Slapstick comedy: il primo termine, slapstick, deriva dalla tavoletta – detta ” spatola di Arlecchino”– che i clown usavano per simulare il rumore di una colluttazione ; comedy è piuttosto da intendere come ”comica”, finale o meno, comunque breve, uno o due rulli. In queste farse di derivazione burlesque ( ascendenza del genere inglese del VII sec.), le gag nascono dai rapporti di forza tra i corpi e gli oggetti, tra i corpi e lo spazio circostante, tra i corpi e altri corpi. Dunque una comicità puramente fisica, aggressiva, persino brutale, coniugata con un alto senso del ritmo, sempre frenetico, dell’urto (” torta in faccia”), della velocità. Gli interpreti, più che attori sono atleti, clown, cascatori. I loro corpi, indistruttibili, sono macchine per manomettere, per distruggere il mondo, fosse pure solo un set. Forse non inventore, ma sicuramente re, ” King of comedy”, è Mack Sennet. Canadese d’origine ( nasce a Danville, Quebec, nel 1880 e muore ad Hollywood nel 1960), allevato alla scuola di Griffith,( regista di melodrammi e film storici a lungo metraggio) quindi produttore della Keystone Picture Studio, e qui, scopritore di talenti : Chaplin, Buster Keaton, Harry Langdon, Frank Capra, Roscoe ”Fatty” Arbuckle. Le sue comiche one reel, così chiamate perchè composte di una sola bobina, della durata standard di una decina di minuti, venivano solitamente girate nel corso di una giornata, sovente in una sola mattinata. Come indica uno dei più attenti esegeti di Sennet, Davide Turconi . ” Le comiche di Sennet sono veloci, tumultuose, frenetiche e principalmente quelle del periodo Keystone ( 1912-1915) sono imperniate in genere su racconti semplici, elementari, basati su personaggi tipici – maschere di commedia dell’arte più che veri personaggi – che si ripetono, si mischiano, si scontrano di comica in comica : il poliziotto ottuso, il ricco cafone e presuntuoso, il geloso, lo sciocco, il furbo, il malvagio, il buono, l’innamorato ingenuo, tutti travolti in una ridda di casi che offrono la possibilità di inserire in abbondanza gli elementi tradizionali della farsa: imprevisti, sorprese, qui pro quo, scambi di persona, ogni più vario tipo di incidenti, scontri, parapiglia, devastazioni e fughe omeriche con inseguimenti che coinvolgono ragazzi, adulti, animali, biciclette, automobili, tram, locomotive, tutti gli abitanti di un’intera strada, tutta la popolazione di un quartiere, in una corsa sfrenata attraverso campi, spiagge, specchi d’acqua, montagne. E se si fermano è perchè cadono, o in una botte d’acqua, o in un canale, o in una palude fangosa, o in qualcosa di peggio”. Il principio di Sennett è quello quindi della moltiplicazione: non una ragazza, ma dieci, magari in costume,( le famose bathing beauties, bellezze al bagno), non un poliziotto ma dieci poliziotti ( i famosi Keystone Cops dal nome della casa di produzione Keystone.) Fughe e inseguimenti non veloci ma rapidissimi. Il tutto in misura surreale. La ricetta era semplice e l’effetto sicuro sul pubblico da nickelodeon, le sale cinematografiche da un nichelino. A Sennett interessavano poco le novità, le invenzioni, le trovate particolari. Racconta : ”Trovata l’idea centrale, si costruiscono i raggi; questi sono lo sviluppo naturale suggerito dalla fantasia: poi si introducono quelle complicazioni che danno l’avvio al divertimento (…) .Ci siamo avvalsi di umoristi celebri ma vi posso dire in tutta coscienza che il loro materiale è il peggiore di tutti(…). Quello che serve è una buona idea(…), l’azione l’aggiungiamo noi.”E’ stato detto che l’essenza delle comiche Keystone è costituito dal moto, non dal pensiero, dalle emozioni, dal desiderio, dai bisogni o dalle reazioni umane; le azioni essenziali sono ” dash, crash, smash and splash”, ossia: foga, cadute, collisioni, e spruzzi. Il corpo umano diventa una specie di proiettile, o comunque un oggetto il cui moto dipende da spinte e leggi fisiche: gravità, principi balistici, teoremi geometrici. Insomma il divertimento è assicurato.
fonte: Corriere della sera- Cinema- Dal Muto Ai Giorni Nostri
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Sherlock Holmes sappiamo tutti essere nato dalla penna di sir Arthur Conan Doyle. Ma conosciamo come ciò avvenne ? Doyle era un giovane medico inglese, che essendosi trovato un bel dì senza pazienti, aveva incominciato a ingannare la noia scrivendo alcuni racconti. Un pò per la sua educazione scientifica, e un pò per la passione che nutriva per i romanzi polizieschi, gli venne in mente di inventare un detective nuovo e moderno, che rispecchiasse lo spirito razionale del XIX secolo. Lo voleva intelligente, dotato di una logica ferrea. Capace di partire da indizi insignificanti per arrivare a scoprire verità nascoste. Per sua fortuna Doyle aveva un modello a cui fare riferimento ed era il professore Joseph Bell, un illustre studioso d’anatomia che era stato suo maestro all’Università di Edimburgo. Secondo Doyle aveva lo spirito di un grande ”detective”. Diceva che ” gli aveva insegnato ad usare gli occhi, le orecchie, il naso le mani e il cervello per fare una diagnosi. Un giorno portò in aula un uomo e ci disse : ”come avrete sicuramente notato, signori, quest’uomo è un ciabattino mancino. Guardate come sono lisi i suoi calzoni di velluto sul grembo, dove appoggia le scarpe che deve riparare. La mano sinistra è più ruvida della destra, quasi a provare che è mancino.” Un’altra volta con un altro paziente disse che si trattava di un laccatore francese, e osservando lo stupore dei suoi studenti ridendo disse: ” E’ molto semplice signori, non sentite forse l’odore di lacca che impregna i suoi abiti e tutto il suo corpo?” Così Doyle ricordando tutto ciò decise di servirsene per dare vita al suo ”detective”. Scelse il cognome Holmes d’istinto, in omaggio al poeta americano Oliver Wendell Holmes. Quanto al nome, il primo che scelse fu Sherringford. Ma era un pò troppo lungo e somigliava un pò ad uno scioglilingua. Finalmente dopo vari tentativi, arrivò ad un vecchio nome irlandese : Sherlock. Provò a pronunciarlo varie volte: ”Sherlock Holmes…” e capì subito di avere fatto centro. In realtà la prima edizione dello ”Studio in rosso” cadde nell’indifferenza più totale. Doyle ricevette un misero assegno chiudendo con quello smacco la sua carriera di scrittore. Nel 1890 capitò a Londra l’editore americano Lippincot che lesse la storia e innamoratosene chiese a Doyle di scrivere un racconto per la sua rivista letteraria. Fu quello , ”Il segno dei quattro”, a decretare il successo di Sherlock Holmes e del suo autore. Questo nuovo ”detective” era nuovo, eccitante, bizzarro. Dimostrava la validità di metodi d’indagine che erano quasi fantascientifici per i suoi tempi. Studiava in laboratorio la composizione delle sostanze arrivando a riconoscere con sicurezza eventuali macchie di sangue. Analizzava la polvere. Prendeva i calchi delle impronte lasciate dalle scarpe nel fango. E non si trattava di trovate spiritose. Le polizie di tutto il mondo misero alla prova quei suoi metodi e li trovarono facili da realizzare ma anche utilissimi per la soluzione dei loro casi più difficili. Il commissario capo dei laboratori scientifici della polizia di Lione disse una volta :” Abbiamo imparato molto da Sherlock Holmes. Senza le sue teorie non saremmo mai riusciti a fare i progressi che abbiamo fatto. ” La polizia egiziana era tanto convinta dell’utilità di Sherlock Holmes che obbligò i suoi agenti a leggere tutte le avventure dell’eroe. Le sue scoperte ebbero un avallo ufficiale anche nella prima opera moderna di criminologia, la monumentale ”Investigazione criminale” che il tedesco Hans Gross pubblicò nel 1891, quattro anni dopo la nascita dell’immortale segugio. Comunque lo scrittore ben presto si stancò del suo personaggio creato più per ”gioco intellettuale” che altro. Sognava di dedicarsi più al romanzo storico e alla saggistica che considerava la sua vera vocazione . Quando si rese conto che il pubblico era interessato ad Holmes e rifiutava il resto, cominciò a sentirsi vittima e prigioniero di quel ”detective”. Perfino la madre era contraria al fatto che lui abbandonasse quei racconti. Ma lo scrittore, stufo, decise di far morire nelle acque della cascata di Reichenbach il povero Holmes avvinghiato al suo mortale nemico, il professor Moriarty, in un racconto del 1893. Solo nel 1903 a corto di soldi, ne pubblicò un altro sulla rivista ”Strand” che andò letteralmente a ruba. Cominciò così a sopportare quel suo personaggio, a tal punto da improvvisarsi in più di una occasione, lui stesso investigatore. Si occupò così nel 1903 del caso di un giovane avvocato indiano. Questi, era accusato di avere mutilato e ucciso decine di pony e altri animali . Come prova della sua colpevolezza la polizia aveva portato l’impronta di un piede trovata vicino al cadavere. Un’impronta che corrispondeva perfettamente ad una scarpa del giovane indiano. Il mistero interessò Conan Doyle che decise di occuparsene. Scoprì che il torturatore di animali usava un bisturi per poter fare tagli netti e precisi mentre il giovane avvocato mai avrebbe potuto riuscirvi soffrendo di una gravissima forma di miopia. Da allora lo scrittore cominciò a considerare Sherlock Holmes come un amico virtuale il cui successo lo seguirà fino alla morte che arrivò il 7 luglio del 1930.
da un’intervista di Nicoletta Sipios del 1987 a ” Stanley MacKenzie ”segretario dell’associazione inglese dedicata a Sherlock Holmes. MacKenzie che in gioventù è stato attore, ha trasformato la sua casa in un museo per raccogliere pipe, lanterne, lenti d’ingrandimento d’epoca, ritratti, foto e libri rari tra i quali fanno spicco le copie originali dei 4 romanzi e dei 56 racconti dedicati alle avventure di Sherlock Holmes.