Nei giudizi di Vittorio Alfieri e di Charles Dickens
due volti contraddittori della capitale inglese
nel primo secolo di governo hannoveriano.
”Quanto mi era spiaciuto Parigi al primo aspetto, tanto mi piacque e subito l’Inghilterra, e Londra massimamente. Le strade, le osterie, i cavalli, le donne, il ben essere universale, la vita e l’attività di quell’isola, la pulizia e comodo delle case ancorchè piccolissime, il non vi trovare pezzenti, un moto perenne di danaro e d’industria sparso egualmente nelle province che nella capitale; tutte queste doti vere ed uniche di quel fortunato e libero paese, mi rapirono l’animo a bella prima, e in due altri viaggi, oltre quello, ch’io vi ho fatti finora, non ho variato mai più di parere, troppa essendo la differenza tra l’Inghilterra e tutto il rimanente dell’Europa in queste tante diramazioni della pubblica felicità, provenienti dal miglior governo. Onde, benchè io allora non ne studiassi profondamente la Costituzione, madre di tanta prosperità, ne seppi però abbastanza osservare e valutare gli effetti divini. In Londra essendo molto maggiore la facilità per i forestieri di essere introdotti nelle case, di quel che non sia in Parigi, io, che a quella difficoltà parigina non avea mai voluto piegarmi per ammollirla, perchè non mi curo di vincere le difficoltà da cui non me ne ridonda niun bene, mi lasciai allora per qualche mese strascicare da quella facilità nel vortice del gran mondo. ( …) Nell’aprile poi si fece una scorsa nelle più belle province d’Inghilterra. Si andò a Portsmouth e Salsbury, a Bath, Bristol, e si tornò per Oxford a Londra. Il paese mi piacque molto, e l’armonia delle cose diverse, tutte concordanti in quell’isola al massimo ben essere di tutti, m’incantò sempre più fortemente; e fin d’allora mi nascea il desiderio di potervi stare per sempre a dimora non che gl’individui me ne piacessero gran fatto ( benchè assai più dei Francesi, perchè più buoni e alla buona) ma il local del paese, i semplici costumi, le belle e modeste donne e donzelle,e sopra tutto l’equitativo governo e la vera libertà che n’è figlia; tutto questo me ne faceva affatto scordare la spiacevolezza del clima, la malinconia che sempre vi ti accerchia e la rovinosa carezza del vivere.”
Dall”Autobiografia” di Vittorio Alfieri
”Presso quella parte del Tamigi su cui s’affaccia la chiesa di Rotherhite, dove le case sulle rive son le più sudice e i bastimenti sul fiume i più neri per via della polvere dei battelli carbonieri e del fumo delle case fitte e basse, si trova il più lercio, il più bizzarro, il più straordinario dei molti luoghi che si celano in Londra, assolutamente ignoti, anche di nome, alla gran massa dei suoi abitanti. Per raggiungerlo, il visitatore deve addentrarsi in un dedalo di viuzze fitte, anguste e fangose, popolate dalla più povera e rozza plebe rivierasca e consacrate a quel genere di commerci a cui si può supporre che esse dian luogo. Nelle botteghe son ammucchiati gli oggetti più a buon mercato e scadenti; i capi di vestiario più rozzi e comuni penzolano dal cornicione delle finestre. Facendo a gomitate con lavoratori disoccupati d’infima classe, con caricatori di zavorra, scaricatori di carbone, donnacce, bimbi cenciosi, e la marmaglia del fiume, il visitatore s’apre il passo a fatica, assalito dagli spettacoli più ripugnanti e dal grave lezzo degli angusti chiassuoli che si diramano a destra e a sinistra, e assordato dallo strepito di pesanti carri che trasportano grandi mucchi di mercanzie dagl’innumerevoli magazzini che sorgono a ogni cantone. Arrivando alla fine in strade più remote e meno frequentate di quelle per cui è passato, egli cammina sotto case tentennanti, che strapiombano sul marciapiede, muri diroccati che paiono vacillare mentre passa, camini metà rovinati metà lì per lì per crollare, finestre difese da sbarre di ferro rugginose che il tempo e il sudiciume han quasi divorato, insomma tutti i segni che immaginar si possano dall’abbandono e dalla desolazione. In una contrada di questa fatta, oltre Dockhead nel sobborgo di Southwark, si trova l’isola di Giacobbe, cinta da un fossato limaccioso, profondo sei o sette piedi e largo quindici o venti con l’alta marea, una volta chiamato Mill Pond, ma noto nei giorni nostri col nome di Folly Ditch. E’ una piccola insenatura del Tamigi che può sempre venire riempita quando la marea è alta aprendo le cateratte di Lead Mills, da cui derivava l’antico nome. In tali occasioni un visitatore , guardando da uno dei ponti di legno che l’attraversano a Mill Lane, vedrà gli abitanti delle case d’ambo i lati calar giù dalle porte e dalle finestre di dietro secchi, mastelli, utensili domestici d’ogni specie per attingere acqua, e quando il suo occhio si volge da queste operazioni alle case stesse, lo spettacolo che gli si para davanti provocherà il suo massimo stupore. Bizzarre gallerie di legno comuni alla parte posteriore d’una mezza dozzina di case, con buchi da cui guardare la melma sottostante; finestre rotte e rabberciate, da cui si protendono pertiche per lo sciorinamento d’una biancheria che non c’è mai ; stanze così minuscole, così soffocanti, che l’aria parrebbe troppo infetta persino per il sudiciume e lo squallore che vi albergano; casotti di legno che si sporgono al disopra del fango e minacciano di precipitarvi, com’è accaduto ad alcuni ; muri incrostati di sporcizia e fondamenta fatiscenti; ogni repellente caratteristica della miseria, ogni nauseante traccia di sozzura, di putrefazione e d’immondizia; tutto questo adorna le sponde di Folly Ditch.”
( dall”Oliver Twist” di Charles Dickens, citato e tradotto da M. Praz, ”La crisi del dell’eroe nel romanzo vittoriano” Firenze Sansoni, 1952 )
Brani tratti da Le grandi famiglie d’Europa – gli Hannover Windsor Mondadori