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Quando  ai  primi  di  luglio  siamo  stati  a  Casalmaggiore  per  visitare  il  Museo del Bijou, di  cui  parlo,  ricorderete,  in  un  mio  vecchio  post https://isabellascotti.wordpress.com//2014/06/18/lo-scintillant…-delloro-matto//,  ci  siamo  fermati  a  visitare   nella  Bassa  Padana,   Brescello,  lo  storico  paese  di  Peppone  e  Don  Camillo.   In  realtà  non  è  certo  un  paese  che  rimane  nella  memoria  per  architetture  particolari,  ma  mantiene  un  fascino  d’altri  tempi  che  non  può  non  colpire.  Sembra  che  il  tempo  si  sia  fermato  al  periodo  magico  dei  due  storici  rivali   –  amici.  Nella  piazzetta  antistante  la  vecchia  chiesa,  dove  Don  Camillo  parlava  al  famoso  Crocefisso,  ci  sono  le  statue  dei  due  vicino  ai  quali  non  può  mancare  la  classica  fotografia  ricordo.  Non  c’è  confusione,  solo  qualcuno  cammina,  salutando  un  amico  e  le  ore    sembrano  passare  senza  che  nessuno  se  ne  accorga.  Poi  il  tuffo  nel  passato :  il  Museo  Don  Camillo  e  Peppone  creato  per  ricordare  Guareschi,  i  suoi  libri ,  i   fotogrammi  dei  film  girati  e  i  momenti  vissuti  durante  la  lavorazione.  Qui  ci  sono  anche  numerosi  cimeli  come  la  moto  di  Peppone (  Gino  Cervi ),  la  tonaca  di  Don  Camillo ( Fernandel )    e  perfino  la  ricostruzione  della  canonica  .  Al  piano  superiore  su  di  una  grande  parete  è  riportata l’immagine  dell’alluvione  del  Po,  sotto  la  quale  si  trova  la  barca  con  la  quale , Don  Camillo  in  uno  dei   film,  attraversa  il  fiume  osservando  intorno  allibito  la  desolazione.  Il  Grande  Fiume…dal nome piccollissimo : due  lettere  sole ” P”  e ” O”  ,  PO.   Eppure  quel  nome  a  volte,  anche  se  così  piccolo  fa  paura.  Perchè   il  Grande  Fiume è  capace  nella  sua  calma,  nel  suo  silenzio  di  salire  e  gonfiarsi  smisuratamente,   superare  gli  argini ,  allagare  le  golene  e  inondare.  A  Brescello  abbiamo  passeggiato  sotto  gli  alberi  guardandolo  da  lontano,  mentre  riposava  tranquillo,  ma  immaginando  come  poteva  diventare  tutto  intorno  e  cambiare  quindi  prospettiva,  il  paesaggio,  in  quel  momento,  di  un  luogo  silenzioso, quasi  misterioso,   e   devastato  invece  nell’attimo  sconvolgente  di  un’alluvione.  Qui  vorrei  riproporre  le  parole  di  quel  grande  giornalista  sportivo  che  fu  Gianni  Brera,  voce  indimenticabile  per  schiettezza  e  ironia,  che  nel  suo  ”Invectiva  ad  Patrum  Padum”  così  scriveva : ” …La  notte  si  udivano  continui  muggiti  di  stalle  terrorizzate  e  disperatissime  grida  di  uomini  che  chiamavano  aiuto.  Le  nostre  povere  case  si  ammollavano  e  screpolavano  facendoci  sentire  ancor  più  precaria  la  vita.  Bisce  e  topi  invadevano  i  solai  rinnovando  il  ribrezzo  che  doveva  essere  dei  nostri  padri  vissuti  su  palafitte,  in  paludi  e  nelle  terremare.  Poi,  lentamente,  il  vasto  ululato  del  fiume  si  attenuava  in  un  rugliare  lontano  e  più  vago.  Infine  l’acqua  si  ritirava  lasciando  fango  e  carogne  dietro  di  sè.  Distrutti  i  raccolti,  schiantati  o  divelti  i  boschi  cedui,  sconnesse  le  case  e  i  ponti…”  Ieri  in  televisione  hanno  fatto  vedere  il  parroco  del  paese,  che  con  in  mano  il  Crocifisso  col  quale  dialogava  Don  Camillo,  in  processione  andava  incontro  al  Grande  Fiume,  pregandolo  di  fermarsi  nella  sua  corsa  distruttiva.  Un’immagine  che  ho  trovato  di  grande  fede  e  che  mi  ha  fatto  ricordare  non  so  perchè  San  Francesco  di  fronte  al  lupo  di  Gubbio.

 

 


CANTO   AL  VANGELO

Cf,  ML  11,  25

 

Ti  rendo  lode,  Padre,

Signore  del  cielo  e  della  terra,

perchè  ai  piccoli

hai  rivelato

i  misteri  del  Regno.

 

Una  nuova  vita  è  speranza  e  amore.

 

Cari  amici  oggi  19  settembre,  vi  annuncio  con  gioia  la  nascita  di  nostra  nipote  Arianna.

Peso  :   3,410  Kg

Lunghezza  :  cm  53

Capelli :  non  rossi  ahimè  ma  sembrerebbero  color  castano  chiaro.

Occhi  :  di  colore  blu  che  muterà  col  passare  del  tempo sicuramente

Pelle  di  un  colorito  delicatamente  roseo.

Mamma  e  bimba  stanno  bene  anche  opera  di  un  travaglio,  dopo  la  perdita  delle  acque,  durato  circa  sei  ore  e  mezza , che  per  essere  il  primo  figlio,  ci  è  sembrato  davvero  poco.

In   casa   è   gioia   immensa.

 

Altro  che  dolore  :  partorirai  con  la  bellezza

La  gravidanza,  il  parto,  i  primi  mesi  di  vita  del  bambino  sono  momenti  straordinari  per  una  donna.  Tempi  di  attesa,  di  dubbi  e  speranze,  ma  anche  di  straordinaria  ricettività  e  creatività.  Oggi,  spesso,  l’accento  è  posto  su  una  medicalizzazione  dell’esperienza  della  maternità   che  tralascia  questi  aspetti.  Ecco,  per  riportare  lo  sguardo  sulle  madri  e  la  loro  percezione  di  se  stesse  si  svolge  a  Roma  al  Museo   MAXXI   fino  al  9  ottobre  il  ciclo  di  incontri  Partorire  con  l’arte.  Una  serie  di  appuntamenti  gratuiti,  un  format  inedito  che  mette  insieme  un  discorso  sull’arte,  la  medicina,  la  psicologia.  Gli  spazi  museali  accolgono  le  donne  in  attesa,  i  loro  mariti  o  chi  è  semplicemente  curioso:  sul  palco  si  alternano  artisti,  critici,  psicologi,  medici  per  indagare  il  rapporto  profondo  tra  l’arte (  dalla  celeberrima  Madonna  del  parto  di  Piero  della  Francesca  ai  contemporanei )  e  il  mistero  della  vita  e  della  nascita.  Ideato  da  un  ginecologo  anche  collezionista  d’arte,  Antonino  Martino  e  Miriam  Mirolla,  che  insegna  psicologia  dell’arte  all’Accamedia  di  Belle  Arti  di  Roma,  il  percorso  degli  incontri  tocca  diversi  tema  :  dall’Annunciazione,  a  I  sogni  in  gravidanza,  da  Fenomenologia  e  fisiologia  del  lieto  evento  a  L’iconografia  della  nascita. 

Lo  scopo  ,  per  i  curatori  degli  incontri,  é  in  primo  luogo  quello  di  ”  sottrarre  la  donna  incinta  all’isolamento  della  sua  condizione  e  alla  severità  dell’ambiente  medico”.  E  per  questo,  senza  negare  ”le  tensioni  e  le  ansie”  che  accompagnano  la  maternità , mettere  al  centro  l’esperienza  della  bellezza:  ”La  scoperta  artistica  fa  da  trait  d’union  tra  l’ospedale  e  il  museo,  che  sono  poi  i  luoghi  germinali  della  vita  e  della  creatività”. 

Come  sa  ogni  madre  che  stringendo  per  la  prima  volta  il  suo  bambino  tra  le  braccia  ha  esclamato :  ”E’  bellissimo”.

Date  degli  incontri:  26  settembre ,  3  e  9  ottobre.

 

fonte  :  articolo  di  Lara  Crinò  da  ”Il  venerdì”  di  Repubblica  19  settembre  2014

 


Che cos’è la fotografia? Quell’arte  straordinaria per cui si riesce a fermare, con uno scatto, un’immagine, un momento particolare che colpisce sia lo sguardo, ma anche e forse di più il nostro immaginario, coinvolgendoci e facendoci partecipi di mondi talvolta sconosciuti. Qualunque soggetto può essere spunto per fare ottime foto. Varie sono le figure del fotografo: chi si specializza in riprese sottomarine, chi viene attirato da scorci romantici, chi addirittura diviene esperto nel riprendere in luoghi di guerra situazioni, episodi, verità raccapriccianti. Oggi la fotografia, con la tecnica digitale si è molto evoluta, grazie anche all’autofocus il fotografo ha molte più possibilità, e attraverso tecniche sofisticate può elaborare foto, correggerle laddove ce ne fosse bisogno, consegnando a chi vuole osservarle opere sempre più perfette. Tutto questo per introdurre e raccontare, fin dove ne sarò in grado, una mostra fotografica molto particolare, che ho visitato nel marzo dello scorso anno, con i miei figli, al Museo Trastevere di Roma: ”Evgen Bavcar: il buio è uno spazio”. Dirò, che avendone sentito parlare in televisione,  ne ero fin da subito rimasta affascinata e incuriosita. Un pò perchè mio figlio, fotografo dilettante, avrebbe potuto, pensavo, trarne giovamento,  ma soprattutto perchè volevo osservare da vicino le opere di questo autore di cui parlerò più avanti. Oggi dove tutto ormai è apparenza, siamo sempre più bombardati da immagini, tanto da osservare distrattamente ciò che ci capita sottomano ( nei giornali, ad esempio, che talvolta sfogliamo in fretta) e non sempre focalizziamo ciò che il nostro occhio vede rappresentato. Ma nel momento in cui, con calma, prendendo tutto il tempo che ci serve, andiamo a visitare una galleria fotografica, dove immaginiamo l’autore, con la sua macchina  intento ad inquadrare, mettere a fuoco un qualsivoglia soggetto e poi scattare, siamo consapevoli che abbia VISTO tutto quello che c’era da vedere prima di fermare l’immagine con uno scatto. Ebbene, niente di questo discorso è valido per Evgen Bavcar, in quanto sto per parlare  di un ”fotografo” che non vede cioè cieco,   che  può solo ricordare ciò che ha visto fino all’età di dodici anni. Nato in Slovenia nel 1946, infatti a 12 anni , in seguito a due incidenti succeduti a breve distanza l’uno dall’altro, perde completamente la vista, senza perdere tuttavia la volontà di combattere uno stato che dalla luce lo porterà a vivere per sempre  nel buio più totale. Con forza d’animo studierà fino a laurearsi a Parigi in filosofia. Per France Culture condurrà varie trasmissioni radiofoniche ,formandosi piano piano, anche se come lui dice ”non esistono vere e proprie scuole di formazione fotografica per ciechi”, diventando nel 1988 fotografo ufficiale del ”Mois de la Photografie” a Parigi (mese della fotografia). Dall’inizio degli anni novanta è tra i fotografi più richiesti d’Europa e nel 1992 l’editore francese Seuil  ha pubblicato un volume con fotografie e saggi. I suoi lavori sono stati esposti in varie mostre personali e collettive, a Parigi, Milano,Colonia, Berlino, addirittura fino in Argentina. Le sue foto, che sono contenta di aver potuto vedere, hanno qualcosa di magico.  In esse, tutte in bianco e nero, solo una o due a colori, Bavcar rappresenta il mondo che è impresso nella sua memoria  attingendo ad essa come da ”un presepe di ricordi” come dicono in molti. .Non so come riesca a fotografare, anche se probabilmente in sè può essere anche facile dopo averlo imparato come tecnica ,ma riuscire a far sì che le foto si avvolgano di un alone di magico mistero  forse è più difficile. Bavcar ci riesce  prima di tutto attingendo  a ciò che è rimasto immagazzinato dentro di lui, (colori, odori, rumori, suoni), fotografando  e avvolgendo le foto di una luce particolare, facendosi aiutare come lui stesso dice”dall’autofocus e dagli infrarossi perchè il buio è lo spazio della mia esistenza”. Ed ecco allora la foto di una strada circondata da alberi in Slovenia , dove la luce ne illumina un tratto rendendola misteriosa. O corpi di modelle nude, dove mani misteriose si allungano a tastare quei corpi, quasi, attraverso quel contatto, a realizzarne l’esistenza. Un occhio che non vede, ma capace di penetrare mondi  distanti da noi anni luce. Bavcar è oggi un signore colto che parla cinque lingue,e va in giro con un grande”borsalino”in testa , ed una lunga sciarpa rossa al collo,  appoggiandosi ad un bastone. Una figura emblematica, interessante, tutta da scoprire.

<< Io non tocco gli oggetti ma” li guardo da vicino”. Offro alla vostra vista la trascendenza delle immagini che esprimono lo sguardo spirituale del mio terzo occhio>>.   Evgen Bavcar

Ed   ora   lasciamo   parlare   le   sue   foto

 

 

 

 

 

 

 

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Il ricordo è come un’onda del mare, che arriva improvvisa e ti sommerge. Non puoi far altro che abbandonarti a lei, facendoti trasportare come quando si fa il”morto a galla”. E il tempo presente si frantuma in tanti piccoli o grandi momenti della nostra vita passata. Ritornano così immagini o rivivono episodi ,che sono stati il nostro vissuto nel bello e nel brutto. Si risvegliano  allora emozioni che credevamo sopite per sempre e  relegate in un angolo del nostro essere. Così succede a me, ogni volta che ritorno a Bassano del Grappa, a Nove dove sono nati i miei genitori e dov’è sepolto mio padre, a Marostica , dove si rappresenta la famosa partita a scacchi in costume.  Rivedere la bella campagna veneta da cui partono le mie origini. Luoghi da me molto amati ,ai quali faccio ritorno sempre con una gioia infinita. Forse perchè  il tornare è quel ricordo che affiora, e rivedere paesi che per me hanno una forte valenza sentimentale, è un ripercorrere un pò la strada della mia vita. Qui vivevano soprattutto i parenti di mia madre, più numerosi , oltre due cugini di mio padre che ancora adesso con piacere andiamo sempre a trovare.  Ricordo la casa della mia bisnonna ,chiamata affettuosamente ”nonna Nana”, nel quartiere di San Vito, sulla strada che va da Bassano verso la Valsugana. Era una grande casa su quattro piani, con un’ enorme cucina al piano inferiore dove si trovava il focolare con il suo bel ”caliero” così chiamato , in veneto, il paiolo per la polenta, e un lavabo in travertino, al di sotto del quale delle tendine nascondevano delle pentole in rame.  C’era una stanza, dove la zia Aida teneva una bella macchina da cucire  che le serviva per il suo lavoro di sarta e dove, in un salottino vicino, riceveva le sue clienti. Le camere da letto ai piani superiori erano spaziose e con la mia bisnonna, vedova, vivevano le sue tre figlie,  tutte sposate e  sua sorella ”la zia Marina”.  All’ultimo piano c’era il granaio dove si radunavano le provviste di cibo e dove ”nonna Nana”aveva ricavato degli spazi dove far dormire tutti i nipoti, anche quelli come me che arrivavano d’estate. Il bagno era all’esterno della cucina in un grande cortile, dove in un recinto la nonna teneva dei conigli. Mi piaceva molto quella casa. Mi divertiva la compagnia di quei cugini, ben più grandi di me, di quegli zii spiritosi, e dei miei nonni con i quali mi accompagnavo, aspettando più tardi l’arrivo di mia madre con mio fratello, più piccolo di me di due anni. Ricordo le passeggiate serali verso la stazione, sotto le stelle, le risate: sembravamo una carovana. E poi c’era Bassano. Il suo famoso” ponte degli alpini”,  il fiume Brenta nel quale mio padre adorava bagnarsi, e la campagna veneta da girare in bicicletta in un traffico quasi inesistente.  Il tempo passa, le persone assumono atteggiamenti diversi , le mode cambiano, tutto si trasforma, ma anche  tutto rimane. Ed ecco allora” Piazza della Libertà”, un tempo” Piazza dei Signori” ,  con la grande chiesa oggi in restauro, il Museo civico,  sorto nel 1828, il più antico del Veneto e le librerie famose come quella ”Roberti” ad esempio, fulcro se vogliamo della vita culturale di Bassano fatta anche di rappresentazioni teatrali, danza, opere liriche. Senza dimenticare la ceramica: vasi, piatti, centrotavola tutti disegnati e colorati d’azzurro e di giallo. La famosa grappa Nardini, da prendere rigorosamente prima di attraversare il ponte d’inverno, per affrontare meglio il freddo che scende  dalla Valsugana. Possibile che mi prenda questo nodo alla gola nel riscoprire angoli fioriti e  nel risentire nell’aria i profumi di un tempo? E’ questa terra che sento mia, pur essendo nata a  Roma. Terra che mi parla con la sua storia, con i suoi panorami, con il Monte Grappa ricco di passato. Questa campagna veneta sa sempre accogliermi, sa rilassarmi e coccolarmi, ed  è in fondo proprio qui, che io mi sento veramente bene.