Befana,
befanella
sei
per caso
ancora
zitella?
O
il vecchio 2020 ,
per noi
catastrofico ,
ha portato
invece
a te
momenti
commoventi?
Amore
o tormenti ?
Forse,
vista
l’ età
non ti sei
posta
il problema.
Forse preferisci
star sola,
ascoltar
l’ allodola
e cucinarti
una bella braciola.
Tanto fuori
nevica,
girar poco
ti conviene.
Giusto
il tempo
per lasciare
ai bimbi buoni ,
tanti colorati
bellissimi doni
Isabella Scotti gennaio 2021
testo : copyright legge 22 aprile 1941 n° 633
Amici carissimi passate domani una bella Epifania . Ricordate di aggiungere i Re Magi al vostro
presepe. I miei sono in viaggio da qualche giorno ormai. Arriveranno stanotte a mezzanotte.
In questo presepe i Re Magi sono già arrivati…per forza si tratta di un presepe
dell’ Epifania 2019
L’ albero speciale che dedico a tutti gli amici
Il mio centrotavola fatto da me.
Ma sì, chiamiamolo così almeno una volta. Ora che i Re Magi son giunti a destinazione per adorare il ”Bambinello” che si manifesta al mondo intero, chiamiamolo ”asinello” e non ”asino”
”La notte della Befana, nella stalla, parla l’asino, il bove, la cavalla”.
Dice così un vecchio proverbio diffuso particolarmente in Romagna e Toscana. Perchè secondo una credenza popolare, è questo il momento in cui l’asino ha la sua rivincita: ottiene per una notte il dono della parola, e può parlare male dei suoi padroni. Anche nella notte di Natale ha la sua importanza perchè col suo fiato riscalda il piccolo Gesù. Ma al di là di questi due momenti di ”gloria”, tutti gli altri giorni questo animale è un pò trattato male: comunemente indicato come simbolo dell’ignoranza, della testardaggine, poco intelligente e passivo. e allora ne vogliamo conferma?
Cominciamo…
”Essere un asino”, ”comportarsi da asino”, o ancora ”essere un asino calzato e vestito”, ”pezzo d’asino”, ”testardo come un asino”, modi ingiuriosi entrati nel linguaggio comune per dire che una persona è rozza o poco colta.
”Far come l’asino di Buridano” si usa invece per chi è un eterno indeciso: un racconto attribuito proprio a Buridano, filosofo della prima metà del XIV secolo, racconta di un asino che non riusciva a decidersi tra due mucchi di fieno posti alla stessa distanza e proprio questa sua incertezza sullo scegliere quale dei due fosse il migliore come cibo, ne causò la morte per fame.
Anche il modo di dire ”calcio dell’asino” ha radici nella letteratura e indica un atto vile di chi colpisce qualcuno che non è in grado di difendersi. Il ”detto” si rifà ad una favola di Esopo, in cui un asino diede un calcio ad un leone che stava morendo . E non è tutto:
”Far credere che un asino voli” significa inventare cose impossibili, del tutto astruse.
”Raglio d’asino non giunse mai in cielo” è un proverbio che mette in guardia: le proteste e rimostranze di una persona ignorante spesso rimangono inascoltate.
”Legar l’asino dove vuole il padrone” calza per chi esegue un compito in modo passivo e non si chiede il perchè delle cose che sta facendo, non volendo avere fastidi.
Insomma un animale bistrattato troppo spesso anche insultato dimenticando che la sua notevole pazienza gli ha dato anche modo di essere utilizzato per il recupero di bimbi handicappati, o come bestia da soma.
Allora ogni tanto ricordiamoci di lui e chiamiamolo, salutandolo e rimettendolo nello scatolone assieme a tutte le cose del presepe : ”Ciao asinello, ci vediamo il prossimo anno”.
E oggi che il Signore si è manifestato ai Re Magi e al mondo intero, lasciamo che entri nei nostri cuori e ci accompagni per tutto il 2015.
Buona Epifania a tutti e che la Befana abbia portato dolcetti e non carbone.
fonte: da un articolo di Ilaria Pace
Cari amici dopo aver scritto in questo periodo moltissimo, avendo pronti altri due post che pubblicherò più in là, voglio prendermi un pò di riposo visto che incomincia per me un periodo molto impegnativo che penso mi terrà un pò lontana da voi : periodo che mi vedrà diventare la baby sitter di Arianna. Se avrò tempo non mancherò di rifarmi viva. Vi abbraccio tutti con forte simpatia. Isabella
Auguro a tutte le mie” amiche” che compino il loro dovere anche con il brutto tempo, sotto la pioggia , come qui da me, o sotto la neve nelle zone più fredde. Che non dimentichino nessuno, nè bimbi cattivi nè bimbi buoni, nè bimbi soli e tristi. Auguro che il loro sacco sia pieno di dolci profumati per tutti, mentre so che nel mio ci sarà quest’anno anche un pò di salato per cambiare l’offerta e stupire figli ormai adulti. La tradizione vuole, qui da me, che la notte tra il 5 e il 6 gennaio la Befana arrivi lasciando una letterina, dove salutare i figli, sull’albero di Natale, scritta rigorosamente con la mano sinistra per accentuare il tremolio tipicamente da Befana, cioè da vecchietta stanca e infreddolita. Di solito la tavola è ben apparecchiata con un buon bicchiere di vino e un goccio di latte per il somarello che l’ accompagna sempre. La mattina si trova il bicchiere di vino vuoto e il latte finito. Sotto l’albero e la letterina grossi calzettoni di lana (quelli di montagna ) pieni di dolciumi .Vedremo però se anche stanotte lavorerò : ho un mal di testa da cervicale…però si sa ..la Befana è sempre la Befana. Auguri la vostra amica Isabella.
L’anno scorso, il giorno della Befana ( per tradizione il mio giorno ), siamo andati a festeggiare a Matera. Non c’eravamo mai stati e per tutti è stata una bellissima sorpresa . Capitati in un periodo decisamente non felice per freddo e umidità, ci siamo trovati immersi in una città magica complice anche l’atmosfera natalizia. Un luogo che sembra sospeso nell’aria, quasi irreale e noi lì in mezzo a passeggiare. Un viaggio tra la realtà lucana, tra magia e superstizione, tra sacro e profano. Mio figlio ha scattato foto stupende di cui voglio farvi partecipi, soprattutto dedicate, come promesso , all’ amico poeta grottolese Carmelo Caldone. Prima però voglio dedicare a questa città unica e straordinaria, dei ricordi di autori che l’hanno visitata in tempi lontani e nello stesso tempo riportare una piccola descrizione di Vito Mastrogiovanni giornalista, scrittore e commediografo nato a Bari il 27 dicembre 1924 e morto sempre a Bari il 4 marzo del 2009.
”Matera , drammatico gioco di rocce e architetture”
……
I Sassi appaiono come le rovine di Pompei: per le stradine non passa anima viva, nei cortili non echeggiano le grida e i canti dei bimbi, anche le chiese sono abbandonate. Davanti alle grotte cresce ormai l’erba e dai camini non si alza più il fumo del frugale pasto serale ; molte porte sono state murate per evitare il ritorno nelle antiche case. E in questo deserto si possono cogliere odori e colori ricorrenti nel paesaggio materano: per le viuzze, c’è odore di mentuccia, di rosmarino e di origano che crescono spontanee tra pietre e zolle umide. Su tutto domina il colore grigio scuro della gravina, la grande voragine che protegge le tane, e i cui toni danteschi vengono interrotti, nelle alti pareti a strapiombo, dal verde dolce dei cespugli e degli alberelli che spuntano improvvisi, dalle spaccature del calcare. Quando il sole splende, il tufo assume una tenue patina dorata , e il silenzio solare è ravvivato dalla freschezza di qualche pino secolare e dai fichi e dagli aranci che ancora crescono nei solitari giardini pensili, rubati all’arida pietra. Negli incipienti autunni invece, le nebbie calanti dalle alture rivestono il paesaggio di un’impalpabile coltre e trasformano le case, per sempre abbandonate, in elementi scenografici di un presepe grandioso.” da ” Le splendide città d’Italia” ( Selezione dal Reader’s Digest ).
” Matera , così a me cara, sebbene aspra e povera!”.
Sono parole di Giovanni Pascoli che dalla città lucana comincia il suo lungo pellegrinaggio di insegnante. Per lui, Matera restò sempre ”la città del mio primo pane”, la città dei ”cari trogloditi” come chiamava affettuosamente i suoi allievi.
E questa è la descrizione che ne fa nel suo libro ” Cristo si è fermato ad Eboli” Carlo Levi.
”…quando uscii dalla stazione… e mi guardai intorno, cercai invano con gli occhi la città. La città non c’era. Ero su una specie di altopiano deserto… In questo deserto sorgevano, sparsi quà e là, otto o dieci grandi palazzi di marmo… Mi misi finalmente a cercare la città …arrivai ad una strada che da un solo lato era fiancheggiata da vecchie case, e dall’altro costeggiava un precipizio. In quel precipizio è Matera. La forma di quel burrone era strana; come quella di due mezzi imbuti affiancati, separati da un piccolo sperone e riuniti in basso in un apice comune…Questi coni rovesciati, questi imbuti, si chiamano Sassi. Hanno la forma con cui, a scuola, immaginavamo l’Inferno di Dante…”.
E adesso via con le foto di mio figlio Andrea.