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La Regina Elisabetta II si è spenta qui, nel luogo che amava più di ogni altro. L’addio a Balmoral è stato l’addio al luogo della normalità familiare di Elisabetta, delle vacanze estive con il marito, i figli e poi i nipoti. Luogo in cui – come ha raccontato alla Bbc l’ex premier David Cameron, sul filo di una testimonianza diretta – poteva capitare di vedere il principe consorte Filippo preparare un barbecue o la regina medesima servire l’ospite di turno a tavola e sparecchiare in un’atmosfera informale.   Fu nel 1852 che la regina Vittoria e il marito Alberto comperarono la tenuta scozzese di Balmoral, che divenne ogni anno in autunno per almeno due settimane il luogo di vacanza della famiglia reale. Fu il principe in persona a suggerire il progetto del castello e a seguire fino in fondo i lavori. ” Tutto è una creazione del mio diletto Alberto ”, amava dire la regina che proprio per questo fu per sempre a questo luogo particolarmente affezionata. Il podere sulle rive del fiume Dee viene citato per la prima volta nel 1484 con il nome di Bouchmorale.

latinacittaaperta.info La regina Vittoria e suo marito Alberto

Alla scelta del luogo, a quanto pare concorse la considerazione secondo la quale il clima di Balmoral fa bene alla salute. Questo fu certamente uno dei motivi che indussero la coppia regale a comperare la tenuta scozzese, dopo aver sentito, come era allora una tipica consuetudine inglese, anche il medico , che consigliava appunto di sfruttare appieno l’ aria buona del luogo.

Nel 1848 la famiglia reale prese in affitto il podere e quattro anni più tardi lo acquistò. Da questo momento le Highlands , prima considerate straniere dagli abitanti delle pianure, divennero luogo privilegiato di vacanza. La palazzina di caccia esistente venne sostituita dall’ attuale costruzione, progettata dall’ architetto William Smith nel 1853. Lo stile neobaronale scozzese con torrette e merli, divenne una moda dopo il completamento di Balmoral Castle. Ma oltre alla predilizione per la campagna scozzese, altre ragioni spinsero la famiglia reale all’ acquisto : e cioè la necessità di mostrare che Vittoria non era soltanto regina d’ Inghilterra, ma anche di Scozia, e che gli scozzesi del Regno Unito non venivano trascurati o trattati, com’era successo un secolo prima, da popolo conquistato.

Alla fine dell’ Ottocento la regina Vittoria pose la prima pietra della chiesetta frequentata dalla famiglia reale durante i loro soggiorni a Balmoral. All’ inizio i suoi membri si fermavano in Scozia per un mese e mezzo circa, ma dopo la morte di Alberto, nel 1861, Vittoria prese l’ abitudine di trascorrere nella tenuta diverse settimane per tre volte all’ anno . i successivi sovrani, fino ad Elisabetta II, passavano qui di regola due mesi all’ anno. La dimora era particolarmente cara alla regina madre, che andava volentieri a pescare nel fiume Dee.

Il ” diletto Alberto ” fu il primo membro della casa reale ad appassionarsi alla Scozia, fino a quel momento considerata una terra reietta, infida, e semibarbara. Si deve a lui ad esempio l’ abitudine d’ indossare a Balmorale Castle il tradizionale costume scozzese , con il kilt dai colori della casa reale degli Stuart ( moda seguita con particolare convinzione dal figlio di Elisabetta II principe oggi re, Carlo III ). C’ era in questo apprezzamento , molto romanticismo, e in parte anche l’ influenza dei romanzi di Sir Walter Scott, ma senza ombra di dubbio favorì un concreto avvicinamento tra i due regni della Gran Bretagna.

All’ interno della tenuta reale si trova il monte Lochnagar, alto 1000 metri che dà il nome alla famosa Royal Lochnagar Distillery dove si produce un ottimo whisky . La distilleria, fondata da John Begg , può fregiarsi del titolo di royal da quando la Regina Vittoria la scelse come fornitrice di corte.

schottlandberater.de Royal Lochnagar Distillery

Nel campo di golf presso il castello si ergono le statue della regina Vittoria e del consorte ( 1868 ) . Quest’ ultimo è raffigurato in veste di cacciatore, con il cane e il tradizionale gonnellino scozzese: secondo le dichiarazioni della regina, questa era l’immagine del marito più vicina alla realtà.

Interessanti , all’ interno del castello, una sala con dipinti e oggetti artigianali nonchè delle carrozze d’ epoca.

Il grande parco offre ampie vedute del paesaggio scozzese, mentre il roseto, molto ben curato, fu piantato dalla regina Maria, moglie di Giorgio V e nonna di Elisabetta II.

La strada panoramica 939 di montagna, porta da Balmoral a Tomintoul , il più elevato villaggio scozzese.

PA Images

Qui si vede dagli occhi di Elisabetta la gioia di poter stare a Balmoral. Per lei era stare veramente a casa, lontano dagli impegni di corte, vivere a contatto con la natura e con il suo amato Filippo e i figli.

Fonte : Castelli d ‘ Europa – Misteri, storie e leggende scritte nella pietra De Agostini

Amici miei, siamo ormai fuori dal covid. Spero , nonostante il mio tempo a disposizione per scrivere , sia molto diminuito , di poter tornare qui più spesso. Per ora vi stringo tutti in un forte abbraccio. Pensatemi sempre come io vi penso

La vostra Isabella

PS Questo articolo volevo pubblicarlo dopo la morte di Elisabetta , ma per cento motivi solo ora sono riuscita a terminare la bozza. A presto


Piccola,  snella,  lineamenti  marcati  e  irregolari,  brutti  o  belli  a  seconda  delle  espressioni  e  della  luce,  grandi  occhi  scuri,  capelli  ricciuti,  frangetta  sulla  fronte  alta,  voce  morbida  e  bassa,  molto  duttile,  mani  bellissime,  estremamente  autoritaria  in  scena,  vera  primadonna- capocomico,  padrona  dei  personaggi  drammatici,  sempre  in  cerca  di  un  Pigmalione,  Eleonora  Duse  nasce  a  Vigevano  nel  1858  come  figlia  d’arte  da  una  di  quelle  famiglie  girovaghe,  che  fanno  del  palcoscenico  la  loro  eterna  dimora.  E’  così  che  sin  da  bambina  prende  confidenza  con  ciò  che  rappresenterà  per  tutta  la  sua  vita,  la  cosa  più  importante:  il  teatro.  Nel  1862,  a  4  anni,  interpreta  Cosetta   in  una  versione  teatrale  de  ”I  miserabili”.   E  nel  1878  alcune sue  rappresentazioni  come  la  ”Teresa  Raquin  ”  di  Emile  Zola  la  faranno  conoscere  e  apprezzare  da  pubblico  e  critica.  Non  esistendo  negli  anni  ottanta  una  drammaturgia  italiana  la  Duse  farà  scelte  ben  precise  di  repertorio  che  caratterizzeranno  il  suo  percorso  artistico  portandola  ad  una  notorietà  impensata.  I  testi  francesi  di Victorien  Sardou  e  Alessandro  Dumas figlio  sono  i  suoi  prediletti. E  il  suo  teatro  sarà  di  denuncia  di  quei  valori  borghesi  fatti  di  ipocrisia  e  apparenze.

Dopo  il  matrimonio  con  Teobaldo  Checchi,  attore  come  lei,  la  Duse  si  accompagnerà  al  più  noto  Flavio  Andò,  primo  dei  suoi  spettacolari  amori.  Seguirà  il  pittore- scrittore  esotico   Alessandro  Wolkof- Murozof,  poi  Adolfo  De  Bosis,  Marco  Praga,  quindi  il  tranquillo  e  serio  Arrigo  Boito,  capo  riconosciuto  della  scapigliatura  lombarda,  che  riesce  a  placare  la  farraginosa, assetata  anima  dell’attrice.

Infine,  il  fatale  incontro  con  Gabriele  D’Annunzio.

Saranno  i  coniugi  Scarfoglio-  Serao  a  farli  incontrare.

La  Duse,  maggiore  di  tre  anni,  è  in  quel  momento,  la  ”  divina”  del  teatro  nazionale,  lui  è  il  poeta  per  antonomasia,  arrivatissimo,  viziatissimo,  stravagante  (  non  è  forse  lui  a  galoppare  nudo  per  la  campagna  romana  su  di  un  cavallo  bianco? )

Una  grande  passione  ,  la  loro,  teatral- letteraria- mondana  che  durerà  otto  anni,  a  tutto  vantaggio  di  Gabriele,  che  tra  le  tante  cose  riesce  a  trasmettere  ad  Eleonora  anche  il  suo  gusto  necrofilo  nel  rapporto  amoroso.  Il  loro  rifugio sarà  presso  Firenze,  alla  Capponcina,  tra  l’orribile  kitch  in  cui  tutti  e  due  vivono :  lui,  tra  volute  d’incenso  e  teschi  fasulli ;  lei,  tra  contorcimenti  di  mano  e  furiosi  scoppi  d’ira  per  le  continue  infedeltà  del  Vate.

Come spesso  accade  in  rapporti  d’amore  complicati,  uno  dei  due  perde  ed  in  questo  caso  è  la  Duse  a  soccombere  mentre  lui  ne  trae  vantaggio  anche  a  livello  economico.  E’  lei  infatti  che  contribuisce  anche  generosamente,  al  mantenimento  di  quel  lusso  sfrenato  e  assurdo  (  i  cavalli  di  lui  devono  riposare  su  tappeti  Bukara  e  mangiare  ad  esempio  dentro  ciotole  di  porcellana  antica ).

Lei  porta  anche  al  successo  i  lavori  teatrali  dell’Immaginifico,  procurandogli  inusitati  diritti  d’autore.    Tutto  fa  per lui.

Ma  arriva  la  fine  di  tutto,  e  quando  si  lasciano  Eleonora  ha  quarantacinque  anni.  E’  sfiorita,  malata,  povera,  alle  soglie  di  un  disfacimento  che  lui  descrive  con  impietoso,  pessimo  gusto,  e  si  chiude  allora  in  un  totale  e  malinconico  silenzio.

Tornerà  alle  scene,  circa  dieci  anni  dopo,  spinta  dal  bisogno,  braccata  dai  creditori.  L’ex  amante  non  muove  un  dito  per  aiutarla,  offeso  anzi  che  lei  non  reciti  solo  le  sue  opere,  che  non  gli  garantisca  abbastanza  diritti  d’autore.

Il  pubblico,  curioso  e  pettegolo  come  sempre,  le  tributa  nuovo  successo,  i  teatri  di  tutto  il  mondo  applaudono  di  nuovo  la  ”divina”.

Dopo  aver  chiesto  aiuto  invano  a  Mussolini  per  la  creazione  di  un  teatro  stabile  italiano, Eleonora   riparte  in  tourneè.  E’  davvero  un’emigrante,  come  agli  inizi.  Rifiuta  l’aiuto  di  pochi  amici  sinceri,  quali  Praga,  Boito,  che  vede  solo  come  carità.

Malata,  stanca,  delusa,  non  è  ormai  che  l’ombra  di  se  stessa,  sostenuta  solo  dalla  straordinaria  presenza  scenica.

Alla  fine,  il  gelido  clima  di  Pittsburg  la  stronca.

Il  suo  funerale  attraversa  l’America,  l’Oceano  e  l’Italia,  accompagnato  da  pietà  e  rimpianti,  ultimo  omaggio  alla  superdonna  distrutta  dal  superuomo, costruiti,  entrambi,  sugli  aspetti  più  vistosi  e  morbosi  del  loro  tempo.

Le  lettere,  inviate  da  d’Annunzio  alla  Duse,  vengono  bruciate  per  volontà  di  lei,  cosa  che  il  Vate  ritiene  un’offesa  al  suo  genio.   Io,  con  tutti  voi,  credo   più  al  gesto  nobile  di  un’amante  ferita.

Passate  da  Barbara (  tuttoilmondoateatro.wordpress.com)  potrete  leggere  stralci  di  queste  lettere .Un  carteggio  che  mette  i  brividi.

Fonti :  Parlami  d’amore  Mariù-   Vita,  costume  e  storia  d’Italia  tra  gli  anni  venti  e  quaranta    

a  cura  di  Roberto  Gervaso

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