Ho incontrato
per caso,
un giorno,
”Poesia”.
Con semplicità
e umiltà
si è avvicinata a me,
senza orpelli e fronzoli,
muta,
e a lei allora,
che così ascoltava,
mi son rivolta.
Nuda,
spoglia d’ogni pudore,
ho cominciato
a offrirle
i miei pensieri,
anche i più sciocchi,
i più
puerili.
Ma mai
ho ricevuto
rimproveri,
perchè
”Poesia”
è discreta,
ascolta in silenzio
tutto quello
che dico
a voce alta
e poi scrivo.
Così
di colpo,
ho capito ,
dopo tanto tempo
che la cercavo,
di averla,
finalmente
trovata:
è lei
quel ”tesoro” d’amica
che mi mancava.
Isabella Scotti novembre 2014
testo : copyright legge 22 aprile 1941 n° 633
Questa la mia umile voce, e ora lascio il posto alla sua , a quella di un grande senza tempo…
Accadde in quell’età…La poesia
venne a cercarmi. Non so da dove
sia uscita, da inverno o fiume.
Non so come nè quando,
no, non erano voci, non erano
parole nè silenzio,
ma da una strada mi chiamava,
dai rami della notte,
bruscamente fra gli altri,
tra violente fiamme
o ritornando solo,
era lì senza volto,
e mi toccava.
Non sapevo che dire, la mia bocca
non sapeva nominare,
i miei occhi erano ciechi,
e qualcosa batteva nel mio cuore,
febbre o ali perdute,
e mi feci da solo,
decifrando
quella bruciatura,
e scrissi la prima riga incerta,
vaga, senza corpo, pura
sciocchezza,
pura saggezza,
di chi non sa nulla,
e vidi all’improvviso
il cielo
sgranato
e aperto,
pianeti,
piantagioni palpitanti,
ombra ferita,
crivellata da frecce, fuoco e fiori,
la notte travolgente,
l’universo.
Ed io,
minimo essere,
ebbro del grande vuoto
costellato,
a somiglianza,
a immagine del mistero,
mi sentii parte pura
dell’abisso,
ruotai con le stelle,
il mio cuore si sparpagliò nel vento.
Pablo Neruda
Ogni volta che nei secoli passati i pellegrini cominciavano i loro lunghissimi viaggi per raggiungere i sacri luoghi, dovevano mettere in conto la possibilità di contrarre malattie oltre ovviamente l’imbattersi in pericoli talvolta imprevedibili. Spesso c’era la possibilità che non si potessero raggiungere le tanto mete agognate ( Roma, Santiago o la lontanissima Gerusalemme) per coloro che sfortunati dovevano soccombere prima. Le ”Cronache ” medievali riportano che nel solo ospedale di Firenze, durante il periodo del Giubileo, venivano registrati fino a venti morti al giorno tra i ”forestieri” che vi passavano diretti a Roma. In quel periodo animali feroci e briganti transitavano ancor più forse dei pellegrini e questi ultimi, patendo la fame e la sete per mancanza d’acqua potabile, erano destinati a soccombere. In più certamente la paura dell’ignoto e l’incertezza di non potere ritornare rendeva il viaggio ancora più difficile. Tanti facevano testamento prima di partire per lasciare ai propri cari i loro averi se pur pochi. La cosa peggiore però che poteva capitare ai pellegrini, era all’improvviso ammalarsi. La malattia era imprevedibile quanto minacciosa e implacabile. Si poteva avere di fronte un nemico terribile, in grado di provocare ferite, menomazioni, infezioni tali da portare alla morte. Ecco quindi che proprio per offrire conforto al pellegrino, lungo i percorsi più battuti, si potevano incontrare ospizi che avevano la funzione di alloggiare gli ammalati dando loro oltre che un aiuto anche informazioni mediche che rendessero sicuro il viaggio. Secondo alcune fonti antiche, pare che in alcuni luoghi ci fosse un buon livello di professionalità. Ad Altopascio per esempio, venivano prescritte diete appropriate sia per gli ammalati che per i sani e consigliate regole alimentari diversificate per l’estate e per l’inverno. Si facevano turni di guardia agli infermi e si somministravano medicinali e pozioni per l’insonnia, febbre o malattie infettive. Spesso i pellegrini avevano per i lunghi percorsi fatti, piaghe ai piedi, lesioni più o meno gravi , ulcerazioni, e venivano allora curati con erbe di vario tipo. Una delle ricette più efficaci la possiamo trovare nel prezioso codice membranaceo ” De sanitatis custodia” redatto dal medico Jacopo Piemontese. Per chi aveva i piedi congelati prescriveva un unguento a base di ” trementina, resina bianca, olio e mastice” che doveva essere versato ancora caldo su un panno molle e applicato su gambe e piedi. Il Grataroli, un affermato medico del XVI secolo, aveva redatto un testo pieno di utili consigli e ricette per curare numerose malattie comuni: il suo De Regimine viatoribus et peregrinatoribus, dato alle stampe nel 1561, va considerato la prima pubblicazione a cui fare riferimento per l’igiene personale e per una corretta alimentazione da tenere durante il viaggio, sia per prevenire che per affrontare situazioni particolari come sopportare ad esempio gli stimoli della fame o della sete, o come far fronte per superare intossicazioni dovute ad avvelenamenti di cibo o come combattere l’insorgenza della febbre. Il Grataroli consigliava per i piedi ulcerati bagni con cenere e camomilla o applicazioni con sterco di gallina e per debellare le ragadi unguenti a base di cera vergine,miele e olio. Per la cura del sonno, che per il pellegrino doveva essere profondo e ristoratore, il medico offriva efficaci consigli sul modo di addormentarsi e talvolta per coloro che non riuscivano lo stesso a prender sonno, un buon bicchiere di vino rosso prima di coricarsi. Per debellare i pidocchi di cui i giacigli negli ostelli erano pieni, consigliava decotti di papavero o sciroppi di ninfee. Per i più fortunati che facevano il viaggio a cavallo, altri tipi di fastidi erano comunque in agguato dovuti ad esempio alle continue sollecitazioni della sella su di una parte piuttosto ”delicata” del cavaliere. E allora qui era d’uopo premunirsi con pomate che all’occorrenza venivano spalmate sulle parti doloranti da volenterosi locandieri. Sempre il Grataroli consigliava, d’inverno, attraversando valichi alpini, di ungere preventivamente le palpebre con particolari misture per proteggere gli occhi dall’abbagliante biancore della neve o proteggere gli stessi con lenti da legarsi attorno alla testa. Fondamentale durante il lungo cammino per evitare svenimenti era portare con sè un pò di menta romana il pulegium che offriva le stesse prestazioni del cosiddetto ”pomo d’ambra”, che sprigionava un aroma utilissimo appunto nel caso di svenimento ( un pò come l’aceto che usiamo oggi per la stessa cosa). Per proteggere il viso dalle bruciature del sole e del vento, una crema semplice ed economica si otteneva macerando dei lupini nell’acqua aggiungendo l’omphacium oleum( probabilmente un estratto ottenuto da olive oppure da uve acerbe) o la più costosa medulla cervina ( midollo di cervo). Per le labbra si poteva applicare uno strato di grasso d’oca o di midollo di bue ottimi come crema protettiva. Tra i rimedi più antichi utilizzati dai pellegrini più ferventi, che non credevano molto alla scienza medica, c’era l’invocare prima di ogni partenza i ”dottori celesti” al fine di scongiurare i pericoli e i malanni più gravi : la malattia era vista infatti come personificazione della tentazione demoniaca e del peccato che s’impadroniva del corpo mortale del pellegrino e necessitava quindi della protezione di efficaci mediatori divini. Agli angeli custodi e agli arcangeli Michele, Gabriele, e Raffaele si affiancavano i santi protettori del cammino – i fratelli medici e martiri Cosma e Damiano, San Cristoforo, San Mauro, San Rocco, San Giuliano – ai quali erano dedicati numerosissimi santuari, chiese e cappelle lungo i percorsi battuti dai pellegrini. San Rocco era il più invocato a partire dal XIV secolo, e la sua infallibilità taumaturgica sembra comprovata dalla miracolosa guarigione dalla peste di un cardinale e di un papa. Le guarigioni potevano essere ottenute recitando una preghiera e segnando ripetutamente sul corpo del malato il simbolo della croce. Qualora tutto ciò non bastasse, un rimedio efficace era costituito dal contatto con le sante reliquie. Queste, incontrate e venerate nelle varie tappe del cammino, costituivano una ”vera e propria terapia”, nell’insorgenza di malattie. A Roma si potevano trovare grani e carboni d’incenso che dopo essere stati a contatto con le spoglie di San Pietro e San Paolo acquistavano virtù miracolose, oppure gli ”Agnus Dei”, medaglioni di cera mescolata alle ossa dei martiri, che venivano distribuiti gratuitamente ai fedeli al fine di aiutare ad esempio il parto, scacciare fulmini, proteggere dal fuoco o dalla morte improvvisa. Se poi nessuno di tali rimedi si dimostrava efficace, il pellegrino che moriva prima di raggiungere Roma, aveva ugualmente il conforto di ottenere il perdono dei peccati promesso dal Giubileo.
Fonte : articolo di Federica Annibaldi da ” Luoghi dell’infinito” mensile di Avvenire
…E allora ancora un pò intontita dal raffreddore, ma comunque in grado di potere un pò stare con voi, ringrazio per tutti i vari consigli che sicuramente mi hanno fatto bene se sto già qui.
A breve spiegherò il mio grazie a Primula fatto nel precedente post.
Un caro saluto a tutti . Isabella