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Befana,

befanella

sei  

per   caso

ancora

zitella?

O

il   vecchio   2020 ,

per   noi

catastrofico ,

ha   portato

invece

a   te

momenti

commoventi?

Amore

o   tormenti   ?

Forse,

vista

l’  età

non   ti   sei

posta

il   problema.

Forse   preferisci

star   sola,

ascoltar

l’  allodola

e   cucinarti

una   bella   braciola.

Tanto   fuori

nevica,

girar   poco

ti   conviene.

Giusto

il   tempo

per   lasciare

ai   bimbi   buoni ,

tanti   colorati

bellissimi   doni

 

Isabella   Scotti   gennaio   2021

testo  :   copyright   legge   22   aprile   1941   n°   633

 

Amici   carissimi   passate   domani   una   bella   Epifania .    Ricordate   di   aggiungere   i   Re   Magi   al   vostro

presepe.     I   miei   sono   in   viaggio   da   qualche   giorno   ormai.   Arriveranno   stanotte   a   mezzanotte.

 

In   questo   presepe   i   Re   Magi   sono   già   arrivati…per   forza   si   tratta   di   un   presepe

dell’   Epifania   2019

 

L’  albero   speciale   che   dedico   a   tutti   gli   amici

 

 

Il   mio   centrotavola   fatto   da   me.

 


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artgeist.it

Brilla   la   luna   tra   il   vento   d’  autunno,

nel   cielo   risplendendo   come   pena   lungamente   sofferta.

Ma  non   sarà   il   poeta   a   rivelare

le   ragioni   segrete,   il   segno   indecifrabile

di   un   cielo   liquido   di   ardente   fuoco

che  annegherebbe   le   anime,

se   sapessero   il   loro   destino   sulla   terra.

La   luna   quasi   mano

divide   ingiustamente,   come   bellezza   usa,

i   suoi   doni   sul   mondo.

Guardo   pallidi   volti.

Guardo   fattezze   amate.

Non   sarò   io   a   baciare   il   dolore   che   nei   volti   si   mostra.

Solo   la   luna   può   chiudere,   baciando,

quelle   palpebre   dolci   che   la   vita   ha   stancate.

Quelle   labbra   lucenti,   labbra   di   luna   pallida,

labbra   sorelle   per   i   tristi   uomini,

sono   un   segno   d’  amore   nella   vita   deserta,

sono   il   concavo   spazio   dove   l’  uomo   respira

e   vola   sulla   terra   ciecamente   girando.

Il   segno   dell’  amore   nei   volti   amati   a   volte

è   solo   la   bianchezza   brillante,

la   dischiusa   bianchezza   di   quei   denti   che   ridono.

Allora   si   che   in   alto   la   luna   si   fa   pallida,

si   estinguono   le   stelle

e   c’è   un’  eco   remota,   uno   splendore   ad   oriente,

vago   suono   di   soli   che   anelano   ad   irrompere.

Quale   gioia,   che   giubilo   quando   il  riso   rifulge !

Quando   un   corpo   adorato,

eretto   nel   suo   nudo,   brilla   come   la   pietra,

come   la   dura   pietra   infiammata   dai   baci.

Guarda   la   bocca.   In   alto   diurno   un   lampeggiare

attraversa   un   bel   volto,   un   cielo   dove   gli   occhi

non   sono   ombra,   ciglia,   inganni   rumorosi,

ma   la   brezza   di   un’  aria   che   percorre   il   mio   corpo

come   un’  eco   di   giunchi   che   cantano   levati

contro   le   acque   vive,   fatte   azzurre   dai   baci.

Il   puro   cuore   amato,   la   verità,   la   vita,

la   certezza   di   un   amore   irraggiante,

la   sua   luce   sui   fiumi,   il   suo   nudo   stillante,

tutto   vive,   resiste   ,   sopravvive   ed   ascende

come   brace   lucente   di   desiderio   ai   cieli.

Ormai   è   soltanto   il   nudo.   Solo   il   riso   nei   denti.

La   luce,   la   sua   gemma   folgorante :   le   labbra.

E’   l’  acqua   che   piedi   adorati   bacia,

come   occulto   mistero   bacia   la   notte   vinta.

Ah   meraviglia   lucida   di   stringer   nelle   braccia

un   odoroso   nudo,   circondato   da   boschi !

Ah   mondo   solitario   che   sotto   i   piedi   gira,

ciecamente   cercando la   sua   sorte   di   baci !

Io   so   chi   ama   e   vive,   chi   muore   e   gira   e   vola.

So   che   lune   si   estinguono,   nascono,   vivon,   piangono.

So   che   due   corpi   amano,   due   anime   si   fondono.

trad.   di    M.   Vazquez    Lopez

Vicente   Aleixandre  

poeta spagnolo (Siviglia 1898-Madrid 1984). Come gli altri scrittori appartenenti alla “Generazione del ’27”, fu sensibile alle correnti estetiche di avanguardia e per molti aspetti la sua poesia può definirsi surrealista, sebbene l’entroterra culturale su cui si modella a sua esperienza sia la grande tradizione poetica di lingua spagnola, e in particolare Góngora e Rubén Darío. Nella sua ricerca Aleixandre tenta di trascendere il piano della coscienza per far emergere le possibilità espressive dell’inconscio, che si configura in una visione del mondo quasi panteistica, in cui la metafora accosta, attraverso immagini e contrasti, aspetti diversi della natura e dell’uomo: spesso le sue metafore alternano visioni fortemente pessimistiche ad analisi più tendenti alla fiducia nel progresso. Uno dei temi ricorrenti della sua poesia è il rifiuto ostile della città e la ricerca di un paradiso che è proiezione dell’infanzia. Fra le sue opere principali sono da ricordare: Ámbito (1928), Espadas como labios (1932; Spade come labbra), Pasión de la tierra (1935; Passione della terra), La destrucción o el amor (1935; La distruzione e l’amore), Sombra del Paraíso (1944; Ombra del Paradiso), Nacimiento último (1953), Historia del corazón (1954; Storia del cuore), En un vasto dominio (1962; In un vasto dominio), Poemas de la consumación (1968; Poemi della consunzione), Sonido de la guerra (1972), Poesía superrealista (1971), Diálogos del conocimiento (1974 e 1976; Dialoghi del conoscere), opera nella quale la poesia approda nell’ambito della riflessione filosofica intorno al tema della morte. Nel 1977 è stato insignito del premio Nobel per la letteratura. Pubblicazioni postume: Epistolario (1986), a cura di J. L. Cano e Nuevos poemas varios (1987; Nuove poesie).

da   Sapere.it


Corta  e  aderente  tunichetta,  calzoni  attillatissimi,  entrambi  in  una  stoffa  a  fondo  colorato  su  cui  si  intrecciano  fittamente,  fino  a  nasconderli,  rombi  e  losanghe  di  colori  diversi ;  mezza  maschera  sul  volto,  cappello  a  mezzaluna  nero:  ecco  l’elegantissimo  Arlecchino.  Ma  il  nostro  non  sempre  fu  abbigliato  in  questo  modo.  Arlecchino   non  fa  parte  dei  quattro  tipi  fondamentali  della  Commedia  dell’Arte,  essendo  piuttosto  una  delle  tante  varietà  del  quarto,  del  secondo  Zanni ( personaggio  tra  i  più  antichi  della  Commedia  dell’Arte ),  ed  infatti  al  suo  apparire,  nella  seconda  metà  del  1500,  vestì  come  questi,  indossando  calzoni  e  tunica  bianchi,  variamente  bordati.  Quando  verso  la  fine  del  1600  le  compagnie  dei  comici  divennero  molto  numerose,  i  rispettivi  Zanni  per  distinguersi  da  quelli  delle  compagnie  rivali  o  da  quelli  che  li  avevano  immediatamente  preceduti  in  una  piazza,  assunsero  un  nome  specifico  d’arte  che  richiamava  un  particolare  del  vestito  o  della  maschera.  Lo   Zanni  che  divenne  Arlecchino  si  distinse  per  aver  fatto  ricucire  qua  e  là  sulla  tunica  bianca  e  sui  calzoni  toppe  geometriche  di  vario  colore  che,  più  tardi  furono  ricamate  o  tessute  in  modo  più  regolare,  non  più  su  fondo  bianco,  dando  luogo  ad  una  stoffa  vivacissima  che  rendeva  il  costume  oltremodo  gioioso  ed  inconfondibile.  Arlecchino   è   Arlequin  italianizzato,  nome  che  pare  adottasse  a  Parigi  l’attore  Giovanni  da  Bergamo,  più  precisamente  nell’Hotel  Bourgogne  che,  per  i  successi  ivi  ottenuti  dalle  compagnie  italiane  che  vi  si  erano  susseguite  si  chiamò  ”  Comèdie  Italienne”.

Arlequin,  con  le  sue  lunghe  dissertazioni  senza  capo  nè  coda,  i  vivaci  monologhi,  la  freschezza  e  naturalezza  del  semplice  linguaggio,  l’espressione  sgomenta  per  non  riuscire  a  portare  a  termine  un  discorso  troppo  difficile,  strappò  applausi  alle  platee  di  Spagna,  d’Austria,  di  Olanda,  d’Inghilterra.  La  Francia,  dov’era  nato  gli  decretò  una  simpatia  incondizionata:  re  e  regine  se  lo  contesero  pur  di  averlo  alla  loro  mensa,  da  cui  ritornava  sempre  carico  di  doni  preziosi,  piatti  e  posate  d’oro,  mentre  il  clero  lo  criticava  aspramente  per  i  suoi  lazzi  e  frizzi  audaci  e  ne  pretendeva  l’espulsione.  Caduto  con  la  Rivoluzione  Francese  l’Hotel  de  Bourgogne,  roccaforte  dei  successi  di  Arlequin,  questi  passò  a  divertire  il  pubblico  italiano.  Nei  nostri  teatri  mandò  in  visibilio  grandi  e  piccini,  ma  soprattutto  gli  spettatori  del  loggione,  popolarmente  detto  ”lubbione”,  che  ridevano  a  crepapelle  di  fronte  alle  acrobazie,  alle  ”scalate”  e  relative  ”cascate”,  al  rialzarsi  improvviso  e  scattante,  ai  balzelli,  alle  mossette,  alle  riverenze  compitissime  della  prestigiosa  maschera.  Arlecchino  molto  conosciuto  in  Emilia  e  Lombardia  è  conteso  come  maschera  tra  Venezia  e  Bergamo;  è  certo  che  l’attore  che  per  primo  gli  diede  vita  è  bergamasco  ma  oggi  Arlecchino  può  dirsi    una  maschera  cosmopolita.  Oltre  che  in  molte  commedie  goldoniane  Arlecchino  è  presente  anche  in  opere  musicali  come  ad  esempio  in  ”  Maschere”  di  Pietro  Mascagni  e   i  ”Pagliacci”  di  Ruggero  Leoncavallo.

fonte :  Lavoriamo insieme-  Margherita  Filippi