CANTO AL VANGELO
Cf, ML 11, 25
Ti rendo lode, Padre,
Signore del cielo e della terra,
perchè ai piccoli
hai rivelato
i misteri del Regno.
Una nuova vita è speranza e amore.
Cari amici oggi 19 settembre, vi annuncio con gioia la nascita di nostra nipote Arianna.
Peso : 3,410 Kg
Lunghezza : cm 53
Capelli : non rossi ahimè ma sembrerebbero color castano chiaro.
Occhi : di colore blu che muterà col passare del tempo sicuramente
Pelle di un colorito delicatamente roseo.
Mamma e bimba stanno bene anche opera di un travaglio, dopo la perdita delle acque, durato circa sei ore e mezza , che per essere il primo figlio, ci è sembrato davvero poco.
In casa è gioia immensa.
Altro che dolore : partorirai con la bellezza
La gravidanza, il parto, i primi mesi di vita del bambino sono momenti straordinari per una donna. Tempi di attesa, di dubbi e speranze, ma anche di straordinaria ricettività e creatività. Oggi, spesso, l’accento è posto su una medicalizzazione dell’esperienza della maternità che tralascia questi aspetti. Ecco, per riportare lo sguardo sulle madri e la loro percezione di se stesse si svolge a Roma al Museo MAXXI fino al 9 ottobre il ciclo di incontri Partorire con l’arte. Una serie di appuntamenti gratuiti, un format inedito che mette insieme un discorso sull’arte, la medicina, la psicologia. Gli spazi museali accolgono le donne in attesa, i loro mariti o chi è semplicemente curioso: sul palco si alternano artisti, critici, psicologi, medici per indagare il rapporto profondo tra l’arte ( dalla celeberrima Madonna del parto di Piero della Francesca ai contemporanei ) e il mistero della vita e della nascita. Ideato da un ginecologo anche collezionista d’arte, Antonino Martino e Miriam Mirolla, che insegna psicologia dell’arte all’Accamedia di Belle Arti di Roma, il percorso degli incontri tocca diversi tema : dall’Annunciazione, a I sogni in gravidanza, da Fenomenologia e fisiologia del lieto evento a L’iconografia della nascita.
Lo scopo , per i curatori degli incontri, é in primo luogo quello di ” sottrarre la donna incinta all’isolamento della sua condizione e alla severità dell’ambiente medico”. E per questo, senza negare ”le tensioni e le ansie” che accompagnano la maternità , mettere al centro l’esperienza della bellezza: ”La scoperta artistica fa da trait d’union tra l’ospedale e il museo, che sono poi i luoghi germinali della vita e della creatività”.
Come sa ogni madre che stringendo per la prima volta il suo bambino tra le braccia ha esclamato : ”E’ bellissimo”.
Date degli incontri: 26 settembre , 3 e 9 ottobre.
fonte : articolo di Lara Crinò da ”Il venerdì” di Repubblica 19 settembre 2014
Che cos’è la fotografia? Quell’arte straordinaria per cui si riesce a fermare, con uno scatto, un’immagine, un momento particolare che colpisce sia lo sguardo, ma anche e forse di più il nostro immaginario, coinvolgendoci e facendoci partecipi di mondi talvolta sconosciuti. Qualunque soggetto può essere spunto per fare ottime foto. Varie sono le figure del fotografo: chi si specializza in riprese sottomarine, chi viene attirato da scorci romantici, chi addirittura diviene esperto nel riprendere in luoghi di guerra situazioni, episodi, verità raccapriccianti. Oggi la fotografia, con la tecnica digitale si è molto evoluta, grazie anche all’autofocus il fotografo ha molte più possibilità, e attraverso tecniche sofisticate può elaborare foto, correggerle laddove ce ne fosse bisogno, consegnando a chi vuole osservarle opere sempre più perfette. Tutto questo per introdurre e raccontare, fin dove ne sarò in grado, una mostra fotografica molto particolare, che ho visitato nel marzo dello scorso anno, con i miei figli, al Museo Trastevere di Roma: ”Evgen Bavcar: il buio è uno spazio”. Dirò, che avendone sentito parlare in televisione, ne ero fin da subito rimasta affascinata e incuriosita. Un pò perchè mio figlio, fotografo dilettante, avrebbe potuto, pensavo, trarne giovamento, ma soprattutto perchè volevo osservare da vicino le opere di questo autore di cui parlerò più avanti. Oggi dove tutto ormai è apparenza, siamo sempre più bombardati da immagini, tanto da osservare distrattamente ciò che ci capita sottomano ( nei giornali, ad esempio, che talvolta sfogliamo in fretta) e non sempre focalizziamo ciò che il nostro occhio vede rappresentato. Ma nel momento in cui, con calma, prendendo tutto il tempo che ci serve, andiamo a visitare una galleria fotografica, dove immaginiamo l’autore, con la sua macchina intento ad inquadrare, mettere a fuoco un qualsivoglia soggetto e poi scattare, siamo consapevoli che abbia VISTO tutto quello che c’era da vedere prima di fermare l’immagine con uno scatto. Ebbene, niente di questo discorso è valido per Evgen Bavcar, in quanto sto per parlare di un ”fotografo” che non vede cioè cieco, che può solo ricordare ciò che ha visto fino all’età di dodici anni. Nato in Slovenia nel 1946, infatti a 12 anni , in seguito a due incidenti succeduti a breve distanza l’uno dall’altro, perde completamente la vista, senza perdere tuttavia la volontà di combattere uno stato che dalla luce lo porterà a vivere per sempre nel buio più totale. Con forza d’animo studierà fino a laurearsi a Parigi in filosofia. Per France Culture condurrà varie trasmissioni radiofoniche ,formandosi piano piano, anche se come lui dice ”non esistono vere e proprie scuole di formazione fotografica per ciechi”, diventando nel 1988 fotografo ufficiale del ”Mois de la Photografie” a Parigi (mese della fotografia). Dall’inizio degli anni novanta è tra i fotografi più richiesti d’Europa e nel 1992 l’editore francese Seuil ha pubblicato un volume con fotografie e saggi. I suoi lavori sono stati esposti in varie mostre personali e collettive, a Parigi, Milano,Colonia, Berlino, addirittura fino in Argentina. Le sue foto, che sono contenta di aver potuto vedere, hanno qualcosa di magico. In esse, tutte in bianco e nero, solo una o due a colori, Bavcar rappresenta il mondo che è impresso nella sua memoria attingendo ad essa come da ”un presepe di ricordi” come dicono in molti. .Non so come riesca a fotografare, anche se probabilmente in sè può essere anche facile dopo averlo imparato come tecnica ,ma riuscire a far sì che le foto si avvolgano di un alone di magico mistero forse è più difficile. Bavcar ci riesce prima di tutto attingendo a ciò che è rimasto immagazzinato dentro di lui, (colori, odori, rumori, suoni), fotografando e avvolgendo le foto di una luce particolare, facendosi aiutare come lui stesso dice”dall’autofocus e dagli infrarossi perchè il buio è lo spazio della mia esistenza”. Ed ecco allora la foto di una strada circondata da alberi in Slovenia , dove la luce ne illumina un tratto rendendola misteriosa. O corpi di modelle nude, dove mani misteriose si allungano a tastare quei corpi, quasi, attraverso quel contatto, a realizzarne l’esistenza. Un occhio che non vede, ma capace di penetrare mondi distanti da noi anni luce. Bavcar è oggi un signore colto che parla cinque lingue,e va in giro con un grande”borsalino”in testa , ed una lunga sciarpa rossa al collo, appoggiandosi ad un bastone. Una figura emblematica, interessante, tutta da scoprire.
<< Io non tocco gli oggetti ma” li guardo da vicino”. Offro alla vostra vista la trascendenza delle immagini che esprimono lo sguardo spirituale del mio terzo occhio>>. Evgen Bavcar
Ed ora lasciamo parlare le sue foto
Il ricordo è come un’onda del mare, che arriva improvvisa e ti sommerge. Non puoi far altro che abbandonarti a lei, facendoti trasportare come quando si fa il”morto a galla”. E il tempo presente si frantuma in tanti piccoli o grandi momenti della nostra vita passata. Ritornano così immagini o rivivono episodi ,che sono stati il nostro vissuto nel bello e nel brutto. Si risvegliano allora emozioni che credevamo sopite per sempre e relegate in un angolo del nostro essere. Così succede a me, ogni volta che ritorno a Bassano del Grappa, a Nove dove sono nati i miei genitori e dov’è sepolto mio padre, a Marostica , dove si rappresenta la famosa partita a scacchi in costume. Rivedere la bella campagna veneta da cui partono le mie origini. Luoghi da me molto amati ,ai quali faccio ritorno sempre con una gioia infinita. Forse perchè il tornare è quel ricordo che affiora, e rivedere paesi che per me hanno una forte valenza sentimentale, è un ripercorrere un pò la strada della mia vita. Qui vivevano soprattutto i parenti di mia madre, più numerosi , oltre due cugini di mio padre che ancora adesso con piacere andiamo sempre a trovare. Ricordo la casa della mia bisnonna ,chiamata affettuosamente ”nonna Nana”, nel quartiere di San Vito, sulla strada che va da Bassano verso la Valsugana. Era una grande casa su quattro piani, con un’ enorme cucina al piano inferiore dove si trovava il focolare con il suo bel ”caliero” così chiamato , in veneto, il paiolo per la polenta, e un lavabo in travertino, al di sotto del quale delle tendine nascondevano delle pentole in rame. C’era una stanza, dove la zia Aida teneva una bella macchina da cucire che le serviva per il suo lavoro di sarta e dove, in un salottino vicino, riceveva le sue clienti. Le camere da letto ai piani superiori erano spaziose e con la mia bisnonna, vedova, vivevano le sue tre figlie, tutte sposate e sua sorella ”la zia Marina”. All’ultimo piano c’era il granaio dove si radunavano le provviste di cibo e dove ”nonna Nana”aveva ricavato degli spazi dove far dormire tutti i nipoti, anche quelli come me che arrivavano d’estate. Il bagno era all’esterno della cucina in un grande cortile, dove in un recinto la nonna teneva dei conigli. Mi piaceva molto quella casa. Mi divertiva la compagnia di quei cugini, ben più grandi di me, di quegli zii spiritosi, e dei miei nonni con i quali mi accompagnavo, aspettando più tardi l’arrivo di mia madre con mio fratello, più piccolo di me di due anni. Ricordo le passeggiate serali verso la stazione, sotto le stelle, le risate: sembravamo una carovana. E poi c’era Bassano. Il suo famoso” ponte degli alpini”, il fiume Brenta nel quale mio padre adorava bagnarsi, e la campagna veneta da girare in bicicletta in un traffico quasi inesistente. Il tempo passa, le persone assumono atteggiamenti diversi , le mode cambiano, tutto si trasforma, ma anche tutto rimane. Ed ecco allora” Piazza della Libertà”, un tempo” Piazza dei Signori” , con la grande chiesa oggi in restauro, il Museo civico, sorto nel 1828, il più antico del Veneto e le librerie famose come quella ”Roberti” ad esempio, fulcro se vogliamo della vita culturale di Bassano fatta anche di rappresentazioni teatrali, danza, opere liriche. Senza dimenticare la ceramica: vasi, piatti, centrotavola tutti disegnati e colorati d’azzurro e di giallo. La famosa grappa Nardini, da prendere rigorosamente prima di attraversare il ponte d’inverno, per affrontare meglio il freddo che scende dalla Valsugana. Possibile che mi prenda questo nodo alla gola nel riscoprire angoli fioriti e nel risentire nell’aria i profumi di un tempo? E’ questa terra che sento mia, pur essendo nata a Roma. Terra che mi parla con la sua storia, con i suoi panorami, con il Monte Grappa ricco di passato. Questa campagna veneta sa sempre accogliermi, sa rilassarmi e coccolarmi, ed è in fondo proprio qui, che io mi sento veramente bene.