Dopodomani è la domenica delle palme. C’è aria di feste in arrivo. Eppure per circa trecento persone non saranno giorni felici. Penso ai familiari dei poveri innocenti caduti con l’aereo in Francia. E penso ai genitori di quel co-pilota che ha fatto la scelta orribile di portare con sè nel suo ultimo viaggio 150 persone ignare. E’ questo il momento di pregare per tutte quelle persone, che improvvisamente si trovano catapultate a vivere quel ”distacco per sempre” da un fratello, da una madre, da un padre, da un amico, non pronte ad affrontare una morte così spiazzante. Che il Signore stia loro vicino e li aiuti ad andare avanti con un minimo di serenità. La preghiera comunitaria è sempre più utile che non quella di un singolo.
Cari amici dopo una pausa dovuta a festeggiamenti familiari ( compleanni, ricorrenze varie) tutti concentrati nella prima parte del mese di marzo, torno oggi nel giorno in cui Arianna compie sei mesi per raccontarvi qualcosa sulle frittelle che si mangiano in questo giorno. Ma purtroppo con il cuore triste per la nuova tragedia di Tunisi. Voglio chiedere a voi tutti di unirvi in preghiera con me per le vittime innocenti dell’ennesimo atto sconsiderato che ha sconvolto un paese, la Tunisia appunto e il museo più importante dell’Africa ricco di mosaici splendidi e antichi. Persone in vacanza, tranquille e rilassate , curiose e interessate al bello , si sono trovate di colpo scaraventate in una realtà di violenza assurda di persone che in testa non hanno nulla tranne che ignoranza a non finire. Voglio augurarmi che in seguito a questo gravissimo episodio finisca l’ immobilismo imperante da parte di tutti e si agisca il più velocemente possibile . Non possiamo solo chiamarci tutti ”Charlie” e aspettare altri episodi simili senza intervenire in un qualche modo deciso. La cultura di un popolo va difesa ad oltranza, il conoscere, il sapere è ciò che rende l’uomo libero .Io voglio continuare a stupirmi per ciò che l’uomo ha realizzato di bello su questa terra. E non posso non credere nell’uomo.
Il 19 marzo, festa di San Giuseppe, si celebra in molti luoghi d’Italia con grandi falò e diverse manifestazioni gastronomiche. A Valguarnera nella provincia di Enna, ad esempio, si rievoca la povertà del Santo e quindi della sua Sacra Famiglia con una singolare usanza: i ricchi del paese preparano per i meno abbienti enormi costruzioni piramidali dette ”tavole di San Giuseppe”, imbandite di ogni tipo di dolciumi e cibo. Tre degli invitati, con costumi dell’epoca, dovranno impersonare Giuseppe, Maria e Gesù. Se poi l’ospite vuol fare le cose in grande dovrà fornire il travestimento anche per far impersonare i genitori di Maria, sant’Anna e san Gioacchino e i dodici Apostoli. La tradizione dei banchetti per i poveri nel giorno di San Giuseppe, si ripete in molte altre località italiane, soprattutto nel meridione. A Santa Croce Camerina nel ragusano, s’imbandiscono le ”Cene” in onore del Santo con squisiti prodotti locali, sebbene la specialità della festa sia un tipo di pane lavorato e decorato a mano che raffigura oggetti legati a San Giuseppe, come il bastone fiorito. Il pane viene preparato da coloro che hanno fatto voto al Santo. Intanto tre poveri del paese nelle sembianze della Sacra Famiglia di Nazareth girano tra le case dove sono state allestite le ”Cene” mangiando e portando via qualche pietanza. A San Marzano di Taranto vengono chiamate ”matre” altre tavole imbandite per San Giuseppe, mentre a Vallelunga Pratemano in provincia di Caltanissetta, per i bambini poveri del paese, detti ”verginelli” si mettono a tavola dei grandi pani che pesano dai tre ai cinque chili di forme varie, a bastone, a treccia, a giglio. Al centro, si mettono altri cibi, specialmente la frittura di ortaggi ( soprattutto cavolfiori e carciofi ) uova sode e olive. Cavolfiori fritti detti ”frittelli” vengono offerti anche a Roccantica di Rieti, nel Lazio. Cibi fritti, ma in particolare dolciumi, si preparano in altre località e la tradizione è talmente diffusa che il Santo è stato chiamato popolarmente ” San Giuseppe frittellaro”. Tant’è che una volta, andando di porta in porta, chiedendo a parenti ed amici le dolci frittelle, i bambini cantavano questa filastrocca ” Com’è buono, com’è caro / San Giuseppe frittellaro / Ad ognuno una frittella / che è lucente come stella/
La tradizione di consumare dolci fritti è tuttora viva in molte località italiane, come nel Lazio meridionale, tra i monti che separano Fondi da Formia, dove la notte della vigilia della festa si accendono falò in onore del Santo, e, mentre ardono i fuochi, si mangiano ”le seppele” ,le frittelle dolci consumate dopo la cena a base di legumi vari e salsicce. Quando a terra rimane solo la brace, i ragazzini gareggiano nel cosiddetto ”salto del fuoco” gridando ”Evviva San Giuseppe con tutte le seppele appriesse” ( San Giuseppe con tutte le zeppole appresso)
I ”falò di San giuseppe” sono diffusi in tutta Italia, da nord a sud. A Modica, in provincia di Ragusa, la ”vampata” arde per tutta la notte davanti alla chiesa dedicata al Santo. A Lezzeno, in provincia di Como, la cerimonia dei roghi è documentata fin dal 1190 e viene premiato il più grande, mentre a Rocca San Casciano, Forlì, c’è una gara tra i due rioni principali del paese per il falò più spettacolare. A Scicli, nel ragusano si preparano i ”pagghiara”, cioè pagliai da bruciare la sera mentre per le vie del paese si snoda una processione, in ricordo della fuga in Egitto. Ma torniamo alle frittelle, di cui tutti penso siamo ghiotti. Esse, a secondo dei luoghi in cui si preparano , assumono nomi diversi : frittelle di riso in Umbria, zeppole a Napoli e così via. A Roma i tradizionali bignè di San Giuseppe, sono rigorosamente fritti e ripieni di crema ( talvolta anche in una variante con ricotta). Una volta i migliori erano quelli del quartiere Trionfale, nei pressi di San Pietro, attorno alla parrocchia di San Giuseppe, dove la festa era più sentita e durava una settimana intera . ”Venite tutte qui / ciumachelle belle/ venitene a magnà le mie frittelle!”, gridavano i ”frittellari” ambulanti alle ragazze che a Roma erano vezzeggiate con l’appellativo appunto di ”ciumachelle”, cioè ”lumachine”. Al calar della sera, per azzittire i bambini, ormai stanchi, le mamme raccontavano loro in dialetto romanesco la vera origine delle frittelle, con la storia in versi di un immaginario quanto improbabile San Giuseppe che, giunto in Egitto, si arrangiava per sbarcare il lunario a fare il ”frittellaro”:
San Giuseppe faceva er falegname
e benchè fusse artista de talento
nun se poteva mai levà la fame
pe’ quanto lavorasse e stasse attento…
Un giorno se n’annò in Egitto co’ Maria,
e doppo un par de giorni ch’arrivorno
uprì de botto ‘na friggitoria.
Co’ le frittelle fece gran affari.
Apposta in tutta Roma, in de’ sto giorno,
sortono fora tanti frittallari.
Auguri a tutti i papà che in questo giorno vengono festeggiati e mi raccomando, offrite loro tante buone frittelle o bignè di San Giuseppe, così la festa è assicurata.
Dedico il post alla cara amica Laura: http//laurarosa3892..wordpress.com// . Visitate il suo blog, troverete tante ottime ricette accompagnate da tanta simpatia.
fonte: da un articolo di Adolfo Giaquinto
Padre mio, mi sono affezionato alla terra quanto non avrei creduto. E’ bella e terribile la terra. Io ci sono nato quasi di nascosto, ci sono cresciuto e fatto adulto in un suo angolo quieto, tra gente povera, amabile ed esecrabile. Mi sono affezionato alle sue strade, mi sono divenuti cari i poggi e i suoi uliveti, le vigne, perfino i deserti. E’ solo una stazione per il Figlio tuo la terra, ma ora mi addolora lasciarla e perfino questi uomini e le loro occupazioni, le loro case, i loro ricoveri. Mi dà pena doverli abbandonare. Il cuore umano è pieno di contraddizioni ma neppure un istante mi sono allontanato da te. Ti ho portato perfino dove sembrava che non fossi, o avessi dimenticato di essere stato. La vita sulla terra è dolorosa ma è anche gioiosa. Mi sovvengono i piccoli dell’uomo, gli alberi, gli animali. Mancano oggi qui, su questo poggio che chiamano ”Calvario”. Congedarmi mi dà angoscia più del giusto. Sono stato troppo uomo tra gli uomini, o troppo poco ? Il terrestre l’ho fatto troppo mio o l’ho rifuggito ? La nostalgia di Te è stata continua e forte. Tra non molto saremo ricongiunti nella sede eterna. Padre non giudicarlo questo mio parlarTi umano quasi delirante, accoglilo come un desiderio d’amore, non guardare alla sua insensatezza. Sono venuto sulla terra per fare la tua volontà, a volte l’ho anche discussa, sii indulgente con la mia debolezza. Te ne prego. Quando saremo in cielo ricongiunti, sarà stata una prova grande ed essa non si perde nella memoria dell’eternità. Ma da questo stato umano di abiezione vengo ora a te, comprendimi, nella mia debolezza.
Mi afferrano, mi alzano alla Croce, piantata sulla collina. Ahi Padre m’inchiodano le mani e i piedi…
Qui termina veramente il cammino.
Il debito dell’iniquità è pagato all’iniquità.
Ma Tu sai questo mistero.
Tu solo.
Penso che leggere queste parole scritte da Mario Luzi per la Via Crucis del 1999, non possano che non entrare direttamente in ciascuno di noi.. Colpisce ( almeno è ciò che è capitato a me) come Luzi abbia trattato l’umanità di Gesù. La sua paura, la sua angoscia nel dover affrontare la morte, è la stessa penso, di tutti noi, è ciò che ce lo fa sentire vicino, possiamo comprenderne la tristezza per essere costretto ad abbandonare questo mondo, e Luzi rende bene il concetto quando fa dire a Gesù : ” Mi sono diventati cari i poggi e i suoi uliveti…” ed il timore di affrontare qualcosa di cui ancora ignora come sarà. Auguro che ciascuno possa un attimo riflettere su ciò che siamo e su ciò che ci aspettiamo da questa vita. La preghiera aiuta molto, sempre, anche nei momenti peggiori, anzi proprio con la preghiera si possono superare momenti di sconforto e dolore. L’ho sperimentato varie volte, ve lo assicuro. La morte, il dolore ci appartengono, sono la vita. Affidiamoci come Gesù al Padre, pur nel timore e angoscia. Auguro a tutti voi una serena Pasqua. Vi voglio bene. Isabella
Il 27 dicembre mia madre ha compiuto 80 anni. E’ stata una bella festa organizzata con pranzo ottimo in una baita suggestiva, immersa in un bosco, poco lontano da casa mia, dove eravamo tutti riuniti, io, mio fratello, ciascuno con le proprie famiglie. I nipoti le hanno fatto la sorpresa di un bel backstage di foto ripercorrendo un pò della sua vita, arrivando fino ai nostri giorni. Tutto bellissimo, ma in me è tornata un pò di quella malinconia, che da tanto mi aveva abbandonato, osservando proprio quelle foto. Malinconia che mi ha turbato nel momento in cui ho rivisto mio padre. E in un attimo ho rivisto un altro Natale, e mia madre, accostata alla finestra, muta, quasi impietrita, che affogava la sua solitudine improvvisa, in un pianto sommesso. Mio padre si era spento il 26 settembre a 62 anni, lasciandoci nel buio più totale e facendoci vivere quel lontano Natale con una grande tristezza nel cuore. Mia madre aveva all’epoca 55 anni e quella morte, non calcolata, ci sconvolse. Molte volte ho dovuto affrontare problemi, combattere paure, farmi forza davanti a delle difficoltà ma la malattia e la morte di papà, mi colsero impreparata ad affrontare un dolore che era il più grande che mi ero trovata a dover fronteggiare nella mia vita di allora.. Ed ecco allora che l’unico sbocco di salvezza fu per me , in quel momento, la preghiera. Mio marito lavorava in quel periodo a Napoli, ed io , con i miei figli che avevano cinque e nove anni, mi dividevo tra il portarli a scuola la mattina e lo stare il più possibile vicino a mia madre e mio padre che non volevo perdere , e di cui non accettavo la situazione. Così sbandata, piena di paure, sgomenta, ogni sera m’inginocchiavo ai piedi del letto implorando il Signore perchè lo salvasse. Questo dialogo continuo con Lui, fu per me un’ancora di salvezza. Perchè mi aiutò a gestire meglio il dolore che provavo, l’angoscia che cresceva. In realtà avvertivo sempre una specie di pugnalata , tutte le volte in cui i medici ci dicevano che la malattia proseguiva senza troppe speranze. Non volevo e non credevo di poter perdere mio padre, al quale ero molto legata. Non potevo perdere la sua fantasia creativa, la sua pittura, il suo saper costruire modelli di navi in legno, la sua risata fragorosa e contagiosa. La sua forza e al tempo stesso la sua fragilità, quando si commuoveva davanti alle cose belle, ad un film, sentendo musica classica o giocando con i suoi nipoti. Tutti noi eravamo distrutti. Ed io , solo attraverso la preghiera, riuscii a vincere il mio dolore e quando mio padre morì, ebbi la certezza che si fosse salvato come avevo chiesto. Se ne andò infatti non in maniera traumatica come la malattia poteva realizzare, ma perchè il suo cuore cedette improvvisamente. In quella morte, alla quale non volli assistere, pur correndo in ospedale sperando che non fosse vero, e aspettando disperata anche mio marito che tornava da Napoli appositamente, ho letto la risposta del Signore al mio pianto e lo ringrazio con tutto il cuore sapendo che anche in un’altra terribile circostanza mi è stato vicino. So che qualcuno dirà che così doveva essere, che quello era il destino, liberissimo. Ma io credo in Lui e a Lui mi affido.
Dal Catechismo della Chiesa Cattolica – Compendio
donato alla Chiesa Universale da Benedetto XVI ecco un piccolo dialogo ideale tra maestro e discepolo, forma dialogica che riprende un antico genere letterario catechistico fatto di domande e risposte proprio sulla preghiera.
” Perchè è efficace la nostra preghiera?
La nostra preghiera è efficace, perchè è unita nella fede a quella di Gesù. In Lui la preghiera cristiana diventa comunione d’amore con il Padre. Possiamo in tal caso presentare le nostre richieste a Dio e venire esauditi:” Chiedete e otterrete, perchè la vostra gioia sia piena”. ( Gv 16,24)
” Vi amo, Signore, e la sola grazia che vi chiedo è di amarvi eternamente. Mio Dio, se la mia lingua non può ripetere, ad ogni istante, che vi amo, che il mio cuore ve lo ripeta tutte le volte che respiro”
san Giovanni Maria Vianney
Alma Redemptoris Mater , quae pervia caeli porta manes, et stella maris, succurre cadenti, surgere qui curat, populo: tu quae genuisti, natura mirante, tuum sanctum Genitorem, Virgo prius ac posterius, Gabriélis ab ore sumens illud Ave, peccatorum miserére
Santa Madre del Redentore, porta dei cieli, stella del mare, soccorri il tuo popolo che anela a risorgere. Tu che accogliendo il saluto dell’angelo, nello stupore di tutto il creato, hai generato il tuo Creatore, madre sempre vergine, pietà di noi peccatori.
” L’Alma Redemptoris Mater” è la prima delle classiche invocazioni a Maria dette ”antifone mariane” ( le altre tre sono: Regina caeli, Salve regina, Ave Regina Caelorum), proposte come invocazione a Maria dopo la Compieta, cioè la preghiera conclusiva del giorno. Prima della riforma liturgica del 1972 era suggerita per il tempo di Avvento fino addirittura al 2 febbraio.
La preghiera viene attribuita al monaco Ermanno Contratto (1013- 1054) del
monastero di Reichenau presso il lago di Costanza. Si compone di sei esametri secondo il metro classico, dal ritmo grave e solenne. Notevole il suo valore teologico : di Maria si esalta la divina maternità, la cooperazione alla redenzione, la potenza mediatrice, la perpetua verginità. L’antifona fu molto cara alla pietà medioevale e ispirò altre composizioni. Vorrei riportare ora alcune considerazioni sulle parole ”Alma Redemptoris Mater” del poeta e scrittore Italo Alighiero Chiusano :
”Queste parole hanno uno spessore notevole, Non si sente qui solo un ”flatus vocis”. O un urlo. O uno slogan. Succede qualcosa qui. C’è sapore di vita, di riflessione, di preghiera. Anche di amore, un amore profondo che di volgare o stupido non ha nulla. C’è sapore di stile, di dignità anche mentale, letteraria. Sapore di elevazione, ma non di astrattezza; di affetto, ma non di sguaiataggine; di reverenza, ma non di servilismo; di intelligenza ma non di cerebralità………………. ALMA REDEMPTORIS MATER. Dici ”Alma mater” e pensi ad un’università con busti di antichi insegnanti, un piazzale ingombro di studenti, un porticato rinascimentale ( penso a Pavia ) o alla Piacentini (penso a Roma). Niente che ti riguardi direttamente, Maria. Ma è gustoso che un’invocazione a te, povera fanciulla di Galilea, vissuta nell’oscurità e molto spesso nell’umiliazione, possa farci ricordare quei nostri atenei di cui siamo tanto fieri. Ma tra ”Alma” e ”Mater” c’è quel Redemptoris che ti fa uscire dalla dimensione accademica per far di te quella cosa del tutto diversa e unica che sei. Tu sei ”alma” cioè datrice di vita , celeste , santa, addirittura divina, ma non- come le nostre università- un’amplificazione retorica che sul piano del significato vuole dire ben poco. Lo sei realmente, nella sostanza, come l’acqua è H2O e non ”liquido cristallo” o come altrimenti voglia chiamarla un retore o un poeta. Se sei ”alma” e anche” mater”, intendo madre nostra e madre della Chiesa, è perchè Dio ti ha voluto ”mater” del suo figlio unigenito, ”mater Redemptoris”……….”
Ho voluto dedicare a tutti voi, cari amici , questa preghiera, perchè leggendola possiate provare un pò di serenità e di dolcezza in questo Santo Natale che arriva quest’anno in mezzo ai tanti problemi che ci circondano, soprattutto di natura economica e di disagio sociale. Penso che solo la preghiera ci possa aiutare, sempre. Io l’ho sperimentato, forse ne parlerò più in là. Per ora vi lascio augurando buone feste a tutti, e arrivederci a gennaio. La vostra amica Isabella. Ps Se mi vedrete ( virtualmente) prima di gennaio sarà perchè non ho resistito alla voglia di chiacchierare con voi.
Vedo il demonio
agire indisturbato.
E’ ovunque.
Nelle violenze
di tutti i giorni
verbali e fisiche.
Nelle nostre azioni
sconsiderate,
nei giovani
tristi e soli
che buttano via,
ridendo,
ogni attimo
della loro vita,
senza riflettere
sul fatto che
indietro non si torna.
Lo vedo
nella solitudine
di migliaia
di persone,
nello sconforto
che aiuta
la depressione.
Nel cambiamento
di una società
dove sembra
voglia passare
il messaggio
che ”amori” tra simili
siano così naturali
da far dimenticare,
e passare sotto tono,
come in via d’estinzione
l’amore
unico,
di sempre,
meraviglioso
tra uomo e donna.
Lo vedo
tranquillo osservare
guerre
e gioire
dei morti
dei corpi straziati
e lacerati
dalle bombe.
L’uomo ha bisogno
di Voi, Signore.
Aiutateci a sconfiggere
questo mostro
che da troppo tempo
vince
ovunque si annidi
prepotente, ridanciano.
Non c’è speranza
per noi,
Padre,
senza il vostro aiuto !
Isabella Scotti