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Ulivo,

che   sembri

piangere

per   lo   scempio

che   di   te

fa

l’  odiosa   xylella,

non   abbatterti,

non   lasciare

che   ti   uccida

ogni   giorno

di   più.

Ribellati,

ulivo

vecchio   di   secoli.

Alza   i   tuoi   rami

non   lasciare

che   diventino   secchi,

non   soccombere.

Regalaci

ancora

i   tuoi   frutti,

regalaci   ombra,

come   sempre

hai   fatto.

Il   tuo   legno,

durissimo,

non   può   cedere,

non   può   diventare

cartapesta.

Voglio   ancora

in   terra

di   Puglia,

in   campagna,

ovunque   tu   sia,

vederti   rigoglioso,

solare.

Vinci   la   tua   battaglia,

lotta   contro

la   xylella   fastidiosa.

Raddrizza

la   tua   chioma

fluente,

torna   ad   essere

la   pianta   che   eri,

che   sei   sempre   stata.

Torna   a   produrre

quell’ olio   ambrato,

di   cui   tutti   

andiamo   fieri,

resta   con   noi,

non   scomparire.

Come   potremmo

vivere   la   Pasqua

senza   il   dono

di   un   tuo   ramo,

simbolo   della   gioia,

d’  infinito   amore  ?

 

Isabella   Scotti   ottobre  2019

testo  :   copyright   legge   22   aprile   1941   n°   633

Vederli   così   malati   da   vicino,    vi  assicuro   è   una   tristezza.

Ora   per   voi   la   voce   del  grande   Pablo   Neruda

Ode  all’ulivo

Accanto al frusciare
del cereale, tra le onde
del vento sull’avena,
l’ulivo
dal volume argentato,
stirpe austera,
nel suo ritorto
cuore terrestre:
le gracili
ulive
lucidate
dalle dita
che fecero
la colomba
e la chiocciola
marina:
verdi,
innumerevoli,
purissimi
picciuoli
della natura,
e lì
negli
assolati
uliveti,
dove
soltanto
cielo azzurro con cicale
e terra dura
esistono,

il prodigio,
la capsula
perfetta
dell’uliva
che riempie
il fogliame con le sue costellazioni:
più tardi
i recipienti,
il miracolo,
l’olio.
Io amo
le patrie dell’olio,
gli uliveti
di Chacabuco in Cile,
al mattino
le piume di platino
forestali
contro la rugosa
cordigliera,
ad Anacapri, là su,
nella luce tirrena,
la disperazione degli ulivi,
e nella carta d’Europa,
la Spagna,
cesta nera di olive
spolverata di fiori d’arancio
come da una ventata marina.
Olio,
recondita e suprema
condizione della pentola,
piedistallo di pernici,
chiave celeste della maionese,
delicato e saporito
sulle lattughe
e soprannaturale nell’inferno
degli arcivescovili pesciprete.
Olio,
nella nostra voce, nel
nostro coro,
con
intima
mitezza possente
tu canti:
sei lingua
castigliana:
ci sono sillabe di olio,
ci sono parole
utili e profumate
come la tua fragrante materia.
Non soltanto il vino canta,
anche l’olio canta,
vive in noi con la sua luce matura
e tra i beni della terra
io seleziono,
olio,
la tua inesauribile pace,
la tua essenza verde,
il tuo ricolmo tesoro che discende
dalle sorgenti dell’ulivo.

Pablo Neruda 

 

E   il   nostro   Giovanni   Pascoli

 

La canzone dell’ulivo

A’ piedi del vecchio maniero
che ingombrano l’edera e il rovo;
dove abita un bruno sparviero,
non altro, di vivo;

che strilla e si leva, ed a spire

poi torna, turbato nel covo,
chi sa? dall’andare e venire
d’un vecchio balivo:

a’ piedi dell’odio che, alfine,
solo è con le proprie rovine,
piantiamo l’ulivo!

II
l’ulivo che a gli uomini appresti
la bacca ch’è cibo e ch’è luce,
gremita, che alcuna ne resti
pel tordo sassello;

l’ulivo che ombreggi d’un glauco
pallore la rupe già truce,
dov’erri la pecora, e rauco
la chiami l’agnello;

l’ulivo che dia le vermene
pel figlio dell’uomo, che viene
sul mite asinello.

III
Portate il piccone; rimanga
l’aratro nell’ozio dell’aie.
Respinge il marrello e la vanga
lo sterile clivo.

Il clivo che ripido sale,
biancheggia di sassi e di ghiaie;
lo assordano l’ebbre cicale
col grido solivo.

Qui radichi e cresca! Non vuole,
per crescere, ch’aria, che sole,
che tempo, l’ulivo!

IV
Nei massi le barbe, e nel cielo
le piccole foglie d’argento!
Serbate a più gracile stelo
più soffici zolle!

Tra i massi s’avvinchia, e non cede,
se i massi non cedono, al vento.

Lì, soffre, ma cresce, né chiede
più ciò che non volle.

L’ulivo che soffre ma bea,
che ciò ch’è più duro, ciò crea
che scorre più molle.

V
Per sé, c’è chi semina i biondi
solleciti grani cui copra
la neve del verno e cui mondi
lo zefiro estivo.

Per sé, c’è chi pianta l’alloro
che presto l’ombreggi e che sopra
lui regni, al sussurro canoro
del labile rivo.

Non male. Noi mèsse pei figli,
noi, ombra pei figli de’ figli,
piantiamo l’ulivo!

VI
Voi, alberi sùbiti, date
pur ombra a chi pianta ed innesta;
voi, frutto; e le brevi fiammate
col rombo seguace!

Tu, placido e pallido ulivo,
non dare a noi nulla; ma resta!
ma cresci, sicuro e tardivo,
nel tempo che tace!

ma nutri il lumino soletto
che, dopo, ci brilli sul letto
dell’ultima pace!

L’olivo nella storia

L’intensificarsi dei traffici marittimi lungo le coste del Meridione d’Italia ad opera di fenici, greci e romani fu alla base dello sviluppo dell’olivicoltura in Puglia, la cui millenaria civiltà ha profonde radici nella presenza dell’olivo, un albero dotato di grande sobrietà e resistenza, che si adatta anche a terreni magri e superficiali.

La spremitura delle olive per ottenere olio era pratica conosciuta molti secoli prima della venuta di Cristo: le testimonianze di macine primitive sono conservate nei musei dell’isola di Creta, ad Haifa in Israele ed in Egitto. Sono innumerevoli le raffigurazioni plastiche e pittoriche che pongono al centro l’albero di olivo e le pratiche connesse con l’estrazione dell’olio e con la sua utilizzazione come medicina, come alimento, come cosmetico, come fornitore di energia e luce.

Nel museo nazionale di Taranto sono conservate tre anfore antiche ed un sarcofago di un atleta che aveva partecipato alle Panatanee di Atene ed era stato premiato con vasi riccamente ornati contenenti olio di oliva, ricavato dagli olivi piantati da Solone. Questi legiferò nel Seicento a.C. che per tutta l’Attica fosse vietato l’abbattimento degli alberi di olivo; solo in caso di estrema necessità sarebbe stato consentito l’abbattimento di non più di due piante. Ancora oggi è in vigore nel nostro paese una legge emanata nell’immediato dopoguerra per salvaguardare il patrimonio olivicolo da indiscriminati abbattimenti per farne legna da ardere.

Con l’affermarsi dell’Impero Romano, l’olio d’oliva assunse una funzione strategica nel campo del commercio e delle attività di scambio tra i diversi popoli e si intensificarono anche gli studi sulla buona coltivazione dell’olivo. Illustri uomini di cultura, quali Plinio il Vecchio, Catone, Columella, offrirono un notevole contributo di conoscenze sulla coltivazione degli olivi. Secondo Varrone, le olive debbono essere brucate (raccolte a mano) utilizzando, se è necessario, le scale; Plinio rileva i danni che si procurano alle piante dalla bacchiatura ed ordina ai raccoglitori di non scorticare l’albero. Columella descrive i diversi sistemi di estrazione dell’olio dalla drupe.

La presenza dell’olivo nel corso dell’alto Medioevo era piuttosto scarsa. Olivi isolati tra i coltivi o tra le distese pascolative interessavano soprattutto aree a diretta gestione signorile. L’olio comunque non era merce ricca e il suo commercio era condizionato anche dagli ingombranti recipienti con i quali veniva trasportato.

Con la bizantinizzazione dell’Italia meridionale si determinò un nuovo quadro colturale, ma nel frattempo vennero ripristinate anche le colture tradizionali, come l’olivo e la vite.

Ai secoli bui della caduta dell’Impero Romano seguì un periodo di rinnovamento anche per l’olivicoltura, nell’epoca dei Comuni e dei Monasteri. Il commercio dell’olio riprende ad opera dei navigatori veneziani. I porti di Brindisi, Gallipoli, Otranto e Taranto divennero meta di navi che trasportavano enormi quantità di olio; vi si installano fondachi oltre che veneziani, anche toscani, genovesi, russi, inglesi e tedeschi. Il commercio dell’olio d’oliva assunse una tale importanza che nel 1559, il viceré spagnolo Parafran De Rivera dispose la costruzione di una strada che collegasse Napoli alla Puglia, con biforcazioni per la Calabria e l’Abruzzo per consentire un trasporto più rapido dell’olio di oliva.

I primi decenni del XVII secolo segnano, anche in Terra d’Otranto, il momento culminante di quella fase di prosperità che aveva caratterizzato tutto il Cinquecento, ma registrano anche l’inizio di una lunga crisi, che diventerà poi irreversibile per tutto il Mezzogiorno. Il deterioramento delle condizioni climatiche e il lungo ciclo di basse temperature che investirono l’Europa dopo il 1600 furono le cause che determinarono la crisi dei raccolti e le eccezionali carestie. Per fortuna la crisi registrata nella metà del XVII secolo non fu di lunga durata e già verso gli anni Ottanta del Seicento si poteva registrare una forte ripresa dell’economia agricola, con l’oliveto che ancora una volta s’imponeva nel quadro generale del paesaggio agrario. Da allora la coltura dell’ulivo ha conosciuto solo periodi di espansione e le tecniche di coltivazione sono state caratterizzate da un costante progresso. Sono state le abili mani di generazioni di “potatori” e “innestatori” pugliesi a modellare la iniziale forma selvatica dell’olivo, per trasformare le zone boscose in coltivazioni ben curate e regolari, allo scopo di esaltare la funzione produttiva delle piante e nello stesso tempo contenere gli elevati costi di coltivazione e raccolta. Un lavoro duro di secoli, che s’è andato ad incorporare in un grande patrimonio naturale di incomparabile bellezza, caratteristico di ogni angolo di questa terra, tanto da suscitare sorpresa e ammirazione nel visitatore. La Puglia perderebbe ogni identità se venisse a mancare l’olivo dal suo splendido panorama.

https://www.olioterranostra.it/InfoOlio/OlivoNellaStoria.asp

 

E   ora  poteva   forse  mancare  il   grande   Van   Gogh   e   il   suo   famoso   dipinto sugli   ulivi   ?

 

Gli Ulivi - Oliveto - Olive Trees - Van Gogh

   Gli   ulivi   (   Oliveto  )   Van   Gogh   Giugno   1889

 

E   ancora   nel   cinema   :    dalla  serie   televisiva   Maria   di   Nazaret    

 

Gesù,   interpretato   da   Andreas   Pietschmann ,   prega   sul   Monte  degli   ulivi  

 

Buonanotte   cari   amici


”  E’  resuscitato. –  Se  non  credete  a  me,  credete  al  sepolcro  vuoto.

Il  sepolcro  interrogato  potrebbe  dire:

Poteva  io  ritenere  a  lungo  Colui  ch’è  la  Vita?

Lo  accolsi  come  tesoro,

lo  custodii  nel  mio  grembo,

lo  accolsi  morto,

lo  resi  vivo.”

San  Girolamo

 

 

Andate  presto,  andate  a  dire.

Voi  che  l’avete  intuito  per  grazia.

Correte  su  tutte  le  piazze

A  svelare  il  grande  segreto  di  Dio.

 

Andate  a  dire  che  la  notte  è  passata

Andate  a  dire  che  per  tutto  c’è  un  senso.

Andate  a  dire  che  l’inverno  è  fecondo

Andate  a  dire  che  il  sangue  è  un  lavacro,

Andate  a  dire  che  il  pianto  è  rugiada,

Andate  a  dire  che  ogni  stilla  è  una  stella.

Andate  a  dire  che  le  piaghe  risanano.

Andate  a  dire  per  aspera  ad  astra

Andate  a  dire  per  crucem  ad  lucem.

Voi,  che  lo  avete  intuito  per  grazia,

Correte  di  porta  in  porta

A  svelare  il  grande  segreto  di  Dio.

 

Andate  a  dire  che  il  deserto  fiorisce,

Andate  a  dire  che  l’amore  ha  ormai  vinto

Andate  a  dire  che  la  gioia  non  è  sogno

Andate  a  dire  che  la  festa  è  già  pronta.

Andate  a  dire  che  il  bello  è  anche  vero.

Andate  a  dire   che  è  a  portata  di  mano.

Andate  a  dire  che  è  qui,  Pasqua  nostra.

Andate  a  dire  che  la  storia  ha  uno  sbocco.

Andate  a  dire  che  ogni  impegno  è  un  culto.

Andate  a  dire,  lottate.

Voi,  che  lo  avete  intuito  per  grazia,

Correte, correte  per  tutta  la  terra

A  svelare  il  grande  segreto  di  Dio.

 

Andate  a  dire  che  ogni  croce  è  un  trono.

Andate  a  dire   che  ogni  tomba  è  una  culla

Andate  a  dire  che  il  dolore  è  salvezza

Andate  a  dire  che  il  povero  è  in  testa

Andate  a  dire   che  il  mondo  ha  un  futuro

Andate  a  dire  che  il  cosmo  è  un  tempio

Andate  a  dire  che  ogni  bimbo  sorride

Andate  a  dire  che  è  possibile  l’uomo

Andate  a  dire,  voi,  tribolati

Andate  a  dire,  voi,  torturati

Andate  a  dire, voi,  ammalati

Andare  a  dire,  voi,  perseguitati

Andate  a  dire,  voi,  prostrati

Andate  a  dire,  voi,  disperati.

 

Andate  a  dire ,  voi,  comunque  sofferenti

Andate  a  dire,  voi,  offerenti- sorridenti

Andate  a  dire,  voi,  su  tutte  le  piazze

Andate  a  dire,  voi,  di  porta  in  porta

Andate  a  dire,  voi,  in  fondo  alle  strade

Andate  a  dire,  voi,  per  tutta  la  terra

Andate  a  dire,  voi,  gridandolo  agli  astri

Andate  a  dire , voi,  che  la  gioia  ha  un  volto.

Proprio  quello  sfigurato  dalla  morte

Proprio  quello  trasfigurato  nella  Pasqua

Oggi,  proprio  ora,  qui,  andate  a  dire

Andate  a  dire

Ed  è  subito  Pace

Perchè  è  subito  Pasqua !!!

 

San  Giovanni  Bosco

 

Cari  amici  oggi  è  un  giorno  speciale  per  noi  cristiani.  E  la  settimana  santa  che  si  conclude  con  gioia  nella  Pasqua  di  Resurrezione  non  può  non  aprire  i  cuori  alla  speranza. Oggi  voglio  qui a  tale  proposito  ricordare  un  film che  accanto  al  ”Gesù  di  Nazareth”  di  Zeffirelli ,  al  ”Vangelo  secondo  Matteo”  di  Pasolini  è  secondo  me,  pur  nella  crudezza  di  certe  scene,  un  film  da  vedere:  parlo  di  ”La Passione  di  Cristo”  di  Mel  Gibson.  Molti  sono  stati  nella  storia  del  cinema  i  film   che  hanno  narrato della  sua  vita .  Dai  più  lontani  negli  anni  ricordo  ad  esempio   :  ”La  più  grande  storia  mai  raccontata”  con  il  grande  Max  von  Sydow   nei  panni  di  Gesù   o  ”Il  Re  dei  Re”   con  Jeffrey  Hunter ,   o  ancora  per  avvicinarci   ai  nostri  tempi   anche  ”L’ultima  tentazione  di  Cristo”    con  Willem  Dafoe.  Quella  di  Gibson,  girata  tra  i  sassi  di  Matera,  in  aramaico  e   latino,  lingue del  tempo,  è  un’opera  che  è  riuscita  a  coinvolgermi  molto  profondamente.  Mi  sono  sentita  così  vicina  a  Gesù  come  quasi  fossi  lì  realmente.  Forse  ha  contribuito  quel  parlare  strano, l’aramaico,  che  non  avevo  mai  udito  prima. Ho  visto  tanti  film  sull’argomento  ma  condivido  l’angolazione  di  Gibson.La  violenza  di  alcune  scene  tanto   osteggiate  sono  invece  per  me  ciò  che  realmente  avrà  dovuto  subire  Gesù  una  volta  fatto  prigioniero.  Quindi  l’ho  trovato  incisivo  vero e  brutale  proprio  nel  momento  in  cui  Egli  viene  deriso,  torturato,  offeso, ma  poi  anche  ricco  di  tanta  poesia.  Faccio  riferimento  ad  esempio  agli  sguardi  pieni  d’amore  della madre  verso  il  figlio,  di  una  splendida  Maria,  ispirata , che  osserva  Gesù  salire  con  la  croce  sulle  spalle  verso  il  Golgota,  ricordandolo  piccolo  bambino,   tenerissima  immagine.  Ma  penso,  in  questo  giorno  di  Pasqua,  soprattutto  alla  Resurrezione.  All’immagine  nel  film  che  più  mi  ha  commosso.  Quella  del  momento  in  cui  Gesù,  nel  sepolcro  seduto  di  profilo,  improvvisamente  si  alza  per  ricongiungersi  al  Padre. Ecco,  questo  è  il  significato  al  quale  fare  riferimento  nella  Pasqua,  quel  risorgere  ad  una  nuova  vita,   piena, quella  che  vivremo  per  sempre  ricongiunti  al  Padre  e  a  tutti  i  nostri  cari.

Auguri  a  tutti  voi  cari  amici,  di  tutto  cuore.

Isabella

 

 


Visto  che  tra  un  pò  è  Pasqua,  e  qualche  dolce  sicuramente  imbandirà  le  nostre  tavole,  parliamo  un  pò  di  pasticceria,  un’arte  antica  che  esprime  una  capacità  manuale  accompagnata  ad  una  creatività  e  abilità   nel  mescolare  ingredienti  di  ogni  sorta   che  nei  secoli  si  è  sempre  più  specializzata  dando  origine   a  prelibatezze  per  tutti  i  gusti.

Risalgono  all’antico Egitto  le  rappresentazioni  dei  primissimi  laboratori   di  pasticceria,   attraverso  dipinti  che  raffigurano  la  lavorazione  di  pani  dolci  a  forma  di  animali  modellati  a  mano  o  in  stampi.  Anche  però  se  i  veri  precursori  dell’arte  pasticcera  furono  i  Greci,  che  fecero  largo  uso  del  miele  introducendo  nei  dolci  anche  la  frutta  (  uva,  noci,  mandorle).

I  precursori  invece  della  canditura  di  fiori,  frutta,  semi  furono  gli  Arabi  che  erano  soliti  servire  agrumi  e  rose  candite  nei  loro  banchetti.  I  canditi  di  fiori  rimasero  in  largo  uso  fino  a  tutto  l’Ottocento,  mentre  i  canditi  di  frutta  sono  ancora  oggi  utilizzati  nei  dolci  come  la  cassata,  la  colomba,  il  panforte  e  il  panettone.

Durante  l’Impero  Romano,  al  mestiere  del  panettiere  si  affiancò  quello  più  raffinato  del  pasticcere,  prima  svolto  unicamente  dalle  donne  poi  anche  dagli  uomini,  tanto  che  si  rese  necessaria  l’istituzione  di  una  ”lega  dei  pasticceri”  una  sorta  di  moderna  associazione  di  categoria.  In  epoca  romana  comparvero  anche  i  dolci  più  elaborati,  primi  ”esperimenti”  di  un’arte  che  svilupperà  la  pasta  sfoglia,  i  bignè,  i  budini…

Raffinatezza  e  maestria  erano  le  doti  attribuite  ai  pasticceri  francesi  nel  Quattrocento,  secolo  in  cui  si  formò  la  Confraternita  di  Sant’Onorato,  in  onore  del  Santo  rappresentato  con  la  pala  da  fornaio  su  cui  sono  posati  tre  pani.

Manuali  e  regole  scritte  di  pasticceria  risalgono  all’età  moderna.  Celeberrimo  il  ”Libro  de  Arte  Coquinaria”  di  Maestro  Martino,  dove  tra  l’altro  sono  trattati  i  tempi  di  cottura,  per  i  quali  si  consiglia  di  non  avere  fretta  e  di  regolarsi,  per  la  perfetta  riuscita  di  dolci  e  pietanze,  su  preghiere  recitate  a  memoria.

Tra  il  XVIII  e  il  XIX  secolo   la  pasticceria  tocca  vertici  altissimi  e  in  Europa  l’abilità  dei  ”maitres  patissiers”  come  Antoine  Careme  e  Jules  Gouffè  è  riconosciuta  come  una  vera  e  propria  forma  d’arte.

Oggi  nessuno  di  noi  penso  davanti  una  bella  pasticceria  potrà  passare  oltre…Penso  con  golosità   adesso  anche  a  tutte  le  belle  preparazioni  pasquali  di  questi  giorni. E  allora  siete  pronti?  Assaggiamo  qualcosa?  No,  miei  cari,  tratteniamoci  aspettando  la  Domenica  di  Pasqua.  Avremo  a  nostra  disposizione  colombe,  pastiera, uova  di  cioccolato  e  tutto  ciò  che  decideremo  di  mettere  in  tavola…Aurevoir

Fonte:  Da  ”Buongusto  –  ogni  sapore  ha  un  seguito”  Fratelli  Carli