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Ulivo,

che   sembri

piangere

per   lo   scempio

che   di   te

fa

l’  odiosa   xylella,

non   abbatterti,

non   lasciare

che   ti   uccida

ogni   giorno

di   più.

Ribellati,

ulivo

vecchio   di   secoli.

Alza   i   tuoi   rami

non   lasciare

che   diventino   secchi,

non   soccombere.

Regalaci

ancora

i   tuoi   frutti,

regalaci   ombra,

come   sempre

hai   fatto.

Il   tuo   legno,

durissimo,

non   può   cedere,

non   può   diventare

cartapesta.

Voglio   ancora

in   terra

di   Puglia,

in   campagna,

ovunque   tu   sia,

vederti   rigoglioso,

solare.

Vinci   la   tua   battaglia,

lotta   contro

la   xylella   fastidiosa.

Raddrizza

la   tua   chioma

fluente,

torna   ad   essere

la   pianta   che   eri,

che   sei   sempre   stata.

Torna   a   produrre

quell’ olio   ambrato,

di   cui   tutti   

andiamo   fieri,

resta   con   noi,

non   scomparire.

Come   potremmo

vivere   la   Pasqua

senza   il   dono

di   un   tuo   ramo,

simbolo   della   gioia,

d’  infinito   amore  ?

 

Isabella   Scotti   ottobre  2019

testo  :   copyright   legge   22   aprile   1941   n°   633

Vederli   così   malati   da   vicino,    vi  assicuro   è   una   tristezza.

Ora   per   voi   la   voce   del  grande   Pablo   Neruda

Ode  all’ulivo

Accanto al frusciare
del cereale, tra le onde
del vento sull’avena,
l’ulivo
dal volume argentato,
stirpe austera,
nel suo ritorto
cuore terrestre:
le gracili
ulive
lucidate
dalle dita
che fecero
la colomba
e la chiocciola
marina:
verdi,
innumerevoli,
purissimi
picciuoli
della natura,
e lì
negli
assolati
uliveti,
dove
soltanto
cielo azzurro con cicale
e terra dura
esistono,

il prodigio,
la capsula
perfetta
dell’uliva
che riempie
il fogliame con le sue costellazioni:
più tardi
i recipienti,
il miracolo,
l’olio.
Io amo
le patrie dell’olio,
gli uliveti
di Chacabuco in Cile,
al mattino
le piume di platino
forestali
contro la rugosa
cordigliera,
ad Anacapri, là su,
nella luce tirrena,
la disperazione degli ulivi,
e nella carta d’Europa,
la Spagna,
cesta nera di olive
spolverata di fiori d’arancio
come da una ventata marina.
Olio,
recondita e suprema
condizione della pentola,
piedistallo di pernici,
chiave celeste della maionese,
delicato e saporito
sulle lattughe
e soprannaturale nell’inferno
degli arcivescovili pesciprete.
Olio,
nella nostra voce, nel
nostro coro,
con
intima
mitezza possente
tu canti:
sei lingua
castigliana:
ci sono sillabe di olio,
ci sono parole
utili e profumate
come la tua fragrante materia.
Non soltanto il vino canta,
anche l’olio canta,
vive in noi con la sua luce matura
e tra i beni della terra
io seleziono,
olio,
la tua inesauribile pace,
la tua essenza verde,
il tuo ricolmo tesoro che discende
dalle sorgenti dell’ulivo.

Pablo Neruda 

 

E   il   nostro   Giovanni   Pascoli

 

La canzone dell’ulivo

A’ piedi del vecchio maniero
che ingombrano l’edera e il rovo;
dove abita un bruno sparviero,
non altro, di vivo;

che strilla e si leva, ed a spire

poi torna, turbato nel covo,
chi sa? dall’andare e venire
d’un vecchio balivo:

a’ piedi dell’odio che, alfine,
solo è con le proprie rovine,
piantiamo l’ulivo!

II
l’ulivo che a gli uomini appresti
la bacca ch’è cibo e ch’è luce,
gremita, che alcuna ne resti
pel tordo sassello;

l’ulivo che ombreggi d’un glauco
pallore la rupe già truce,
dov’erri la pecora, e rauco
la chiami l’agnello;

l’ulivo che dia le vermene
pel figlio dell’uomo, che viene
sul mite asinello.

III
Portate il piccone; rimanga
l’aratro nell’ozio dell’aie.
Respinge il marrello e la vanga
lo sterile clivo.

Il clivo che ripido sale,
biancheggia di sassi e di ghiaie;
lo assordano l’ebbre cicale
col grido solivo.

Qui radichi e cresca! Non vuole,
per crescere, ch’aria, che sole,
che tempo, l’ulivo!

IV
Nei massi le barbe, e nel cielo
le piccole foglie d’argento!
Serbate a più gracile stelo
più soffici zolle!

Tra i massi s’avvinchia, e non cede,
se i massi non cedono, al vento.

Lì, soffre, ma cresce, né chiede
più ciò che non volle.

L’ulivo che soffre ma bea,
che ciò ch’è più duro, ciò crea
che scorre più molle.

V
Per sé, c’è chi semina i biondi
solleciti grani cui copra
la neve del verno e cui mondi
lo zefiro estivo.

Per sé, c’è chi pianta l’alloro
che presto l’ombreggi e che sopra
lui regni, al sussurro canoro
del labile rivo.

Non male. Noi mèsse pei figli,
noi, ombra pei figli de’ figli,
piantiamo l’ulivo!

VI
Voi, alberi sùbiti, date
pur ombra a chi pianta ed innesta;
voi, frutto; e le brevi fiammate
col rombo seguace!

Tu, placido e pallido ulivo,
non dare a noi nulla; ma resta!
ma cresci, sicuro e tardivo,
nel tempo che tace!

ma nutri il lumino soletto
che, dopo, ci brilli sul letto
dell’ultima pace!

L’olivo nella storia

L’intensificarsi dei traffici marittimi lungo le coste del Meridione d’Italia ad opera di fenici, greci e romani fu alla base dello sviluppo dell’olivicoltura in Puglia, la cui millenaria civiltà ha profonde radici nella presenza dell’olivo, un albero dotato di grande sobrietà e resistenza, che si adatta anche a terreni magri e superficiali.

La spremitura delle olive per ottenere olio era pratica conosciuta molti secoli prima della venuta di Cristo: le testimonianze di macine primitive sono conservate nei musei dell’isola di Creta, ad Haifa in Israele ed in Egitto. Sono innumerevoli le raffigurazioni plastiche e pittoriche che pongono al centro l’albero di olivo e le pratiche connesse con l’estrazione dell’olio e con la sua utilizzazione come medicina, come alimento, come cosmetico, come fornitore di energia e luce.

Nel museo nazionale di Taranto sono conservate tre anfore antiche ed un sarcofago di un atleta che aveva partecipato alle Panatanee di Atene ed era stato premiato con vasi riccamente ornati contenenti olio di oliva, ricavato dagli olivi piantati da Solone. Questi legiferò nel Seicento a.C. che per tutta l’Attica fosse vietato l’abbattimento degli alberi di olivo; solo in caso di estrema necessità sarebbe stato consentito l’abbattimento di non più di due piante. Ancora oggi è in vigore nel nostro paese una legge emanata nell’immediato dopoguerra per salvaguardare il patrimonio olivicolo da indiscriminati abbattimenti per farne legna da ardere.

Con l’affermarsi dell’Impero Romano, l’olio d’oliva assunse una funzione strategica nel campo del commercio e delle attività di scambio tra i diversi popoli e si intensificarono anche gli studi sulla buona coltivazione dell’olivo. Illustri uomini di cultura, quali Plinio il Vecchio, Catone, Columella, offrirono un notevole contributo di conoscenze sulla coltivazione degli olivi. Secondo Varrone, le olive debbono essere brucate (raccolte a mano) utilizzando, se è necessario, le scale; Plinio rileva i danni che si procurano alle piante dalla bacchiatura ed ordina ai raccoglitori di non scorticare l’albero. Columella descrive i diversi sistemi di estrazione dell’olio dalla drupe.

La presenza dell’olivo nel corso dell’alto Medioevo era piuttosto scarsa. Olivi isolati tra i coltivi o tra le distese pascolative interessavano soprattutto aree a diretta gestione signorile. L’olio comunque non era merce ricca e il suo commercio era condizionato anche dagli ingombranti recipienti con i quali veniva trasportato.

Con la bizantinizzazione dell’Italia meridionale si determinò un nuovo quadro colturale, ma nel frattempo vennero ripristinate anche le colture tradizionali, come l’olivo e la vite.

Ai secoli bui della caduta dell’Impero Romano seguì un periodo di rinnovamento anche per l’olivicoltura, nell’epoca dei Comuni e dei Monasteri. Il commercio dell’olio riprende ad opera dei navigatori veneziani. I porti di Brindisi, Gallipoli, Otranto e Taranto divennero meta di navi che trasportavano enormi quantità di olio; vi si installano fondachi oltre che veneziani, anche toscani, genovesi, russi, inglesi e tedeschi. Il commercio dell’olio d’oliva assunse una tale importanza che nel 1559, il viceré spagnolo Parafran De Rivera dispose la costruzione di una strada che collegasse Napoli alla Puglia, con biforcazioni per la Calabria e l’Abruzzo per consentire un trasporto più rapido dell’olio di oliva.

I primi decenni del XVII secolo segnano, anche in Terra d’Otranto, il momento culminante di quella fase di prosperità che aveva caratterizzato tutto il Cinquecento, ma registrano anche l’inizio di una lunga crisi, che diventerà poi irreversibile per tutto il Mezzogiorno. Il deterioramento delle condizioni climatiche e il lungo ciclo di basse temperature che investirono l’Europa dopo il 1600 furono le cause che determinarono la crisi dei raccolti e le eccezionali carestie. Per fortuna la crisi registrata nella metà del XVII secolo non fu di lunga durata e già verso gli anni Ottanta del Seicento si poteva registrare una forte ripresa dell’economia agricola, con l’oliveto che ancora una volta s’imponeva nel quadro generale del paesaggio agrario. Da allora la coltura dell’ulivo ha conosciuto solo periodi di espansione e le tecniche di coltivazione sono state caratterizzate da un costante progresso. Sono state le abili mani di generazioni di “potatori” e “innestatori” pugliesi a modellare la iniziale forma selvatica dell’olivo, per trasformare le zone boscose in coltivazioni ben curate e regolari, allo scopo di esaltare la funzione produttiva delle piante e nello stesso tempo contenere gli elevati costi di coltivazione e raccolta. Un lavoro duro di secoli, che s’è andato ad incorporare in un grande patrimonio naturale di incomparabile bellezza, caratteristico di ogni angolo di questa terra, tanto da suscitare sorpresa e ammirazione nel visitatore. La Puglia perderebbe ogni identità se venisse a mancare l’olivo dal suo splendido panorama.

https://www.olioterranostra.it/InfoOlio/OlivoNellaStoria.asp

 

E   ora  poteva   forse  mancare  il   grande   Van   Gogh   e   il   suo   famoso   dipinto sugli   ulivi   ?

 

Gli Ulivi - Oliveto - Olive Trees - Van Gogh

   Gli   ulivi   (   Oliveto  )   Van   Gogh   Giugno   1889

 

E   ancora   nel   cinema   :    dalla  serie   televisiva   Maria   di   Nazaret    

 

Gesù,   interpretato   da   Andreas   Pietschmann ,   prega   sul   Monte  degli   ulivi  

 

Buonanotte   cari   amici


margherita-e-prato.jpg (366×205)

Nuovo  TAG  amici.  Che  fare ?  Nulla  o  dire  qualcosa  a  riguardo?  Troppo  bello  questo  tag  ideato  da  Carla  (  https://ladimoradelpensiero.wordpress.com)  e  troppo  bello  essere  stata  taggata  dal  caro  amico  Piero ( fotogrammi e pentagrammi.wordpress.com )  per  rimanere  in  silenzio.

Le  regole  sono  sempre  le  stesse

1)  ringraziare  chi  l’ha  ideato :   grazie  Carla

2) ringraziare  chi  mi  ha  taggata  :  grazie  Piero

3)  nominare 10  blogger   (  voi  sapete  che  non  lo  farò )

4)  mettere  il  logo

5 )  esporre  il  proprio  ABC

Già  nel  titolo  mi  sono  un  pò  sbilanciata.

Ora  vi  dirò  qualcosa  in  più  con  un  acrostico  che  racchiude  il  mio  modo  d’interpretare  la  felicità.  Anche  se  debbo  puntualizzare  il  fatto  che  difficilmente  si  può  essere  felici  appieno,  quanto  più   raggiungere  uno  stato  sereno  di appagamento.  Questo  logicamente  è  come  la  vedo  io.

ARMONIA

Tutto  ciò  che   messo   insieme   mi  fa  star  bene.   L’armonia  del  creato  ad  esempio  procura  in  me  una  beatitudine  straordinaria.  Così  come  la  danza,  la  musica  classica  o  un’opera  d’arte  che racchiuda  in  sè  quel  mistero  irraggiungibile  che  la  rende  tale  ma  che  pur  tuttavia  raggiunge  il  cuore.

BERE  LA  VITA

Ecco,  qui  è  il  mio  punto  fermo.  Giorno  dopo  giorno,  fino  in  fondo,  vivere  apprezzando  sia  nel  bene  che  nel  male  ogni  pezzetto,  come  parte  di  un  puzzle,  della  vita.  Andare  avanti,  sempre , guardare  al  passato  teneramente,  sorridendogli  ma  proiettati  verso  il  futuro,  vivendo  il  presente  con  un  sorriso.  Quando  il  dolore  arriva,  perchè  arriva,  è  bene  non  soffermarsi  troppo  su  di  esso  perchè  superarlo  è  l’unico  modo  di  liberarsene. La  vita  va  avanti  imperterrita  e  noi  dobbiamo  accompagnarla  con  coraggio ,  dignità  e  forza.  Vivere  così  è  bere  la  vita  fino  all’ultimo  goccio.

CUORE

Come  fare  a   pensare  e  vivere  senza  usare  il  cuore.  Amare  con  tutto  il  cuore.  Fare  tutto  con  il  cuore.  Ascoltarne  i  battiti,  le  vibrazioni,  i  palpiti.  Il  nostro  cuore  ci  parla  e  ascoltarlo  è  l’unico  modo  per  trovare  quella  serenità  che  andiamo  tutti  cercando.

Questo  il  mio  ABC.  Ed  ora  l’acrostico.

F  elicità  è  bere  la  vita  fino  all’ultimo  goccio

E   realizzare  i  propri  sogni

L  iberi,  senza  costrizioni,  è

I  mmergersi  nella  natura

C  on  lo  sguardo  puro  di  un  bambino. E’

I  incontrare  la  persona  giusta  con  la  quale  condividere

T utto

A  mare  incondizionatamente,  sempre,  perchè  solo  l’amore  rende  liberi

Isabella  Scotti

Vi  voglio  bene.   Un  abbraccio  a  tutti  . Isabella


Tu  parli  della  tua  età,  dei  tuoi  fili  di  seta  bianca.

Guarda  le  tue  mani  di  petali  d’oleandro,  il  tuo  collo  unica  piega  di  grazia

Amo  la  cenere  sulle  tue  ciglia  sulle  tue  palpebre,  i  tuoi  occhi  d’oro  opaco

I  tuoi occhi  di  sole  nella  rugiada  d’oro  verde,  sull’erba  del  mattino

I  tuoi  occhi  a  novembre  come  il  mare  all’aurora  intorno  al  castello  di  Gorèe

Quanta  forza  nel  fondo,  che  tesori  di  caravelle  gettati  al  dio  d’ebano!  

Amo  le  tue  giovani  rughe  e  queste  ombre  che  il  tuo  sorriso  di  settembre

Colora  di  rosa  antico,  questi  fiori  agli  angoli  dei  tuoi  occhi  e  delle  tue  labbra

I  tuoi  occhi  il  tuo  sorriso,  i  balsami  delle  tue  mani  di  velluto,  il  pelo  del  tuo  corpo

Che  da  tempo  mi  incantarono  nel  giardino  dell’Eden

Donna  ambigua,  tutta  furore  e  dolcezza.

Ma  nel  cuore  della  fredda  stagione 

Quando  le  linee  del  tuo  volto  si  presenteranno  più  pure

Le  guance  più  cave,  lo  sguardo  remoto,  mia  Donna,

Quando  di  solchi  saranno  striati,  come  i  campi  d’inverno  la  tua  pelle,

Il  collo  il  corpo  sfiniti

Le  tue  sottili  diafane  mani,  raggiungerò  il  tesoro  della  mia  ritmica  ricerca

Il  sole  dietro  la  lunga  notte  d’angoscia

La  cascata  e  la  stessa  melopea,  le  mormoranti  sorgenti  della  tua  anima,

Vieni,  la  notte  scende  sulle  terrazze  bianche,  e  tu  verrai

La  luna  accarezza  il  mare  con  la  sua  luce  di cenere  trasparente

Lontano  riposano  le  stelle  sugli  abissi  marini  della  notte

Come  una  via  lattea  si  allunga  l’Isola.

Ascolta,  senti?  Il  ripetuto  abbaiare che  sale  da  Cap  Manuel

E  dal  ristorante  del  pontile  e  dalla  baia

Che  musica  strana,  soave  come  il  sogno

Cara !…

SENGHOR-  POESIE  DELL’ AFRICA

 

Leopold   Sèdar    Senghor,  il  massimo  poeta  africano,  è  una  delle  figure  più  autorevoli  della  cultura  mondiale.

Padre  della NEGRITUDINE,  il  grande  movimento  di  affermazione  della  specificità  culturale  africana,  è  un  cantore  sublime  dell’unità  dell’uomo  con  la  natura.

Senghor  fu  eletto  primo  Presidente  della  Repubblica  del  Senegal  nel  1960,  dopo  la  liberazione  dal  colonialismo  francese,  e  ha  guidato  il  suo  paese  per  venti  lunghi  anni.  Lui  cristiano,  in  un  paese  musulmano,  a  dimostrazione  della  tolleranza  religiosa  esistente   in   Senegal.

 


Mesi  fa  un  professore  di  Oxford,  un  certo  Dawkins,  se  n’è  uscito  con  un’ affermazione  sconsiderata  che  mi  ha  riportato  alla  mente  ciò  che  i  nazisti  trovavano  utile  fare  per  tutelare  la  cosiddetta  ”razza  pura”,  e  cioè  eliminare  tutti  i  disabili. Il  suddetto  nel  suo  delirio,  affermava  che  di  fronte  alla  diagnosi  prenatale  di  SD (  sindrome  di  Down ),  l’unica  scelta  giusta  fosse  quella  di  abortire  visto  che  sempre  per  il  suddetto  sarebbe  immorale  partorire  un  tale  bimbo.  Lasciando  da  parte  qualunque  considerazione  sull’aborto  che  non  condivido,  optando  sempre  per  la  vita,  tranne  forse  in  casi  del  tutto  estremi,  voglio  qui  riportare  stralci  di  un’  intervista  fatta  alla  mamma  di  un  bambino  Down  di  nove  anni  che  risponde  a  Dawkins  attraverso una  lettera  pubblicata   sul   ”Fatto  Quotidiano” e  poi  su  ”Repubblica”. Una  risposta data  da  una  donna  intelligente  e coraggiosa.  Eccola :

”Un  bambino  con  sindrome  di  Down  è  un  bambino  capace  di  dare  tanto  amore  e  come  ogni  altro  bisognoso  di  riceverne  altrettanto.  L’amore  può  arrivare  là  dove  la  razionalità  e  il  freddo  quoziente  intellettivo  non  arrivano.  Mette  in  atto  delle  possibilità  inaudite,  è  capace  di  trasmettere  non  solo  emozioni  e  sentimenti  positivi,  ma  anche  di  dare  forza  e  energia,  come  il  sole  a  una  pianta,  per  lo  sviluppo  e  la  crescita  delle  potenzialità  umane…E  l’amore  alimenta  sempre  altro  amore,  in  un  circolo  virtuoso…Vorrei  proporre  a  Dawkins  un’immagine…Un  bambino  Down  è  come  un  quadrifoglio  brillante  in  un  campo  di  trifogli:  ha  presente?  Il  cromosoma  in  più,  come  quella  quarta   fogliolina,  che  la  sapienza  popolare  valorizza  come  simbolo  di  fortuna,  è  un  curioso  scherzo  della  natura,  ma  non  è  niente  di  oscuro  e  terrificante:  è  ciò  che  rende  speciali  i  nostri  figli,  nel  bene  e  nel  male”.

Come  è  cambiata  grazie  a  suo  figlio?

”Sono  diventata  più  paziente,  ma  anche  più  determinata.  Ho  imparato  ad  aspettare  ed  a  non  attendermi  sempre  e  subito  il  risultato  migliore.  Ho  imparato  a  gestire  molto  meglio  la  frustrazione  e  anche  ad  affermare  quello  che  penso,  quando  è  necessario.  Rispetto  ad  una  volta,  vivo  molto  più  intensamente  il  presente  e  assaporo  con  più  gusto  le  piccole  gioie  della  vita.  Evito  di  farmi  prendere  dal  panico  per  imprevisti.  Ho  messo  da  parte  i  pregiudizi  che  avevo  anch’io  prima  di  vivere  la  mia  situazione  attuale;  mi  concentro  di  più  sull’ascolto  e  sui  sentimenti.  Posso  dire  che  mio  figlio  mi  ha  regalato  un  nuovo  paio  di  occhiali  con  cui  guardare  le  cose  e  le  persone,  e  grazie  a  lui  ho  anche  capito  molto  di  più  degli  altri.  Dalle  reazioni  che  hanno  nei  suoi  confronti,si  vede  bene  chi  si  lascia  guidare  da  pregiudizi,  paure  o  imbarazzi  o  chi,  invece  ha  un’anima  sensibile.   Mio  figlio  mi  ha  insegnato  a  far  festa  anche  ai   lati  più  reali  della  nostra  esistenza,  svelandomi  che  il  vero  valore  dei  nostri  atti  non  risiede  nella  perfezione,  ma  nel  come  le  cose  si  vivono  e  condividono.”

Sara   Bisanti

Vi  invito  a  leggere  sul  ”Fatto  Quotidiano” la  lettera  completa  in  risposta  al  professore.

 

 

 

Mirko-castelli-and-mamma

Inutile  dire  che  sto  totalmente  dalla  parte  di  Sara.


Vergine  madre,  figlia  del  tuo  figlio,

umile  e  alta  più  che  creatura,

termine  fisso  d’eterno  consiglio;

Tu  se’  colei  che  l’umana  natura

nobilitasti  sì,  che’l  suo  fattore

non  disdegnò  di  farsi  sua  fattura.

Nel  ventre  tuo  si  raccese  l’amore

per  lo  cui  caldo  nell’etterna  pace

così  è  germinato  questo  fiore.

Qui  se’  a  noi  meridiana  face

di  caritate,  e  giuso,  intra  i  mortali,

se’  di  speranza  fontana  vivace.

      Donna,  se’  tanto  grande  e  tanto  vali,

che  qual  vuol  grazia  ed  a  te  non  ricorre,

sua  disianza  vuol  volar  sanz’ali.

La  tua  benignità  non  pur  soccorre

a  chi  domanda,  ma  molte  fiate

liberamente  al  dimandar  precorre.

In  te  misericordia,  in  te  pietate,

in  te  magnificenza,  in  te  s’aduna

quantunque  in  creatura  è  di  bontade.

Dante  Alighieri

 

Vergine  Madre  è  ripresa  dalla  ”Divina  Commedia”  (  Paradiso   XXXIII, 1-21 ).  Si  tratta  della  prima  parte  della  preghiera  che  San  Bernardo  innalza  alla  Vergine  perchè  Ella  con  la  sua  intercessione  ottenga  a  Dante  la  visione  di  Dio  e  dei  supremi  misteri.  Il  brano  scelto  è  un’elevata  espressione  di  lode,  in  cui  Maria  viene  esaltata  come  la  più  alta  tra  le  creature,  destinata  ad  essere  madre  di  Gesù,  mediatrice  universale  di  grazia,  e  di  salvezza.  Composta  secondo  l’arte  retorica  di  cui  Bernardo  era  ritenuto  maestro,  in  un  linguaggio  denso  pur  senza  sfoggio  di  dottrina,  la  preghiera,  con  felice  gioco  di  antitesi,  raccoglie  motivi  e  formule  della  letteratura  mariana  di  tradizione  biblica  e  liturgica:   vergine- madre,  figlia- figlio,  umile- alta…L’edizione  italiana  della  Liturgia  delle  Ore (  1974)  ha  collocato  questo  brano  come  inno  nell’Ufficio  delle  Letture  del  Comune  della  Madonna .  Per  la  prima  volta  un  testo  poetico  di  Dante  entra  nella  preghiera  liturgica.

 

Buona festa dell’Immacolata a tutti cari amici.  Isabella

 


Questo  mese  ricevette  il  nome  attuale  dall’imperatore  Augusto  e  fu  scelto  non  perchè  fosse  il  suo  mese  natale,  ma  perchè  fu  il  mese  in  cui  gli  accaddero  gli  avvenimenti  più  fortunati.  Siccome  Luglio  contava  31  giorni   e  Agosto  solo  30,  fu  necessario  aggiungere  a  quest’ultimo  mese,  un  altro  giorno,  in  quanto  l’imperatore  Augusto  non  doveva  essere  sotto  ogni  aspetto  inferiore  a  Giulio  Cesare.

Enciclopedia  Britannica

 

24   Agosto    San  Bartolomeo

15   Agosto  festa  dell’Assunta

16  Agosto   MIO  COMPLEANNO

 

DETTI

”  Tutte  le  lacrime  che  San  Swithin  può  versare,  il  mantello  di  San  Bartolomeo  le  può  asciugare.”

 

”San  Bartolomeo  porta  la  fresca  rugiada  sul  posto.”

 

”Se  il  24  agosto  sarà  bello  e  chiaro  sii  certo  che  l’autunno  non  sarà  avaro”

 

L’ANGOLO   DELLA    POESIA

 

O  più  bello   tra  i  mesi!  Fulgido  re  d’estate

Apogeo  dell’anno

Con  drappi  che  risplendono  di  sole,

O  dolce  Agosto,  appari.

 

R.  Combe  Miller

 

Avanza  Agosto,

Baldanzoso.

Caldi  sorrisi

Regala  alla  terra,

Ma  ahimè

Non  disdegna

Elargire

Anche  brezza

  Mattutina.

E’  un  pò  bizzoso

Agosto:

Sembra  fuoco

Ma  è  anche

Acqua.

Un  pò  come  fa

Marzo,

E  ai  suoi  giochi 

 Allora,

Noi  stiamo  attenti

Sempre  sperando

Più  nel  sole

Che  nei  venti !

 

Isabella  Scotti

 

Il   gallo  di  brughiera  con  un  frullo  d’ali

Salta  tra  l’erica  in  fiore,

Vieni,  andiamo  il  nostro  lieto  sentiero,

E  guardiamo  gli  incanti  di  natura,

Il  grano  frusciante,  il  rovo  coi  suoi  frutti.

E  ogni  creatura  felice.

 

Burns

 

Non  c’è  brezza  sulle  felci,

Nessuna  increspatura  sul  lago;

Sopra  il  nido  sonnecchia  l’aquila,

Nella  macchia  si  è  rifugiato  il  cervo;

Gli  uccellini  più  non  cantano,

La  balzante  nota  sta  immobile.

Tanto  cupa  minaccia  la  nube  tempestosa,

Che  sovrasta  come  un  sudario  viola

La  remota  collina  di  Ben – Ledi.

 

Scott

 

Viveva  dove  il  monte  scende  al  mare,

Dove  fiume  e  marea  s’incontrano,

Sorbo  dorato  di  Menolowan,

Così  la  chiamavano.

 

Nessuna  circostanza  poteva  turbare

        La  sua  anima;

Sorbo  dorato  di  Menolowan

Come  il  tempo  era  immobile  per  lei!

 

I  suoi  amici  crebbero  all’amore,

          Ma  quella  timida  vagabonda,

          Sorbo  dorato  di  Menolowan,

          Sapeva  che  amore  non  era  per  lei.

 

L’amor  suo  era  per  le  cose  selvatiche;

Ascoltare  uno  scoiattolo  squittire,

Nel  dorato  sorbo  di  Menolowan

Era  gioia  abbastanza  per  lei.

 

Lei  dorme  sulla  collina  col  sole  solitario,

Là  dove,  nei  giorni  che  furono,

                  Il  sorbo  dorato  di  Menolowan

così  spesso  le  dava  la  sua  ombra

 

Verrà  il  frutto  scarlatto  a  maturare,

Le scarlatte  fronde  a  stormire,

Il  dorato  sorbo  di  Menolowan,

E  nessun  sogno  sveglieranno  in  lei.

 

Solo  il  vento  si  china  sulla  sua  tomba,

Per  piangerla  e  confortarla,

               E  il  sorbo  dorato  di  Menolowan

                E’  tutto  ciò  che  sappiamo  di  lei.

 

Bliss  Carmen

 

 

 

 

 


Le  nuvole.  Belle,  di  un  candore  immacolato,  vanno  e  vengono,  evanescenti,  inafferrabili,  perennemente  mutevoli.  E  osservarle  con  il  naso  all’insù  può  stimolare  in  qualcuno  un  interesse  maggiore  che  non  sia  solo  legato  ad  un  aspetto  poetico  quanto  per  indagare  gli  enigmi  della  natura  .Ed  infatti  si  occuparono  di  esse  già  Aristotele  e  Cartesio,  grandi  filosofi.  Ma  fu  nella  metà  del  Seicento  che  si  avviò  il  primo  progetto  mondiale  di  studio  sul  clima.  E  ciò  avvenne  nel  Granducato  di  Toscana.  Qui  governava  Federico  II  de’  Medici,  uomo  dai  molteplici  interessi  scientifici,  il  quale  fece  installare  una  dozzina  di  stazioni  metereologiche,  sistemate  in  vari  osservatori  astronomici,  a  partire  dai  suoi  territori  fino  all’Europa  centrale.  Gli  operatori  all’interno,  compilavano  una  tabella  prestabilita  rilevando  temperatura,  pressione,  venti,  umidità,  visibilità  e  poi  la  inviavano  a  Firenze.  La  coraggiosa  operazione  andò  avanti  per  tredici  anni  fino  al  1667,  quando  insormontabili  difficoltà  di  comunicazione,  misero  fine  all’ambizioso  progetto.  Da  quel  tentativo  tuttavia  emergeva  la  necessità  di  avere  dei  riferimenti  precisi  riguardo  i  comportamenti  della  meteorologia.  Impresa  non  facile  che  vide  una  passione  naturale  portare  il  giovane  britannico  Luke  Howard  (1772- 1864)  a  occuparsene  partendo  dall’aspetto  più  seducente  del  cielo,  le  nubi  appunto. Raccontava  di  essere  stato  folgorato,  ancora  undicenne,  dall’estate  del  1783  quando  a  causa  di  due  grandi  eruzioni  vulcaniche  in  Islanda  e  in  Giappone,  la  volta  celeste  offriva  spettacoli  e  colori  indimenticabili.  Figlio  di  un  farmacista,  anche  lui  si  avviava  allo  stesso  mestiere,  ma  scrutando  e  prendendo  appunti  quasi  ossessivamente  tutti  i  giorni sulle  formazioni  nuvolose  che  solcavano  l’orizzonte,  per  cercare  di  distinguerle, scoprirne anche  i  loro   meccanismi.  Alla  fine  del  Settecento  l’Europa,  scossa  dalla  rivoluzione francese,  aveva  innescato  cambiamenti  politici  rilevanti  accendendo  anche  interessi  sociali  e  culturali  verso  la  comprensione  della  natura  prima  inesistenti.  I  cittadini  londinesi  animavano  la  città  in  modo  particolare  dando  vita  e  frequentando  incontri  dove  si  spiegavano  gli  enigmi  della  scienza.  Ed  era  in  Lombard  Street   che  la  Società  Askesiana  fondata  da  un  gruppo  di  giovani  quaccheri  organizzava  nel  dicembre  1802  un  incontro  nel  quale  Luke  Howard  presentava  le  sue  idee  elaborate  sulle  nubi  a  lungo  inseguite.  Tra  gli  ascoltatori  c’era  Alexander  Tilloch ,  editore  di  Philosophical  Magazine,  la  più  nota  rivista  scientifica  inglese  del  momento.  Impressionato  dalle  nuove  e  precisi  descrizioni  decideva  di  pubblicarle  con  il  titolo ” Sulle  modificazioni  delle  nubi. ” Scriveva Howard :  ”Per  consentire  ai  meteorologi  di  applicare  lo  strumento  dell’analisi  all’esperienza  altrui,  può  forse  essere  opportuno  introdurre  una  nomenclatura  metodologica  applicabile  alle  diverse  forme  di  acqua  sospesa(  nell’atmosfera) , ovvero  alla  modificazione  delle  nubi.”  E  definiva  tre  tipi,  Cirrus,  Cumulus e  Stratus  ai  quali  poi   aggiunse  Nimbus.  La  semplice  illustrazione  delle  mutevoli  forme  nuvolose  veniva  bene  accettata  non  soltanto  in  Inghilterra  ma  anche  in  Europa  grazie  all’uso  del  latino,  un  linguaggio  noto  e  comprensibile  nei  vari  Paesi.  In  secondo  luogo  Howard  si  era  adeguato  al  clima  di  ordinamento  della  natura  inaugurato  dal  medico  e  botanico  svedese  Carl  Linneo  che  aveva  classificato  scientificamente  gli  organismi  viventi,  piante  e  animali.  Un  criterio  ben  diverso  aveva  invece  adottato  in  un  tentativo  analogo  l’illustre  contemporaneo  e  naturalista  francese  Jean – Baptiste  de  Lamarck,  già  noto  e  discusso  autore  di  una  prima  teoria  sull’evoluzione .  Ma  avendo  fatto  l’errore  di  utilizzare  termini  francesi  questo  affogò  definitivamente  il  suo  tentativo.  La  nomenclatura  di  Howard  invece,  si  diffondeva  rapidamente  diventando  anche  un  fenomeno  culturale.  Il  grande  letterato  Goethe  ne  rimaneva  tanto  colpito  da  scrivere  versi  dedicati  proprio  ad  Howard.  Celebri  uomini  d’arte  come  i  pittori  romantici  John  Constable  e  William  Turner  guardavano  e  riproducevano  il  fascino  misterioso  delle  nubi  nei  loro  dipinti  e  il  critico  d’arte  John  Ruskin  adottava  la  nomenclatura  nell’esame  dei  quadri.  In  questo  modo  Luke  Howard  con  ”l’invenzione  delle  nubi”  diventerà  il  ”padre  della  meteorologia”  e  i  suoi  termini  latini  arricchiti  da  successive  variazioni  compaiono  ancora  oggi  nelle  carte  dei  meteorologi.   E  i  venti ?  Come  si  arrivò  a  studiarli ?  Nel  1880  il  capitano  William  Scoresby  usava  già  le  nuove  tavole  navigando  sulla  baleniera  Resolution   ma  lamentava  l’assenza  di  una  valutazione  simile  per  i  venti  dai  quali  il  mare  dipendeva.  E  tentava,  senza  successo,  la  composizione  di  una  scala.  In  realtà  anche  un  altro  comandante,  Francis  Beaufort  (1772- 1864)  era  impegnato  sullo  stesso  fronte  e  dal  1806  aveva  compilato  una  classificazione  che  iniziò  ad  usare  nel  suo  viaggio  in  Sud  America  per  delineare  l’idrografia  del  Rio  della  Plata.   Contava  14  gradi  di  forza  del  vento  tra  calma  e  tempesta,  passando  per  brezza  leggera,  brezza  fresca  e  vento  moderato  stabile.  Il  suo  sforzo  però,  arriverà  a  compimento  quando  riuscirà  a  integrare  i  vari  tentativi  elaborati  a  partire  dalla  metà  del  Settecento,  per  i  venti  sulla  terra  e  sul  mare  collegando  la  loro  forza  agli  effetti  sugli  oggetti.  A  tal  fine  si  era,  ad  esempio ,  considerata  la  pressione  esercitata  sulle  pale  dei  mulini  a  vento.  L’accettazione  della  sua  proposta  si  rivelava  comunque  difficile,  e  soltanto  nel  1829  quando  sarà  eletto  idrografo  della  Marina,  riuscirà  a  promuoverla  con  efficacia.  Tra  i  primi  ad  adottarla  ,  per  suo  ordine,ci  fu  il  capitano  Robert  Fitzroy  comandante  del  brigantino  Beagle.  I  due  nomi  segneranno  la  storia  della  scienza,  perchè,  proprio  Beaufort,  fece  da  intermediario  all’Ammiragliato  sostenendo  l’opportunità  d’imbarcare  sul  brigantino  il  giovane  naturalista  Charles  Darwin.   Dal  lungo  viaggio  nacque  la  scoperta  dell’evoluzione   descritta  nella   ”Origine  della  specie”  la  cui  pubblicazione  irritò  Fitzroy  fanatico  antievoluzionista.  L’impegno  di  Beaufort  sarà  premiato  nel  1838  quando  la  Marina  britannica  adottò  ufficialmente  la  sua  scala  imponendola  su  ogni  bastimento.  Intanto,  dalla  sua  posizione,  dirigeva  numerose  esplorazioni:  da  quella  di  John  Franklin  in  Artico  per  cercare  il  passaggio  a  nord-ovest,  alla  spedizione  di  James  Clark  Ross  per  la  misurazione  del  magnetismo  terrestre.  Non  a  caso  con  il  suo  nome  veniva  battezzato  il  Mare  di  Beaufort  nell’Oceano  Artico  e  l’isola  di  Beaufort  nell’oceano  Antartico.  Così  agli  inizi  dell’Ottocento,  nel  secolo  del  positivismo  scientifico,  le  nubi  e  i  venti  avevano  trovato  i  loro  misuratori.

Se  darete  un’occhiata  a  questo  link  vi  tufferete   nella  pittura   di  John  Constable  rimanendone piacevolmente colpiti come è successo a me.

https://www.google.it/#q=la+cattedrale+di+salisbury+vista+dai+campi&stick=H4sIAAAAAAAAAGOovnz8BQMDAy8HsxKnfq6-QVKWkWHVAfVZ7cqvPASO34x6k8on2mD9IjwEALW7ZM4qAAAA

fonte      da  un  articolo  di  Giovanni  Caprara  su  Sette 12-07-2013


Quell’estate il sole era di tutti i giorni. Ed io, che adoro la montagna, mi ero alzata presto per osservare le Dolomiti, che colpite dai raggi del sole, si coloravano di rosa per sorprendere chiunque avesse, come me, deciso di guardarle. Finalmente, pensavo, la Val di Fassa è  nuovamente mia.  Lasciai mio marito dormire e uscii. Ho sempre provato un piacere sottile nel sentire sulle mie guance quell’aria fresca , pulita, tipica di quei luoghi. E anche quella mattina sperimentavo la stessa cosa . Alba di Canazei si era già svegliata e si sentiva nell’aria profumo di pane fresco. Mi piaceva e mi piace tuttora camminare sola, e così improvvisamente ebbi quell’idea. Salire su, al rifugio del Contrin. Era quasi una sfida con me stessa. In realtà già da ragazza, con i miei e mio cugino affiliato del Cai, avevo sperimentato quel percorso che ormai conoscevo bene. Ma quella mattina, ero io , sola, che iniziavo il sentiero, ripido, pieno di pietre. L’aria fresca mi dava la carica e andavo sempre più su contenta, senza sentire fatica. La valle del Contrin è straordinaria per quella sensazione di calma che emana quando arrivi , finito il sentiero pietroso,in un grande slargo pianeggiante dove le mucche pascolano tranquille, e la via , più percorribile rilassa un pò dopo la fatica.Infatti, anche ora, mi godevo lo spettacolo osservando il rifugio ancora in alto e lontano. Tutto mi diceva però che sarei riuscita nell’impresa. E difatti con forza, con coraggio, da sola, continuavo ad andare. Perchè in pochi avevano avuto la mia stessa idea preferendo la sosta al bar ubicato alla fine del sentiero più faticoso. E così , vedendo la meta avvicinarsi, come uno scoiattolo,raggiunsi con un pò di fiatone, quella vetta, o meglio quel rifugio tanto agognato .Ero riuscita a vincere la sfida con me stessa e dopo aver fatto colazione, tornare indietro fu quasi una corsa tanta la soddisfazione, la carica interiore, per essere arrivata fino in fondo nella mia impresa e per la calda giornata di sole, in cui, tutti i colori della natura,risaltavano in uno spettacolo, per me, unico e straordinario.

Scusate ma il computer è impazzito : mi mette come data il tre invece che sette novembre. .Sorry


Trovo che andare in bicicletta sia divertente ma non troppo, quando sembra essere una moda, e si incontrano gruppi di ciclisti pedalare allegramente, ma pericolosamente, nel traffico cittadino. Ricordo che adolescente, amavo d’estate, in Veneto, andare in bici con mio fratello e mio cugino,ciclista nato. Conoscendo bene i luoghi della sua infanzia, preferiva guidarci per strade sterrate, risvegliando in noi lo stupore dato dallo scoprire alberi pieni di rosse ciliege contrastare con il bianco polveroso di percorsi senza asfalto. E poi costeggiare il fiume Brenta,dove mio padre da ragazzo faceva il bagno nella sua acqua fresca e limpida. Era straordinario vagare in libertà,osservando ciò che la natura offriva in quel momento. Ricordo le nostre risate e il sapore dell’avventura che ”condiva” quel girare in bici. Mi piacerebbe che anche oggi la bicicletta venisse usata nella maniera più giusta possibile, facendone circoscrivere l’uso a gite fuori porta seguendo percorsi naturali, piste ciclabili laddove ce ne siano, per usare questo mezzo con più consapevolezza e senza troppo fanatismo.