Che per l’expo di Milano l’inno italiano , cantato dai bambini del coro dei Piccoli Cantori di Milano , fosse stato cambiato nel passaggio ”siam pronti alla morte” al ”siam pronti alla vita” perchè troppo forte in bocca a dei bambini. L’ho scoperto per caso stasera. Ora scusatemi ma non posso non fare alcune considerazioni.
Primo
Se ogni arrangiatore o musicista dovesse cambiare per motivi suoi parole , termini, di un inno nazionale, che per essere tale sarà stato prima scritto e poi scelto per un motivo preciso non perderebbe valore e significato ?
Secondo
Pensare che la parola ”morte” oggi sia motivo di turbamento rispetto alla parola ”vita” per dei bambini, credo non sia poi così vero. Mai come oggi essi sono giornalmente purtroppo testimoni di come la morte entri continuamente nelle nostre case attraverso i mass media e non solo. Mi pare un’ipocrisia delle solite. Del resto quanti piccoli bambini hanno nelle scuole italiane di tanti anni fa e ancora oggi cantato l’inno di Mameli così com’è ? Non mi pare che qualcuno sia rimasto traumatizzato, comunque lasciamo…
ai posteri l’ardua sentenza.
Cari amici dopo una pausa dovuta a festeggiamenti familiari ( compleanni, ricorrenze varie) tutti concentrati nella prima parte del mese di marzo, torno oggi nel giorno in cui Arianna compie sei mesi per raccontarvi qualcosa sulle frittelle che si mangiano in questo giorno. Ma purtroppo con il cuore triste per la nuova tragedia di Tunisi. Voglio chiedere a voi tutti di unirvi in preghiera con me per le vittime innocenti dell’ennesimo atto sconsiderato che ha sconvolto un paese, la Tunisia appunto e il museo più importante dell’Africa ricco di mosaici splendidi e antichi. Persone in vacanza, tranquille e rilassate , curiose e interessate al bello , si sono trovate di colpo scaraventate in una realtà di violenza assurda di persone che in testa non hanno nulla tranne che ignoranza a non finire. Voglio augurarmi che in seguito a questo gravissimo episodio finisca l’ immobilismo imperante da parte di tutti e si agisca il più velocemente possibile . Non possiamo solo chiamarci tutti ”Charlie” e aspettare altri episodi simili senza intervenire in un qualche modo deciso. La cultura di un popolo va difesa ad oltranza, il conoscere, il sapere è ciò che rende l’uomo libero .Io voglio continuare a stupirmi per ciò che l’uomo ha realizzato di bello su questa terra. E non posso non credere nell’uomo.
Il 19 marzo, festa di San Giuseppe, si celebra in molti luoghi d’Italia con grandi falò e diverse manifestazioni gastronomiche. A Valguarnera nella provincia di Enna, ad esempio, si rievoca la povertà del Santo e quindi della sua Sacra Famiglia con una singolare usanza: i ricchi del paese preparano per i meno abbienti enormi costruzioni piramidali dette ”tavole di San Giuseppe”, imbandite di ogni tipo di dolciumi e cibo. Tre degli invitati, con costumi dell’epoca, dovranno impersonare Giuseppe, Maria e Gesù. Se poi l’ospite vuol fare le cose in grande dovrà fornire il travestimento anche per far impersonare i genitori di Maria, sant’Anna e san Gioacchino e i dodici Apostoli. La tradizione dei banchetti per i poveri nel giorno di San Giuseppe, si ripete in molte altre località italiane, soprattutto nel meridione. A Santa Croce Camerina nel ragusano, s’imbandiscono le ”Cene” in onore del Santo con squisiti prodotti locali, sebbene la specialità della festa sia un tipo di pane lavorato e decorato a mano che raffigura oggetti legati a San Giuseppe, come il bastone fiorito. Il pane viene preparato da coloro che hanno fatto voto al Santo. Intanto tre poveri del paese nelle sembianze della Sacra Famiglia di Nazareth girano tra le case dove sono state allestite le ”Cene” mangiando e portando via qualche pietanza. A San Marzano di Taranto vengono chiamate ”matre” altre tavole imbandite per San Giuseppe, mentre a Vallelunga Pratemano in provincia di Caltanissetta, per i bambini poveri del paese, detti ”verginelli” si mettono a tavola dei grandi pani che pesano dai tre ai cinque chili di forme varie, a bastone, a treccia, a giglio. Al centro, si mettono altri cibi, specialmente la frittura di ortaggi ( soprattutto cavolfiori e carciofi ) uova sode e olive. Cavolfiori fritti detti ”frittelli” vengono offerti anche a Roccantica di Rieti, nel Lazio. Cibi fritti, ma in particolare dolciumi, si preparano in altre località e la tradizione è talmente diffusa che il Santo è stato chiamato popolarmente ” San Giuseppe frittellaro”. Tant’è che una volta, andando di porta in porta, chiedendo a parenti ed amici le dolci frittelle, i bambini cantavano questa filastrocca ” Com’è buono, com’è caro / San Giuseppe frittellaro / Ad ognuno una frittella / che è lucente come stella/
La tradizione di consumare dolci fritti è tuttora viva in molte località italiane, come nel Lazio meridionale, tra i monti che separano Fondi da Formia, dove la notte della vigilia della festa si accendono falò in onore del Santo, e, mentre ardono i fuochi, si mangiano ”le seppele” ,le frittelle dolci consumate dopo la cena a base di legumi vari e salsicce. Quando a terra rimane solo la brace, i ragazzini gareggiano nel cosiddetto ”salto del fuoco” gridando ”Evviva San Giuseppe con tutte le seppele appriesse” ( San Giuseppe con tutte le zeppole appresso)
I ”falò di San giuseppe” sono diffusi in tutta Italia, da nord a sud. A Modica, in provincia di Ragusa, la ”vampata” arde per tutta la notte davanti alla chiesa dedicata al Santo. A Lezzeno, in provincia di Como, la cerimonia dei roghi è documentata fin dal 1190 e viene premiato il più grande, mentre a Rocca San Casciano, Forlì, c’è una gara tra i due rioni principali del paese per il falò più spettacolare. A Scicli, nel ragusano si preparano i ”pagghiara”, cioè pagliai da bruciare la sera mentre per le vie del paese si snoda una processione, in ricordo della fuga in Egitto. Ma torniamo alle frittelle, di cui tutti penso siamo ghiotti. Esse, a secondo dei luoghi in cui si preparano , assumono nomi diversi : frittelle di riso in Umbria, zeppole a Napoli e così via. A Roma i tradizionali bignè di San Giuseppe, sono rigorosamente fritti e ripieni di crema ( talvolta anche in una variante con ricotta). Una volta i migliori erano quelli del quartiere Trionfale, nei pressi di San Pietro, attorno alla parrocchia di San Giuseppe, dove la festa era più sentita e durava una settimana intera . ”Venite tutte qui / ciumachelle belle/ venitene a magnà le mie frittelle!”, gridavano i ”frittellari” ambulanti alle ragazze che a Roma erano vezzeggiate con l’appellativo appunto di ”ciumachelle”, cioè ”lumachine”. Al calar della sera, per azzittire i bambini, ormai stanchi, le mamme raccontavano loro in dialetto romanesco la vera origine delle frittelle, con la storia in versi di un immaginario quanto improbabile San Giuseppe che, giunto in Egitto, si arrangiava per sbarcare il lunario a fare il ”frittellaro”:
San Giuseppe faceva er falegname
e benchè fusse artista de talento
nun se poteva mai levà la fame
pe’ quanto lavorasse e stasse attento…
Un giorno se n’annò in Egitto co’ Maria,
e doppo un par de giorni ch’arrivorno
uprì de botto ‘na friggitoria.
Co’ le frittelle fece gran affari.
Apposta in tutta Roma, in de’ sto giorno,
sortono fora tanti frittallari.
Auguri a tutti i papà che in questo giorno vengono festeggiati e mi raccomando, offrite loro tante buone frittelle o bignè di San Giuseppe, così la festa è assicurata.
Dedico il post alla cara amica Laura: http//laurarosa3892..wordpress.com// . Visitate il suo blog, troverete tante ottime ricette accompagnate da tanta simpatia.
fonte: da un articolo di Adolfo Giaquinto