Il giardino è quel luogo dove mi piace, se possibile, qualche volta passeggiare.
Ma non parlo del comune appezzamento di casa propria, ( per carità ottimo pure quello ) ma di quel giardino che per tradizione ingentilisce, con piante, fiori, colori e profumi, ville antiche, dimore importanti. Un luogo da vivere in un arco di tempo che va dal risveglio primaverile, alla maturità dell’estate, con qualche concessione al seducente declino dell’autunno. L’inverno si tende un po’ a dimenticarla come stagione, triste, con gli alberi spogli, le foglie morte ammucchiate in qualche angolo.
Eppure è in inverno, nel freddo e nel riposo, che il giardino può svelare il suo vero carattere, quando il gelo sottolinea il nitore di certe forme, disegna arabeschi sulle siepi, trasforma i prati in arazzi di erba e di brina.
Pensiamo anche per un attimo a tutte quelle statue che nei grandi giardini classici, erano un ornamento irrinunciabile, un mezzo efficace per segnalare la raffinatezza culturale del proprietario, per ostentare le ricchezze di famiglia, vantare origini illustri anche se improbabili. Pensiamole un attimo ricoperte di neve. Putti che sembrano riposare contenti sotto una soffice coltre bianca. Tritoni e figure mitologiche che sembrano indossare mantelli a coprire quasi le loro nudità. Uno scenario irreale, magico, particolare.
E’ dal XV secolo che si cominciano a progettare in Italia giardini che possono essere considerati veri e propri archetipi della tradizione giardiniera occidentale. Giardini assolutamente inediti, segni tangibili di quel rinnovamento economico e culturale che lascia dietro sé la lunga stagnazione dei secoli precedenti, decretando il tramonto degli orti medievali per promuovere l’avvento di decori e ornamenti concepiti per la gioia degli occhi. Nascono così gl’impeccabili giardini” all’italiana”, che nemmeno nei mesi più freddi riescono a perdere quel loro aspetto di capolavori di ordine ed armonia, nei quali all’epoca si rifletteva il razionalismo e l’orgoglioso desiderio dell’uomo rinascimentale di dominare la natura. Ogni elemento che ricordasse la mutevolezza delle stagioni, veniva accantonato , per dare origine così a giardini assolutamente artificiali, senza stagioni, dove ogni angolo era regolato da precise norme architettoniche che nulla lasciavano al caso. Il corredo vegetale era composto quasi esclusivamente da alberi e arbusti sempreverdi che, proprio per tale caratteristica, sembravano capaci di sconfiggere il tempo, dando al giardino un aspetto definitivo. Lecci, pini e cipressi piantati in file ordinate, oppure tassi, allori, bossi e mirti trattati come materiale da costruzione e trasformati in spalliere e in siepi squadrate, oppure potati secondo l’arte topiaria ( arte di potare alberi e arbusti dando loro una forma geometrica ) in sfere, coni, piramidi o in bizzarre figure di uomini o animali.
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giardinaggio.org
In questi giardini i fiori non erano previsti : troppo effimeri per trovar posto in spazi che volevano sembrare eterni e troppo vistosi per decorare aiuole improntate a una rigorosa sobrietà cromatica. E così venivano ospitati in un angolo nascosto – il giardino segreto – sistemato vicino a casa, ma nettamente separato dalle zone di rappresentanza, dove c’era posto invece per le catene e i giochi d’acqua, per le fontane zampillanti e per altri decori che restavano inalterati nel tempo, mantenendo il loro fascino anche nel cuore dell’inverno appunto.
Anche i giardini francesi del Seicento nacquero dal desiderio di creare spazi verdi dotati di una bellezza immutabile e al di là dei limiti e dei vincoli imposti dalla natura. Ad esempio nello sterminato parco di Versailles, si erano moltiplicate le statue, le fontane avevano raggiunto il culmine del fasto e in più erano comparsi viali d’acqua, cascate e immensi bacini di forma geometrica che riflettevano il cielo. Le ampie terrazze erano state ornate con ”parterre” ( aiuole ) che mantenevano inalterato il loro aspetto dall’estate all’inverno. I più raffinati erano i parterres de broderie, aiuole trattate come stoffe ricamate, prive di alberi, e ornate con sottili siepi di bosso nano che formavano elaborati disegni di arabeschi, tralci e volute messi in risalto da un fondo colorato ottenuto con sabbia, limatura di ferro o polvere di mattone, di carbone, di marmo o ardesia. Queste aiuole ordinate e precise erano state create per il piacere della vista e il loro schema si apprezzava ancor più guardandole dalle finestre dei piani superiori dei palazzi. Dalla Francia si diffusero in tutta Europa come ad esempio in Inghilterra, dove si usavano molto i ”giardini a nodi” – knot garden – costituiti da basse siepi di bosso, timo potate in modo da sembrare intrecciate tra loro. Uno dei più rinomati giardini di questo tipo è senz’altro quello di Barnsley House nel Gloucestershire, creato dalla grande paesaggista Rosemary Verey ( 1918 – 2001 ) molto amato da Carlo, principe di Galles, che dopo la sua prima visita nel 1986, vi ritornò ogni primavera ammaliato da tanta bellezza. A dire il vero soggiornerei qui anch’io con molto piacere.
Barnsley House kiwicollection.com
A Versailles comunque i viali continuavano a essere decorati con eleganti topiarie di piante sempreverdi e con imponenti pareti di tasso, ma in alcuni boschetti avevano fatto la loro comparsa anche alberi che in inverno perdevano le foglie: tigli, ippocastani, querce, faggi, olmi, pioppi piantati artificiosamente a scacchiera, ma che erano indubbiamente il primo sintomo dei nuovi canoni estetici che caratterizzeranno i parchi paesaggistici settecenteschi.
tripadvisor.it Reggia di Versailles – viale con topiaria
Anche un famoso filosofo inglese, Francesco Bacone, nel Seicento, nei suoi Essays aveva criticato l’artificiosità dei giardini classici e aveva avanzato idee decisamente innovative, mettendole in pratica nello spazio che circondava la sua casa di Londra. Qui aveva bandito la simmetria, la potatura degli arbusti secondo le regole della topiaria, e gli specchi d’acqua di forma geometrica, dando spazio a piante che crescevano in forma libera capaci di garantire un giardino bello in tutte le stagioni. Per i mesi più freddi aveva scelto e consigliava specie sempreverdi come agrifoglio, alloro, ginepro, tasso, lavanda e rosmarino, e ancora crochi, giacinti, e tulipani, precoci in fiore alla fine dell’inverno. Per apprezzare in pieno maggio e giugno, suggeriva rose, garofani, peonie, gigli e caprifogli. Mentre per estate e autunno proponeva di ricorrere soprattutto alla frutta: prima ciliegie, fragole, ribes e lamponi, poi prugne, pesche, uva , pere e mele.
dizionaripiu.zanichelli.it Bacone
Fonte Il giardino in inverno – conoscere, progettare e scegliere le piante
Maria Brambilla
Quando nel 2012 facemmo il nostro viaggio ”on the road” in Bretagna e Normandia, non si potè fare a meno di visitare questo luogo tanto fascinoso quanto ricco di storia. E fu davvero straordinario arrivare sotto un cielo nuvoloso, e vederlo spuntare all’improvviso, in territorio normanno, per un caso fortuito, di deviazione di un fiume, quasi dal nulla. Maestoso, imponente si presentò ai nostri occhi misteriosamente, come sorgendo dall’acqua, mentre intorno in un silenzio quasi spettrale si evidenziava uno spettacolo particolare, quello di un mare, piatto, immobile immerso in una nebbia sottile, che solo qualche gabbiano poteva penetrare . Eppure ci fu un certo Henry Beyle, montanaro innamorato di città di pianura, francese esterofilo, soldato della Rivoluzione di conclamati gusti aristocratici, anticonformista nato, nonchè scrittore famoso sotto lo pseudonimo di Stendhal, che non rimase affatto colpito dalla bellezza di questo luogo, anzi. Di passaggio ad Avranches, la cittadina che fronteggia, sulla costa normanna, la celebre abbazia fortificata, liquidò il monumento con un’unica, demolitrice battuta : ”Mi è sembrato così piccolo, così meschino, che ho rinunciato all’idea di andarci”. Ma è vero che la lapidaria condanna veniva da un uomo che confessava candidamente : ”…i miei giudizi variano come il mio umore…non sono altro che impressioni…” Cominciamo ora col dire dove Mont Saint Michel si trova. Nel nord della Francia, di fronte alla Manica, la terra si apre a formare due grandi penisole, una completamente orientata a settentrione, il Cotentin, l’altra, protesa verso l’aperto oceano ad occidente: la Bretagna. Una serie di isole, le Isole del Canale, geograficamente francesi ma politicamente britanniche, occupano il vasto golfo tra le due lingue di terra. Proprio all’estremità interna di codesto golfo, là dove le coste delle due penisole s’incontrano, si apre un’ampia baia a V, dove terra e mare si uniscono per creare un terreno ”anfibio”. Qui, infatti la marea, ritirandosi, arretra di quasi dodici chilometri rispetto alla linea raggiunta in fase montante: e lascia scoperto un immenso banco sabbioso. E’ una zona strana, fantastica, dalla vita effimera, o meglio alternata. In mezzo alla baia sorgono due isolotti granitici: il Mont-Saint-Michel, dove una piccolissima cittadina cinta da mura medievali è dominata da un imponente complesso abbaziale, e la Tombelaine, ancora più piccolo e quasi disabitato. Gli isolotti, raggiungibili a marea bassa, risultano completamente circondati dalle acque quando queste salgono, due volte al giorno. Ma a Mont – Saint – Michel storia e leggenda spesso si mescolano. Così accade per quanto riguarda la posizione insulare del monastero. Nell’VIII secolo, infatti, dove ora si estende la vasta baia a V , verdeggiava una lussureggiante foresta: quella di Scissy. Dai suoi alberi emergevano due monticelli rocciosi: il piccolo faglione di Tombelaine e il grosso roccione di Mont – Tombe. Quando, nel 708 l’Arcangelo Michele, apparve in sogno all’abate Oberto e gli disse di fondare un monastero in suo onore, egli si mise subito all’opera, mandando i suoi delegati a fare incetta di reliquie ed abbellire il monastero , nell’altro grande convento di San Michele esistente nelle terre cristiane, quello di Monte Sant’Angelo in Puglia. Al ritorno degli inviati, il santuario in costruzione troneggiava non più su una verde foresta ma sui flutti. Per volontà divina dissero i monaci. Per un bradisisma, affermano gli scienziati. Nel corso del XV secolo, durante la guerra dei Cent’Anni, il conflitto che oppose inglesi e francesi dal 1337 al 1453, Mont- Saint- Michel fu una roccaforte francese incuneata nei territori inglesi. Per togliersi questa spina dal fianco gli inglesi inviarono contro il monastero una cospicua flotta, le cui navi rinserrarono l’abbazia, destinata certamente alla presa, se un improvviso e violento fortunale ( opera dell’arcangelo Michele, dissero i francesi ) non avesse scompaginato le file inglesi, sbattendo le navi contro gli scogli. L’episodio trasformò un repentino assalto in uno snervante e interminabile blocco, durato ben dodici anni .L’assedio si concluse solo quando le truppe francesi riuscirono ad infrangere il cerchio nemico, liberando ”la novella Troia”. Fu per le fortificazioni dell’isola, il più lungo, severo collaudo. Certamente la sua posizione ha contribuito a rendere inespugnabile l’abbazia. Oggi una diga, eretta nel 1877, consente di percorrere all’asciutto il breve tratto di mare che separa Mont- Saint- Michel dalla terraferma, ma in passato ci si poteva arrivare solo in barca, lottando contro la potente spinta delle maree. Con la bassa marea era anche possibile camminare sul fondo marino asciutto,col rischio però di sprofondare nelle sabbie mobili o di farsi sommergere dalle acque montanti . Ciò nonostante parecchi tentarono la sorte. Nella città di Bayeux si conserva un arazzo dell’XI secolo sul quale è raffigurata, come su un lungo fumetto, la conquista normanna dell’Inghilterra da parte di Guglielmo il Conquistatore. Una delle scene dell’arazzo mostra i Normanni intenti a combattere, durante un’azione militare in Bretagna, nelle sabbie della foce fluviale davanti a Mont- Saint- Michel. Il testo latino dice: ”Et hic transierunt flumen Cosnonis. Hic Harold dux trahebat eos de arena” ( E qui attraversarono il fiume Cuesnon. Qui il duca Harold li tirò fuori dalla sabbia. ). Il santuario è comunque, appena vi si arriva, inerpicandosi su per una stradina , una volta percorsa dai pellegrini e oggi piena zeppa di negozietti di souvenir e ristorantini, qualcosa che lascia senza fiato . Io non dimenticherò mai, una volta arrivati in cima, la sua visione, grandiosa, quella di un luogo intensamente spirituale tutto da scoprire.
Fonte : Le 100 meraviglie – Il trionfo della Fede
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