocratici avevano abitudini di vita rozze, erano altezzosi ed ignoranti; la ricchezza dei suoi borghesi era recente e di troppo fresca origine contadina; la sua università era decaduta; la sua amministrazione inefficiente e corrotta; la sua difesa affidata ad un esercito mercenario.”
Fonte . Dal libro di Miriam Mafai ”Roma cento anni fa”
L’angolo della poesia
Roma
Il Tevere stasera fa quasi paura.
E’ gonfio,
corre veloce,
chissà dove vuole andare…
Roma è stupenda di notte,
maestosa con i suoi palazzi
che si affacciano sul fiume,
i ponti, le alte statue
che sembrano guardare il cielo.
Tutta illuminata
ha un fascino unico,
speciale, imponente.
E’ una visione magica
che conquista
e fa sognare.
E’ Roma…l’unica, la capitale.
Isabella Scotti
Questa poesia è una delle prime che ho scritto, quando mi trovavo in ospedale sull’isola Tiberina al Fatebenefratelli. Di sera, era agosto, reparto ortopedia, dalla grande terrazza dove si poteva stare per prendere un pò d’aria ( per fortuna ) lo spettacolo del Tevere m’ispirò questi pochi versi. Una degenza alleviata proprio dall’opportunità di poter uscire su questa grande terrazza e osservare il fiume sotto di me, illuminato da mille luci nelle sere estive in attesa dell’intervento. Una meraviglia.
Ed ora quattro canzoni per salutare Roma. Quattro modi e stili diversi per dimostrare quanto amore possa generare questa città in chi la vive e sente sua.
htpp://www.tesoridiroma.net/galleria/campidoglio/foto/
Vorrei scusarmi con tutti voi amici per aver nominato, rispondendo ad un commento di Sherazade 2011, Mastroianni come interprete di Rugantino, cosa non vera. Marcello è stato un grande Rodolfo Valentino in ” Ciao Rudy” ma mai ha interpretato appunto Rugantino. Sorry per la svista.
Cari amici sono di nuovo qui. Speravo di tornare e mantenere il mio stato gioioso per la vacanza che mi sono concessa. Ma i fatti successi a Roma hanno creato in me sgomento e tristezza tali da togliermi la voglia oggi di sorridere e di fare considerazioni sterili. Posso solo dire che fintanto che l’uomo continuerà ad essere stupido, ignorante, gretto, vuoto, schiavo dell’alcol, di droghe, innamorato più che del bello di vacuità e insensataggini, il mio sorriso si tramuterà in smorfia di dolore perenne. Vi abbraccio e ringrazio sentitamente tutti per le notifiche inviatemi in risposta al mio post ”Un saluto”. A breve tornerò da voi. Isabella
<< Il mondo mediterraneo fino all’affermazione della supremazia romana, era molto eterogeneo. Ciascun popolo si differenziava anche e soprattutto per le abitudini alimentari e conviviali. E quando Roma si rafforzò in potenza , essa diventò un crogiolo di razze dove uomini diversi, provenienti da tutti gli angoli del mondo allora conosciuto, s’incontravano mescolando gusti e abitudini a tavola. Inoltre qui vivevano, tutti coloro che portati come schiavi da lontani paesi ,erano divenuti pedagoghi ,coppieri, cuochi riversando nella vita di tutti i giorni,le loro abitudini comprese quelle alimentari. A Roma s’incontravano così tutte le culture, le mode, e le cucine del tempo ed essa assorbì tutti questi influssi, ma ne fece anche una cernita. Perciò, alla fine, fu soltanto lei, con i suoi gusti e le sue scelte, a dire l’ultima parola; e la sua influenza impose il suo modo di vita nel resto dell’impero. Le notizie che si hanno sull’alimentazione e i banchetti romani sono molte e ci vengono soprattutto da scrittori, poeti , e storici latini a partire dagli autori dei Trattati di Agricoltura, il più antico tra i quali , Catone il Censore, scrisse tra il III e II secolo a. C. e ci lasciò ottime ricette di cucina, dove ingredienti e dosi, metodi di cottura possono venire utilizzati anche oggi. Più tardi i poeti iniziarono a raccontare e descrivere momenti conviviali tra amici, fastosi banchetti offerti dagli imperatori. Il raffinato Petronio dedica una parte del suo Satyricon al banchetto di Trimalcione che viene rappresentato mentre scimmiotta l’imperatore e la sua corte. Giovenale ci racconta di un gigantesco rombo regalato a Domiziano da un pescatore, che non trovando una pentola adatta a contenerlo , provocò una sessione straordinaria al Senato che decise di far fare un tegame su misura per cucinarlo. Plinio il Vecchio ci racconta di pane e frutta mentre Varrone e Columella ci descrivono i vari impianti zootecnici, tra i quali , molto interessanti, quelli dei piscinarii, così chiamati i proprietari di allevamenti di pesci. Anche gli storici ci raccontano cose simpatiche in materia. Da Sparziano apprendiamo qual’era il piatto preferito di Adriano: il tetrafarmaco. Una pietanza che consisteva in un involucro di pasta dolce nel quale venivano rinchiuse carni di fagiano, lepre e cinghiale. Plinio il Vecchio ci racconta di come Tiberio adorasse i cetrioli, tanto che i suoi giardinieri avevano inventato delle serre, coperte da vetri e montate su ruote, per sfruttare al meglio il sole e farglieli avere così tutto l’anno. Preferiva a cibi costosi radici e verdure ed era ghiotto anche di pastinache, un tipo di carote che faceva venire appositamente dalla Germania dove crescevano le migliori. Apicio era un famoso e ricchissimo gastronomo che si rovinò per la sua tavola. Egli era capace di armare una nave e solcare le acque del Mediterraneo per cercare di procurarsi gamberi di dimensioni fuori del normale. Così fece quando seppe che quelli libici lo erano davvero. Ma ahimè l’informazione si rivelò infondata e tornò quindi amaramente indietro. Come conseguenza di tali follie il suo patrimonio, che per altri sarebbe stato principesco,si ridusse per lui ad una cifra tale, inadeguata ( sempre secondo lui ) al tenore di vita al quale era abituato. A questo punto preferì offrire una cena memorabile, mise del veleno nell’ultima coppa di vino e terminò la sua vita su di un letto tricliniare, come era a lui più congeniale. Questo, secondo Marziale, fu il suo più notevole atto di golosità. Di Apicio si parlò molto, tanto da entrare nella leggenda. Esiste un libro di ricette, scritto da altri , all’interno del quale ci potrebbero essere alcune sue ricette. Il De re coquinaria ( ”Sulla cucina” ) che scritto in latino tardo, nel IV secolo d.C contiene molte ricette e sembrerebbero riunite scegliendole da vari testi. Sicuramente alcune ricette sono tratte da testi di cucina greci e latini andati perduti ed ecco quindi l’importanza di tale testo , l’unico pervenutoci ed al quale fare riferimento per la cucina antica.>> Ho riletto questo articolo, che giudico molto interessante, prendendo dalla mia libreria la rivista ” ARCHEO-attualità del passato” sfogliandola come faccio spesso, anche con altri libri e riviste che ho in notevole quantità, ogni volta che mi diletto nello ”spolvero quotidiano”. Spero abbia interessato anche voi e vi aspetto alla prossima dove parlerò di Pompei ed Ercolano.
fonte: <<Archeo- attualità del passato >> articolo di Eugenia Salza Prina Ricotti dicembre 1988