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La  società   italiana  era  molto  variegata  come   in  realtà  tutte  le  società  del  mondo.  Al  vertice  della  piramide  troviamo  i  Savoia,  dove  probabilmente  contano  più  degli  uomini  le  donne. L’energica  regina  Margherita, Elena  la bellissima  slava .  I  grandi  capitani  d’industria  (  Volpi  di  Misurata,  Treccani,  Pirelli,  Agnelli )  fautori  della  guerra,  prendono  il  posto  degli  aristocratici  nei  loro  palazzi,  nei  loro  castelli,  nelle  loro  belle  ville  sui  laghi,  da  dove  dirigono  l’economia  del  nostro  bel  Paese,  che  la  guerra  anche  se  vinta  ha  gettato  nel  caos. Ci  sono   i  pescecani,   volgari  profittatori  delle  difficoltà  quotidiane,  arricchiti  e  insolenti, che  oscillano  tra  il  vivere  e  l’essere  e  c’è   la  borghesia,  monarchica,  conservatrice,  colta,  tradizionale  vivaio  dell’alta  burocrazia,  della  magistratura,  e  dell’apparato  universitario  che  sta  alla  finestra  e  aspetta.  I  reduci,  senza  lavoro,  umiliati,  emarginati,  scalpitano.  I  fascisti,  con  nomi  e  divise  pittoresche,  sembrano  tanti  grazie  alla  loro  violenza  verbale  e  alla  loro  natura  manesca. I  quaranta  milioni  d’italiani  sono  campanilisti,  hanno  il  senso  della  famiglia  dove  domina  la  figura  della  madre, e  della  religione  (  vista  attraverso  il  parroco).  In  questa  società  posto  per  le  femministe c’è  n’è  poco.  Le  donne,  o  sono  di  casa   o  sono  di  quelle.  Non  esiste  alternativa  a  scelta.  La  poetessa  Rossana  Zezzos  ,calata  a  Milano  in  abiti  maschili,  viene  condotta  a  San  Vittore,  trattenuta  un’intera  notte,  e  rilasciata  soltanto  in  presenza  del  fratello.  Ada  Negri  rifiuta  persino  di  vederla.  E’  sintomatico  che  Guido  da  Verona  parli  di  Landru  appena  ghigliottinato,  come  di  un  sedotto.  Le  donne  devono  tornare  tra  le  pareti  domestiche.  Siccome  non  obbediscono  prontamente  si  ricorre  all’intimidazione.  A  Firenze  e  a  Torino,  per  allontanare  dai  pubblici  uffici  le  impiegate,  i  reduci  li  occupano  con  forza.  Si  salvano  a  stento  le  vedove  con  figli  a  carico.  Nelle  fabbriche  si  proibisce  alle  donne  il  turno  di  notte,  si  accorcia  l’orario  di  lavoro,  si  riduce  lo  stipendio.  Poche  le  carriere  concesse:  maestre,  ostetriche, sarte,  telefoniste,  segretarie.  Oltre,  quelle  di  balie, attrici,  bidelle,  prostitute.  Sul  lavoro  devono  portare  austeri  grembiuli  neri,  non  truccarsi (  hai  capito  MarisaMole’s ? ) non  fumare,  non  soffrire  di  dolori  mestruali. Le  ragazze  madri  perdono  il  posto.   Nel  regime  maschilista  timidamente  la  stampa  femminile  continua  le  sue  pubblicazioni.  Resiste  la  pubblicità  dei  prodotti  di  bellezza,  anche  se  è  un  genere  di  lusso  non  alla  portata  di  tutte  le  donne.  La  Germania  sospende  l’invio  di  carbone  stabilito  dal  trattato  di  pace,  e  subito  si  fermano  i  treni,  ma  non  le  industrie.  Negli  uffici  dei  dirigenti  si  assumono  le  segretarie,  fanno  la  loro  comparsa  le  prime  macchine  calcolatrici,  si  cominciano  a  spedire  lettere  di  licenziamento  per  scarso  rendimento.  Si  aggravano  le  leggi  contro  le  frodi  alimentari:  il  latte  arriva  al  cliente  annacquato  fino  al  22  per  cento.  I  francobolli  salgono  a  cinquanta  centesimi,  ma  le  regie  poste  non  funzionano  nè  basta   a  migliorarle  il  francobollo  commemorativo  della  marcia  su  Roma.  La  pubblicità  invita  a  dimagrire,  finanzia  concorsi tipo  ”Bimbi  belli  d’Italia”.  Fra  i  giocattoli,  la  novità  più  sensazionale  sono  i  modelli  Fiat,  a  lire  dieci  e  novanta.  Il  maggior  disastro  nazionale  è  la  rottura  della  diga  del  Gleno,  nell’alto  bergamasco  che  contiene  un  bacino  artificiale.  La  massa  d’acqua  distrugge  tutti  i  villaggi  della  vallata,  poco  prima  di  Natale,  e  i  morti  non  si  contano.  Nei  tabarin  arriva  il  charleston  e  Isa  Bluette  lo  lancia  con  la  canzone  Lola.

Fonte  ”Parlami  d’amore  Mariù”

Vita , costume  e  storia  d’Italia  tra  gli  anni  venti  e  quaranta

A  cura  di  Roberto  Gervaso


Per riprendere il discorso posso dire che la mia casa, dove ho sempre vissuto, mi ha dato molto, sia in termini affettivi, sia per il piacere che mi dava il poter stare, d’estate, all’aria aperta in mezzo ai fiori, coltivati dai miei, all’ombra degli alberi di ulivo. All’epoca,parlo degli anni sessanta, confinavamo con un grande campo di grano dove proprio d’estate si giocava a nascondino dietro i covoni, mentre ricordo la calma che c’era intorno mentre leggevo appoggiata ad un albero”Pattini d’argento”. Era quando, dopo pranzo,si portava del cibo avanzato al caro Cheli, il cane dei contadini che curavano il campo.Era quando, insieme ai loro figli,si mungevano le mucche o si guardavano ridendo i maiali del recinto nella loro vicina fattoria, rotolare nella terra. Era una gioia poter conoscere la loro vita, l’ amore che mettevano in ogni gesto quotidiano di duro lavoro. Mai stanchi, mai una sola volta ho sentito qualcuno lamentarsi della vita faticosa a loro toccata. Era sempre e comunque un darsi da fare e si sa, il lavoro nobilita l’uomo. Ora purtroppo le cose sono cambiate e quel campo di grano non c’è più. Ci sono ville con grandi giardini, c’è più lusso e comodità, ma quella vita vera mi manca un pochino, almeno mi sarebbe piaciuta farla conoscere ad   Arianna che   avrebbe  sicuramente  gradito.      Mi auguro una cosa sola: che ancora oggi si possa sorridere con naturalezza  accontentandosi magari di una vita semplice, lontano un pochino da quei lussi tecnologici che inaridiscono e isolano talvolta le persone piuttosto che unirle.