Uno dei primi a conferire dignità artistica piena e indiscutibile al cinema che ancora era considerato all’epoca un’arte inferiore fu, assieme a David Wark Griffith, il regista padre del racconto cinematografico, senza dubbio alcuno Charlie Chaplin. Anche se questo grande attore, regista, produttore, musicista, a detta dello storico Lewis Jacobs, ha contribuito poco allo sviluppo del linguaggio cinematografico, anche se la sua arte non può essere definita teatrale, perchè proprio il cinema le conferisce intensità e forza espressiva, tuttavia Chaplin ha utilizzato del cinema quello che ha trovato, senza inventare stili particolari. Tutta la sua grandezza può essere riconducibile alla recitazione, nella prodigiosa mimica, nella straordinaria capacità di cambiare disinvoltamente registro. Dal comico al tragico. Dal ridicolo al patetico. Piaceva molto, per queste variazioni sublimi, al regista russo Sergej Ejzenstejn che vedeva in lui il più felice esempio della composizione patetica, destinata a far nascere nello spettatore uno stato di tensione e portarlo quasi in estasi. Come racconta lui stesso nella sua autobiografia, Chaplin deve il segreto della sua arte tutto o quasi alla madre Hannah e all’arte della pantomima appresa e praticata nei pub di Londra. La madre per prima lo iniziò alla pantomima, facendolo affacciare alla finestra, invitandolo a notare tutte le caratteristiche dei passanti e facendone buffe imitazioni. Era la vita come spettacolo che si offriva al piccolo londinese degli slums : ”Sedeva per ore alla finestra, osservando la gente giù per la strada e descrivendo con le mani, gli occhi e l’espressione del viso esattamente quello che accadeva dabbasso. Intanto lanciava un fuoco di fila di commenti. Ed è stato osservando e ascoltando lei che ho imparato non solo a esprimere le mie emozioni con la faccia, ma anche a osservare e a studiare la gente.” Fare cinema, per Chaplin, ha sempre quindi significato conservare un intenso vivo rapporto con l’immagine materna e con il suo ricordo. Il suo battesimo teatrale, anticipato da condizioni miserabili, pare sia avvenuto improvvisamente in una sera del 1894, prima dell’invenzione del cinema stesso. Quella volta, in seguito all’improvvisa perdita di voce di Hannah, che cantava in un palcoscenico per rozzi e turbolenti spettatori, Chaplin fu spinto ad esibirsi in una canzone che descriveva le delusioni dei vecchi compagni per le arie che un vagabondo come loro si dava dopo aver ricevuto un’eredità. La vera e propria scuola di Chaplin fu comunque la English Pantomime di Fred Karno, che gli insegnò alcuni espedienti come ad esempio rappresentare l’assurdo con la massima serietà ( chi non ricorda la scena delle scarpe mangiate ne ”La febbre dell’oro? ) e l’altro trucco fondamentale di spezzare sovente i numeri comici inserendo un momento sentimentale, una canzone o una figura patetica ( da ricordare ad esempio l’alternanza di comico e patetico su cui si basa il film ”Il circo”). Così quando lasciò sia Karno che Sennet ( quello delle ”torte in faccia” di cui parlo in un mio post http://isabellascottiwordpress.com/2014/06/28/gli-ingredient…orte-in-faccia ) con i quali aveva lavorato, per mettersi in proprio, non dovette fare altro che riprendere le cose imparate prima, adattandole al nuovo stile, adottato nella troupe di Sennet divenendo: Charlot. Il suo omino con la bombetta, che oscillava tra il ridicolo e il poetico, scaturisce dalla fusione di queste due tradizioni: quella americana dello ”slapstick” ( torte in faccia) tra scherzi vivaci e pesanti, e quella inglese del melodramma vittoriano, dickensiano, con i suoi tuguri, le ragazze malate, deboli e poverissime, le violenze e i soprusi dei potenti.
Chaplin, Charles Spencer, detto Charlie, nasce a Londra il 16 aprile 1889. Figlio d’arte esordisce a cinque anni nei teatrini inglesi. Passa l’adolescenza tra strada e orfanotrofio. Poi viene assunto, col fratello maggiore Sidney, da Fred Karno, grande sostenitore della pantomima inglese. La sua famiglia di artisti di music- hall cade quindi in miseria, e Charlie decide allora d’imbarcarsi alla volta degli Stati Uniti nel 1912. Notato da Mack Sennet, nel 1914, viene scritturato dalla casa cinematografica Keystone. Già qui adotta il profilo che lo renderà famoso: bombetta, baffetti, scarpe e pantaloni troppo grandi. Insoddisfatto lascia la Keystone e comincia a realizzare da solo i suoi film, ( di un rullo, poi di due rulli ) ad un ritmo frenetico. Prima per la Essanay ( 1915) – dove abbandona la meccanica slapstick ( le ”torte in faccia” ) e diventa Charlot , l’omino disoccupato, innamorato e vessato ; poi passa alla Mutual ( 1916 ) dove fa film aggraziati e film socialmente radicali. Quindi, per un milione di dollari, passa alla First National ( 1918 ): come Chaplin era un comico di talento, come Charlot semplicemente un genio. In pochi anni ottiene un successo folgorante. Insieme a Griffith, Fairbanks e Mary Pikford, fonda nel 1919 la United Artist e si dedica alla realizzazione di accurati lungometraggi. E’ il comico più popolare d’America; infine di tutto il mondo. ”Diventa celebre come Sarah Bernhardt e Napoleone” dice Louis Delluc. Per intere generazioni ha rappresentato il cinema stesso.
FILMOGRAFIA
Per la Keystone ( 1914 ): 35 film, da Making a living ( Charlot giornalista ), a His Prehistoric Past
Per la Essanay ( 1915 – 1916) : 14 film, da His New Job, a Police
Per la Mutual ( 1916 – 1917 ): 12 film, da The Floorwalker ( Charlot commesso ) a The Adventurer ( L’evaso )
Per la Firts National ( 1918 – 1923 ) : una dozzina di film, da How to Make Movies ( cortometraggio comico che mostra lo studio di Chaplin ) a The Pilgrim ( Il pellegrino )
Per la United Artist, 8 film: A Woman of Paris ( Una donna di Parigi , 1923), The Gold Rush ( La febbre dell’oro, 1925 ) The Circus ( Il circo 1928), City lights ( Le luci della città, 1931 ), Modern Times ( Tempi moderni , 1936 ), The Great Dictator ( Il grande dittatore, 1940 ), Monsieur Verdoux ( Monsieur Verdoux, 1947 ), Limelight ( Luci della ribalta, 1952 ).
Inoltre di produzione britannica : A king in New York ( Un re a New York, 1957) e A Countess from Hong Kong ( La contessa di Hong Kong, 1967 ).
Fonte : Corriere della Sera- Cinema – Dal muto ai giorni nostri