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Ulivo,

che   sembri

piangere

per   lo   scempio

che   di   te

fa

l’  odiosa   xylella,

non   abbatterti,

non   lasciare

che   ti   uccida

ogni   giorno

di   più.

Ribellati,

ulivo

vecchio   di   secoli.

Alza   i   tuoi   rami

non   lasciare

che   diventino   secchi,

non   soccombere.

Regalaci

ancora

i   tuoi   frutti,

regalaci   ombra,

come   sempre

hai   fatto.

Il   tuo   legno,

durissimo,

non   può   cedere,

non   può   diventare

cartapesta.

Voglio   ancora

in   terra

di   Puglia,

in   campagna,

ovunque   tu   sia,

vederti   rigoglioso,

solare.

Vinci   la   tua   battaglia,

lotta   contro

la   xylella   fastidiosa.

Raddrizza

la   tua   chioma

fluente,

torna   ad   essere

la   pianta   che   eri,

che   sei   sempre   stata.

Torna   a   produrre

quell’ olio   ambrato,

di   cui   tutti   

andiamo   fieri,

resta   con   noi,

non   scomparire.

Come   potremmo

vivere   la   Pasqua

senza   il   dono

di   un   tuo   ramo,

simbolo   della   gioia,

d’  infinito   amore  ?

 

Isabella   Scotti   ottobre  2019

testo  :   copyright   legge   22   aprile   1941   n°   633

Vederli   così   malati   da   vicino,    vi  assicuro   è   una   tristezza.

Ora   per   voi   la   voce   del  grande   Pablo   Neruda

Ode  all’ulivo

Accanto al frusciare
del cereale, tra le onde
del vento sull’avena,
l’ulivo
dal volume argentato,
stirpe austera,
nel suo ritorto
cuore terrestre:
le gracili
ulive
lucidate
dalle dita
che fecero
la colomba
e la chiocciola
marina:
verdi,
innumerevoli,
purissimi
picciuoli
della natura,
e lì
negli
assolati
uliveti,
dove
soltanto
cielo azzurro con cicale
e terra dura
esistono,

il prodigio,
la capsula
perfetta
dell’uliva
che riempie
il fogliame con le sue costellazioni:
più tardi
i recipienti,
il miracolo,
l’olio.
Io amo
le patrie dell’olio,
gli uliveti
di Chacabuco in Cile,
al mattino
le piume di platino
forestali
contro la rugosa
cordigliera,
ad Anacapri, là su,
nella luce tirrena,
la disperazione degli ulivi,
e nella carta d’Europa,
la Spagna,
cesta nera di olive
spolverata di fiori d’arancio
come da una ventata marina.
Olio,
recondita e suprema
condizione della pentola,
piedistallo di pernici,
chiave celeste della maionese,
delicato e saporito
sulle lattughe
e soprannaturale nell’inferno
degli arcivescovili pesciprete.
Olio,
nella nostra voce, nel
nostro coro,
con
intima
mitezza possente
tu canti:
sei lingua
castigliana:
ci sono sillabe di olio,
ci sono parole
utili e profumate
come la tua fragrante materia.
Non soltanto il vino canta,
anche l’olio canta,
vive in noi con la sua luce matura
e tra i beni della terra
io seleziono,
olio,
la tua inesauribile pace,
la tua essenza verde,
il tuo ricolmo tesoro che discende
dalle sorgenti dell’ulivo.

Pablo Neruda 

 

E   il   nostro   Giovanni   Pascoli

 

La canzone dell’ulivo

A’ piedi del vecchio maniero
che ingombrano l’edera e il rovo;
dove abita un bruno sparviero,
non altro, di vivo;

che strilla e si leva, ed a spire

poi torna, turbato nel covo,
chi sa? dall’andare e venire
d’un vecchio balivo:

a’ piedi dell’odio che, alfine,
solo è con le proprie rovine,
piantiamo l’ulivo!

II
l’ulivo che a gli uomini appresti
la bacca ch’è cibo e ch’è luce,
gremita, che alcuna ne resti
pel tordo sassello;

l’ulivo che ombreggi d’un glauco
pallore la rupe già truce,
dov’erri la pecora, e rauco
la chiami l’agnello;

l’ulivo che dia le vermene
pel figlio dell’uomo, che viene
sul mite asinello.

III
Portate il piccone; rimanga
l’aratro nell’ozio dell’aie.
Respinge il marrello e la vanga
lo sterile clivo.

Il clivo che ripido sale,
biancheggia di sassi e di ghiaie;
lo assordano l’ebbre cicale
col grido solivo.

Qui radichi e cresca! Non vuole,
per crescere, ch’aria, che sole,
che tempo, l’ulivo!

IV
Nei massi le barbe, e nel cielo
le piccole foglie d’argento!
Serbate a più gracile stelo
più soffici zolle!

Tra i massi s’avvinchia, e non cede,
se i massi non cedono, al vento.

Lì, soffre, ma cresce, né chiede
più ciò che non volle.

L’ulivo che soffre ma bea,
che ciò ch’è più duro, ciò crea
che scorre più molle.

V
Per sé, c’è chi semina i biondi
solleciti grani cui copra
la neve del verno e cui mondi
lo zefiro estivo.

Per sé, c’è chi pianta l’alloro
che presto l’ombreggi e che sopra
lui regni, al sussurro canoro
del labile rivo.

Non male. Noi mèsse pei figli,
noi, ombra pei figli de’ figli,
piantiamo l’ulivo!

VI
Voi, alberi sùbiti, date
pur ombra a chi pianta ed innesta;
voi, frutto; e le brevi fiammate
col rombo seguace!

Tu, placido e pallido ulivo,
non dare a noi nulla; ma resta!
ma cresci, sicuro e tardivo,
nel tempo che tace!

ma nutri il lumino soletto
che, dopo, ci brilli sul letto
dell’ultima pace!

L’olivo nella storia

L’intensificarsi dei traffici marittimi lungo le coste del Meridione d’Italia ad opera di fenici, greci e romani fu alla base dello sviluppo dell’olivicoltura in Puglia, la cui millenaria civiltà ha profonde radici nella presenza dell’olivo, un albero dotato di grande sobrietà e resistenza, che si adatta anche a terreni magri e superficiali.

La spremitura delle olive per ottenere olio era pratica conosciuta molti secoli prima della venuta di Cristo: le testimonianze di macine primitive sono conservate nei musei dell’isola di Creta, ad Haifa in Israele ed in Egitto. Sono innumerevoli le raffigurazioni plastiche e pittoriche che pongono al centro l’albero di olivo e le pratiche connesse con l’estrazione dell’olio e con la sua utilizzazione come medicina, come alimento, come cosmetico, come fornitore di energia e luce.

Nel museo nazionale di Taranto sono conservate tre anfore antiche ed un sarcofago di un atleta che aveva partecipato alle Panatanee di Atene ed era stato premiato con vasi riccamente ornati contenenti olio di oliva, ricavato dagli olivi piantati da Solone. Questi legiferò nel Seicento a.C. che per tutta l’Attica fosse vietato l’abbattimento degli alberi di olivo; solo in caso di estrema necessità sarebbe stato consentito l’abbattimento di non più di due piante. Ancora oggi è in vigore nel nostro paese una legge emanata nell’immediato dopoguerra per salvaguardare il patrimonio olivicolo da indiscriminati abbattimenti per farne legna da ardere.

Con l’affermarsi dell’Impero Romano, l’olio d’oliva assunse una funzione strategica nel campo del commercio e delle attività di scambio tra i diversi popoli e si intensificarono anche gli studi sulla buona coltivazione dell’olivo. Illustri uomini di cultura, quali Plinio il Vecchio, Catone, Columella, offrirono un notevole contributo di conoscenze sulla coltivazione degli olivi. Secondo Varrone, le olive debbono essere brucate (raccolte a mano) utilizzando, se è necessario, le scale; Plinio rileva i danni che si procurano alle piante dalla bacchiatura ed ordina ai raccoglitori di non scorticare l’albero. Columella descrive i diversi sistemi di estrazione dell’olio dalla drupe.

La presenza dell’olivo nel corso dell’alto Medioevo era piuttosto scarsa. Olivi isolati tra i coltivi o tra le distese pascolative interessavano soprattutto aree a diretta gestione signorile. L’olio comunque non era merce ricca e il suo commercio era condizionato anche dagli ingombranti recipienti con i quali veniva trasportato.

Con la bizantinizzazione dell’Italia meridionale si determinò un nuovo quadro colturale, ma nel frattempo vennero ripristinate anche le colture tradizionali, come l’olivo e la vite.

Ai secoli bui della caduta dell’Impero Romano seguì un periodo di rinnovamento anche per l’olivicoltura, nell’epoca dei Comuni e dei Monasteri. Il commercio dell’olio riprende ad opera dei navigatori veneziani. I porti di Brindisi, Gallipoli, Otranto e Taranto divennero meta di navi che trasportavano enormi quantità di olio; vi si installano fondachi oltre che veneziani, anche toscani, genovesi, russi, inglesi e tedeschi. Il commercio dell’olio d’oliva assunse una tale importanza che nel 1559, il viceré spagnolo Parafran De Rivera dispose la costruzione di una strada che collegasse Napoli alla Puglia, con biforcazioni per la Calabria e l’Abruzzo per consentire un trasporto più rapido dell’olio di oliva.

I primi decenni del XVII secolo segnano, anche in Terra d’Otranto, il momento culminante di quella fase di prosperità che aveva caratterizzato tutto il Cinquecento, ma registrano anche l’inizio di una lunga crisi, che diventerà poi irreversibile per tutto il Mezzogiorno. Il deterioramento delle condizioni climatiche e il lungo ciclo di basse temperature che investirono l’Europa dopo il 1600 furono le cause che determinarono la crisi dei raccolti e le eccezionali carestie. Per fortuna la crisi registrata nella metà del XVII secolo non fu di lunga durata e già verso gli anni Ottanta del Seicento si poteva registrare una forte ripresa dell’economia agricola, con l’oliveto che ancora una volta s’imponeva nel quadro generale del paesaggio agrario. Da allora la coltura dell’ulivo ha conosciuto solo periodi di espansione e le tecniche di coltivazione sono state caratterizzate da un costante progresso. Sono state le abili mani di generazioni di “potatori” e “innestatori” pugliesi a modellare la iniziale forma selvatica dell’olivo, per trasformare le zone boscose in coltivazioni ben curate e regolari, allo scopo di esaltare la funzione produttiva delle piante e nello stesso tempo contenere gli elevati costi di coltivazione e raccolta. Un lavoro duro di secoli, che s’è andato ad incorporare in un grande patrimonio naturale di incomparabile bellezza, caratteristico di ogni angolo di questa terra, tanto da suscitare sorpresa e ammirazione nel visitatore. La Puglia perderebbe ogni identità se venisse a mancare l’olivo dal suo splendido panorama.

https://www.olioterranostra.it/InfoOlio/OlivoNellaStoria.asp

 

E   ora  poteva   forse  mancare  il   grande   Van   Gogh   e   il   suo   famoso   dipinto sugli   ulivi   ?

 

Gli Ulivi - Oliveto - Olive Trees - Van Gogh

   Gli   ulivi   (   Oliveto  )   Van   Gogh   Giugno   1889

 

E   ancora   nel   cinema   :    dalla  serie   televisiva   Maria   di   Nazaret    

 

Gesù,   interpretato   da   Andreas   Pietschmann ,   prega   sul   Monte  degli   ulivi  

 

Buonanotte   cari   amici


Anche   se   siamo   già   ad   ottobre   parliamo   ancora   d’  estate…

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fotocommunity.it      campagna   pugliese

 

 

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salento.it

 

 

Masseria   Narducci   –   foto   booking.com

 

Vorrei  

di   te

poter  

raccontare

il   colore  

d’estate

che  

ti   tramuta

in   perla   rara.

Vorrei  

di   te

parlare,

regalando  

l’immagine

perfetta

di   quello  

che   sei.

Terra  

di   Puglia,

che    con   le   mani

raccolgo,

quando  

in   campagna

tra   secolari   ulivi

m’ attardo.

Bisbiglii  

di   uccelli,

canti   che

si   perdono  

sommessi

tra     

rami  

d’alberi

di   antica  

memoria.

Il   vento  

viene

dal   mare,

smuove  

cespugli,

gli   oleandri  

in   fiore,

mentre  

i   muretti  

a   secco,

si   fan   bollenti,

quando  

il   sole 

di   mezzogiorno

raggiunge

il   punto  

più   alto.

Intanto

d’ intorno    

profumi  

deliziosi

si   perdono  

nell’ aria.

Fiori  

di   mandorlo,

frutta   odorosa,

fico  selvatico,

miele   d’  arancia.

E   com’ è   dolce

poter   godere

dell’  aria   salentina

al   riparo

del   bianco 

porticato

della   masseria,

mentre   un  cielo

pieno   di   stelle

illumina

la   mia   sera.

 

Isabella   Scotti   settembre   2020

testo   :   copyright   legge   22   aprile   1941   n°   633

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 


cinque   parole   da   cui   partire

fanciulla,  effluvio,   ruscello,   ginestra,    passeggiata

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foxlife.it

Un   vento   antipatico   sferzava   con   violenza   la   povera    ginestra,   mentre   la      fanciulla   cercava   di   tenere   fortemente   stretto   a   sè ,  quel   mazzo   di   fiori   campestri   appena   colti.   La   passeggiata   ch’era  solita   fare   ogni   mattina,   l’  aveva   portata   là,   dove   quei   due   arbusti   selvatici ,  pieni   di   fiori   gialli ,   avevano   attirato   la   sua   attenzione.   Man   mano   che   si   avvicinava,   sentiva  sempre   più   nell’aria   un   effluvio   intenso.

Quasi   stordita   da   tanto   profumo,   decise   di   portare   a   casa   un   po’   di   primavera ,  cogliendo   qualche   bel   ramo   fiorito.   Il   vento   però,   aveva   rotto   il   piacere   del   suo   solito   peregrinare.   E   così   si   vide   costretta   a   tornare.  Ma   quel   luogo   incantato,   dove   spesso   si   rifugiava,   l’  avrebbe   presto   rivista .

Poco   lontano   scorreva,    levigando   sassi    di   varie   forme,      anche   un   ruscello   d’acqua   limpida ,  dove   la   fanciulla  amava   bagnare   le   caviglie,   rimanendo   a   lungo   pensierosa.  Stare   lì ,  era   per   lei   sempre   una   gioia   immensa.  La   mattina,   quando   arrivava,  gli   alberi   lasciavano   filtrare   tra   i   rami   la   luce   del   sole ,   creando   magici   arabeschi.   Erano   quelli   i   momenti   più   belli   delle   sue   giornate   solitarie,   quando   nel   silenzio   del   bosco   ritrovava   se   stessa.   Poteva   forse   non   tornare?

Il   vento,   lo   sapeva ,  avrebbe   presto    lasciato   spazio   al   tepore   del   sole ,  che   brillava   alto   nel   cielo   già   da   qualche   giorno.    Si   sentiva   felice   come   non   mai.

Primavera   era   ormai   giunta.

 

Isabella   Scotti   marzo   2020

testo  :   copyright   legge   22   aprile   1941   n°  633

 

Carissimi,   primavera   è   ormai   giunta.   E’   la   stagione   del   risveglio,    del   cambiamento.   Tutto   torna   a   fiorire.   Magari    sarà   così   anche   per   noi,   chissà.      Che   si   possa   presto   tornare   a   sorridere  .  Anche   se   i   numeri   raccontano   altro.   Anche   se   i   prossimi   giorni   parlano   di   neve   e   tanto   freddo…

Nonostante   tutto   speriamo,    dobbiamo   sperare.   Vi   lascio   per   ora   il   mio   di   sorriso.

La   vostra   Isabella

 

 

Non   sarà   forse   il   massimo   questa   esecuzione,   lo   so,   ma   mi   piaceva   il   video.   Mi   ha   fatto   sognare,   e   oggi   più   che   mai   ne   sento   il   bisogno


Non  è  semplice  mettersi  a  parlare   di  un   pittore   straordinario  come  fu  Vincent  van  Gogh;  è  un  compito  decisamente  arduo di  cui sono  perfettamente  conscia.  Ma  dal  momento  che  la  sua  arte  mi  ha  sempre  colpito  visivamente  in  maniera  coinvolgente,  ho  deciso  di  affrontare  lo  stesso  l’argomento   parlando  non  solo  dell’artista   a  grandi  linee,  ma  soprattutto  facendo  parlare  lui  stesso,  attraverso  la  corrispondenza  ch’egli   tenne  con  suo  fratello  Theo   maggiormente  ,  ma  anche  con  sua  sorella   e  qualche  amico  pittore.   Nelle   parole  che  leggerete,   vedrete  delinearsi  con  netta  evidenza  il  suo  carattere  di  persona  intensamente interessata  al  colore,  ad  una  natura  dove  trovava  piacere  identificarsi,  molto  sensibile  e  travagliato  interiormente.  E’  un  modo  per  conoscerlo  più  da  vicino  che  ce  lo  rende  a  volte,  più  uomo  che  artista  e   che  rispecchia  la  sua  visione  della  vita. Un  percorso  che  vorrei  fare  con  voi  per  scoprire  ancor  più  questo  pittore  che  ho  sempre  trovato  nel  suo  esprimersi,  affascinante  e  talvolta  misterioso.  Le  lettere  che  scrisse  sono  circa  750.  Alcune  sono  anche  molto  lunghe,  dalle  sei  alle  otto  pagine,  e  accuratamente  dettagliate.  Si  può  dire  che  con  le  sue  lettere  Van  Gogh  abbia  tracciato  un  itinerario  biografico  e  stilistico  completo,  descrivendoci  inoltre  la  maggior  parte  delle  sue  opere  e  corredando  le  lettere  con  disegni  e  schizzi  riproducenti  i  quadri  di  cui  parlava.  A  partire  dal  luglio  1880  ha  scritto  quasi  esclusivamente  in  francese.  Di  nessun  altro  artista   possediamo  una  documentazione  così  dettagliata  e  importante.  Le  lettere  sono  state  pubblicate  nel  1914 (  3  volumi )  a  cura  della  signora  Johanna  Bonger  in  Van  Gogh,  vedova  di  Theo  Van  Gogh,  che  vi  appose  una  prefazione  di  sessanta  pagine,  prima  traccia  biografica  completa  sul  pittore.  Un’ edizione  successiva  (  1953 ,  4  volumi )  raccolse  altre  lettere  ancora,  o  diede  la  versione  integrale  di  lettere  già  pubblicate  solo  in  parte.  Questa  edizione  venne  curata  da  Vincent  Willem  Van  Gogh,  figlio  di  Theo    e  quindi   nipote  del  pittore.

Vincent  non  ebbe  una  vita semplice  e  serena.  Una  natura  fragile  la  sua,  tormentata  capace  però  di   grande  commozione  e  incline  alla  generosità  pur   manifestando  talvolta  sentimenti  disperati  e  violenti.  Visse  un’agghiacciante  solitudine  dell’anima,  da  solo  a  lottare  con  i  colori,  (  nel  film  ”Brama  di  vivere”  del  1956  interpretato  da  Kirk  Douglas  nei  panni  del  pittore,  regia  di  Vincent  Minnelli,  c’è  una  scena  che  è  sintomatica: Douglas  che  mangia   i  tubetti  di  colore,  il  che  è  veramente  successo  come  è  riportato   in una  lettera  dell’artista  indirizzata  a  Theo  )   guidato  unicamente  da  quel  suo  istinto  animale  e  visionario  che  lo  condannava  a  cercare  la  Verità  attraverso  la  propria  arte.  E  proprio  quest’ultima  riuscì  a  dare  un  preciso  indirizzo  di  percorso  alla  sua  vita  confusa  e  inquieta.  Era  comunque  una  di  quelle  buone  persone  incomprese,  talvolta  derise  per  la  propria  sensibilità,  e  di  questo  soffrì  terribilmente.  Cercò  sempre  l’amore,  lo  sentiva  come  esigenza  interiore,   ma  aveva  una  maniera  goffa  nel  relazionarsi  tale  da  portarlo  all’isolamento.  Solo  il  fratello  Theo  riuscì  ad  entrare  in  contatto  con  lui  e  grazie  a  Theo e  ancor  più,  a  sua  moglie ( che  si  occupò  dopo  la  morte  del  pittore  di  farne  conoscere  l’opera  pittorica  e  il  suo  valore )  possiamo  oggi  ammirare  le  sue  opere.  Chiaramente  ciò  che  vi  proporrò  saranno  lettere  in  ordine  sparso.  Leggetele  con  interesse  per  entrare  in  contatto  con  il  suo  modo  di  sentire.   Ascoltiamo  ora  le  sue  parole  scritte  al  fratello  nella  lettera  N. 227

”Caro  Theo,

Uno  studio  che  ho  eseguito  nel  bosco  è  di  alcuni  tronchi  di  betulla  su  di  una  distesa  di  terreno  ricoperta  da  rami  secchi,  ed  una  figuretta  di  una  ragazza  vestita  di  bianco.  C’era  la  gran  difficoltà  di  mantenerlo  chiaro  e  di  far  entrare  spazio  tra  i  tronchi  posti  a  distanza  diversa— e  la  posizione  ed  il  volume  relativo  di  quei  tronchi  varia  con  la  prospettiva—per  far  sì   che  si  potesse  respirare  e  camminarci  attorno  e  per  far  sentire  la  fragranza  del  bosco.

E’  stato  con  estremo  piacere  che  ho  eseguito  quei  due  studi.

Questa  settimana  ho  dipinto  degli  studi  piuttosto  grandi,  nel  bosco,  che  ho  cercato  di  svolgere  in  maniera  più  completa  e  con  maggiore  vigore  dei  primi.

Dopo  esser  restato  seduto  a  disegnare ,  ci  fu  un  temporale  violento  che  durò  per  almeno  un’ora.  Ero  tanto  ansioso  di  continuare  che  me  ne  restai  lì, e  mi  riparai  come  meglio  potevo  dietro  un  grande  albero.  Quando  infine  terminò  e  i  corvi  ripresero  a  volare,  non  rimpiansi  di  aver  aspettato,  per  via  della  meravigliosa  tonalità  profonda  che  la  pioggia  aveva  impartito  al  terreno.” 

Vi  aspetto  alla  prossima.

 

Fanciulla  tra  gli  alberi  —L’Aia,  agosto  1882

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Immagine  da  Wikipendia

Fonte  ” La  vita  e  l’arte  di  Van  Gogh”    Mondadori

 

Ringrazio con  tutto  il  mio  cuore  tutti  gli  amici  che  con  il  loro  pensiero  si  sono  fatti  sentire  per  gli  auguri  nel  giorno  del  mio  compleanno. Siete  tutti  splendidi.  Vi  voglio  bene.  Isabella

 

 


E   così   comincia   un   nuovo   anno.   Per  me,  questo  è  l’ inizio  anche  di  un  anno  che  spero  di  riuscire  a  passare  con  voi  spesso  e  volentieri.   E  allora,  a  tutti  i  miei  cari  amici, compresi  anche  quelli  nuovi  che  vorranno  venirmi  a  trovare,  dedico  questa  poesia  di  Spencer  che  mi  piace  molto  e  che,  secondo  me , descrive  bene  questo  mese.

E  poi  venne  il  vecchio  Gennaio,  bene  avvolto

In   molte  nere  vesti,  per  tenere  lontano  il  freddo.

          Eppure  tremava  e  rabbrividiva  come  per  calmarsi,

E  soffiava  sulle  dita  come  se  potesse  scaldarle,

           Perchè  erano  intorpidite  per  aver  tenuto  tutto  il  giorno

           Un’ascia  affilata,  con  cui  aveva  tagliato  legna,

            E  dagli  alberi  aveva  tolto  i  rami  superflui.”

Ed  ora  passiamo  ai  ”detti” :

Freddo  gennaio  gela  la  pentola  sul  focolaio” 

”Se  l’erba  cresce  a  gennaio,  cresce  male  per  tutto  l’anno”

Tra  tutti  i  mesi  dell’anno  il  più  scuro  è  gennaio”

Gennaio  piovoso,  primavera  piovosa”

Questa  è  invece  una  poesia  di S. T.  Coleridge  che  ben  si  abbina  a  quella  di  Spencer

Gelo  a  mezzanotte”

Perciò  ogni  stagione  sarà  dolce  per  te,

Sia  che  l’estate  rivesta  tutta  la  terra

Di  verde,  o  che  il  pettirosso  si  posi  e  canti

Tra  i  fiocchi  di  neve  sul  ramo  spoglio

Del  melo  molle  di  muschio,  mentre  il  vicino  tetto  di     

paglia

Pel  disgelo  fumiga  al  sole;  sia  che  sgrondino  gocciole

Udite  soltanto  nella  tregua  della  bufera,

O  che  il  segreto  ministerio  del  gelo

Le  sospenda  in  silenti  ghiacciuoli,

Quieti  scintillando  alla  quieta  luna.”

Buon  anno  a  tutti.    La  vostra  amica  Isabella


Cammino tra arbusti selvatici

mentre la nebbia,

impalpabile,

ma carica di umide gocciole,

si posa sui rami legnosi

di piccole bacche rosse.

Umide gocciole trasparenti,

delicate,

pronte a dissolversi al minimo tocco.

E’ una magia,

poter assaporare tutto questo,

in una brumosa

mattina d’autunno.

Isabella Scotti

dal mio libro:

MISCELLANEA

Visioni e palpiti del cuore,pensieri nascosti sotto forma di parola

Dedicato a chi ama l’autunno come me ( e a Marisa  segno zodiacale : bilancia )


                          Vorrei

trasformarmi in una rondine.

Una volta varcato il cielo,

quando dovrò attraversarlo,

tornare indietro

munita di ali.

Entrare

nell’aria veloce,

                               gustando il piacere del volo.

Vagare nel cielo infinito

e scendere

per fare tappa

tra i rami di quell’albero,

cinguettando

con altre rondini

per poi ricominciare

a volare.

Un respiro nuovo,

un soffio di vita

fatto di levità.

Chissà…

Isabella Scotti

Questa è una piccola poesia che dedico a chi vuole per un attimo chiudere gli occhi e sognare…