Cari amici dopo una pausa dovuta a festeggiamenti familiari ( compleanni, ricorrenze varie) tutti concentrati nella prima parte del mese di marzo, torno oggi nel giorno in cui Arianna compie sei mesi per raccontarvi qualcosa sulle frittelle che si mangiano in questo giorno. Ma purtroppo con il cuore triste per la nuova tragedia di Tunisi. Voglio chiedere a voi tutti di unirvi in preghiera con me per le vittime innocenti dell’ennesimo atto sconsiderato che ha sconvolto un paese, la Tunisia appunto e il museo più importante dell’Africa ricco di mosaici splendidi e antichi. Persone in vacanza, tranquille e rilassate , curiose e interessate al bello , si sono trovate di colpo scaraventate in una realtà di violenza assurda di persone che in testa non hanno nulla tranne che ignoranza a non finire. Voglio augurarmi che in seguito a questo gravissimo episodio finisca l’ immobilismo imperante da parte di tutti e si agisca il più velocemente possibile . Non possiamo solo chiamarci tutti ”Charlie” e aspettare altri episodi simili senza intervenire in un qualche modo deciso. La cultura di un popolo va difesa ad oltranza, il conoscere, il sapere è ciò che rende l’uomo libero .Io voglio continuare a stupirmi per ciò che l’uomo ha realizzato di bello su questa terra. E non posso non credere nell’uomo.
Il 19 marzo, festa di San Giuseppe, si celebra in molti luoghi d’Italia con grandi falò e diverse manifestazioni gastronomiche. A Valguarnera nella provincia di Enna, ad esempio, si rievoca la povertà del Santo e quindi della sua Sacra Famiglia con una singolare usanza: i ricchi del paese preparano per i meno abbienti enormi costruzioni piramidali dette ”tavole di San Giuseppe”, imbandite di ogni tipo di dolciumi e cibo. Tre degli invitati, con costumi dell’epoca, dovranno impersonare Giuseppe, Maria e Gesù. Se poi l’ospite vuol fare le cose in grande dovrà fornire il travestimento anche per far impersonare i genitori di Maria, sant’Anna e san Gioacchino e i dodici Apostoli. La tradizione dei banchetti per i poveri nel giorno di San Giuseppe, si ripete in molte altre località italiane, soprattutto nel meridione. A Santa Croce Camerina nel ragusano, s’imbandiscono le ”Cene” in onore del Santo con squisiti prodotti locali, sebbene la specialità della festa sia un tipo di pane lavorato e decorato a mano che raffigura oggetti legati a San Giuseppe, come il bastone fiorito. Il pane viene preparato da coloro che hanno fatto voto al Santo. Intanto tre poveri del paese nelle sembianze della Sacra Famiglia di Nazareth girano tra le case dove sono state allestite le ”Cene” mangiando e portando via qualche pietanza. A San Marzano di Taranto vengono chiamate ”matre” altre tavole imbandite per San Giuseppe, mentre a Vallelunga Pratemano in provincia di Caltanissetta, per i bambini poveri del paese, detti ”verginelli” si mettono a tavola dei grandi pani che pesano dai tre ai cinque chili di forme varie, a bastone, a treccia, a giglio. Al centro, si mettono altri cibi, specialmente la frittura di ortaggi ( soprattutto cavolfiori e carciofi ) uova sode e olive. Cavolfiori fritti detti ”frittelli” vengono offerti anche a Roccantica di Rieti, nel Lazio. Cibi fritti, ma in particolare dolciumi, si preparano in altre località e la tradizione è talmente diffusa che il Santo è stato chiamato popolarmente ” San Giuseppe frittellaro”. Tant’è che una volta, andando di porta in porta, chiedendo a parenti ed amici le dolci frittelle, i bambini cantavano questa filastrocca ” Com’è buono, com’è caro / San Giuseppe frittellaro / Ad ognuno una frittella / che è lucente come stella/
La tradizione di consumare dolci fritti è tuttora viva in molte località italiane, come nel Lazio meridionale, tra i monti che separano Fondi da Formia, dove la notte della vigilia della festa si accendono falò in onore del Santo, e, mentre ardono i fuochi, si mangiano ”le seppele” ,le frittelle dolci consumate dopo la cena a base di legumi vari e salsicce. Quando a terra rimane solo la brace, i ragazzini gareggiano nel cosiddetto ”salto del fuoco” gridando ”Evviva San Giuseppe con tutte le seppele appriesse” ( San Giuseppe con tutte le zeppole appresso)
I ”falò di San giuseppe” sono diffusi in tutta Italia, da nord a sud. A Modica, in provincia di Ragusa, la ”vampata” arde per tutta la notte davanti alla chiesa dedicata al Santo. A Lezzeno, in provincia di Como, la cerimonia dei roghi è documentata fin dal 1190 e viene premiato il più grande, mentre a Rocca San Casciano, Forlì, c’è una gara tra i due rioni principali del paese per il falò più spettacolare. A Scicli, nel ragusano si preparano i ”pagghiara”, cioè pagliai da bruciare la sera mentre per le vie del paese si snoda una processione, in ricordo della fuga in Egitto. Ma torniamo alle frittelle, di cui tutti penso siamo ghiotti. Esse, a secondo dei luoghi in cui si preparano , assumono nomi diversi : frittelle di riso in Umbria, zeppole a Napoli e così via. A Roma i tradizionali bignè di San Giuseppe, sono rigorosamente fritti e ripieni di crema ( talvolta anche in una variante con ricotta). Una volta i migliori erano quelli del quartiere Trionfale, nei pressi di San Pietro, attorno alla parrocchia di San Giuseppe, dove la festa era più sentita e durava una settimana intera . ”Venite tutte qui / ciumachelle belle/ venitene a magnà le mie frittelle!”, gridavano i ”frittellari” ambulanti alle ragazze che a Roma erano vezzeggiate con l’appellativo appunto di ”ciumachelle”, cioè ”lumachine”. Al calar della sera, per azzittire i bambini, ormai stanchi, le mamme raccontavano loro in dialetto romanesco la vera origine delle frittelle, con la storia in versi di un immaginario quanto improbabile San Giuseppe che, giunto in Egitto, si arrangiava per sbarcare il lunario a fare il ”frittellaro”:
San Giuseppe faceva er falegname
e benchè fusse artista de talento
nun se poteva mai levà la fame
pe’ quanto lavorasse e stasse attento…
Un giorno se n’annò in Egitto co’ Maria,
e doppo un par de giorni ch’arrivorno
uprì de botto ‘na friggitoria.
Co’ le frittelle fece gran affari.
Apposta in tutta Roma, in de’ sto giorno,
sortono fora tanti frittallari.
Auguri a tutti i papà che in questo giorno vengono festeggiati e mi raccomando, offrite loro tante buone frittelle o bignè di San Giuseppe, così la festa è assicurata.
Dedico il post alla cara amica Laura: http//laurarosa3892..wordpress.com// . Visitate il suo blog, troverete tante ottime ricette accompagnate da tanta simpatia.
fonte: da un articolo di Adolfo Giaquinto
Non è semplice mettersi a parlare di un pittore straordinario come fu Vincent van Gogh; è un compito decisamente arduo di cui sono perfettamente conscia. Ma dal momento che la sua arte mi ha sempre colpito visivamente in maniera coinvolgente, ho deciso di affrontare lo stesso l’argomento parlando non solo dell’artista a grandi linee, ma soprattutto facendo parlare lui stesso, attraverso la corrispondenza ch’egli tenne con suo fratello Theo maggiormente , ma anche con sua sorella e qualche amico pittore. Nelle parole che leggerete, vedrete delinearsi con netta evidenza il suo carattere di persona intensamente interessata al colore, ad una natura dove trovava piacere identificarsi, molto sensibile e travagliato interiormente. E’ un modo per conoscerlo più da vicino che ce lo rende a volte, più uomo che artista e che rispecchia la sua visione della vita. Un percorso che vorrei fare con voi per scoprire ancor più questo pittore che ho sempre trovato nel suo esprimersi, affascinante e talvolta misterioso. Le lettere che scrisse sono circa 750. Alcune sono anche molto lunghe, dalle sei alle otto pagine, e accuratamente dettagliate. Si può dire che con le sue lettere Van Gogh abbia tracciato un itinerario biografico e stilistico completo, descrivendoci inoltre la maggior parte delle sue opere e corredando le lettere con disegni e schizzi riproducenti i quadri di cui parlava. A partire dal luglio 1880 ha scritto quasi esclusivamente in francese. Di nessun altro artista possediamo una documentazione così dettagliata e importante. Le lettere sono state pubblicate nel 1914 ( 3 volumi ) a cura della signora Johanna Bonger in Van Gogh, vedova di Theo Van Gogh, che vi appose una prefazione di sessanta pagine, prima traccia biografica completa sul pittore. Un’ edizione successiva ( 1953 , 4 volumi ) raccolse altre lettere ancora, o diede la versione integrale di lettere già pubblicate solo in parte. Questa edizione venne curata da Vincent Willem Van Gogh, figlio di Theo e quindi nipote del pittore.
Vincent non ebbe una vita semplice e serena. Una natura fragile la sua, tormentata capace però di grande commozione e incline alla generosità pur manifestando talvolta sentimenti disperati e violenti. Visse un’agghiacciante solitudine dell’anima, da solo a lottare con i colori, ( nel film ”Brama di vivere” del 1956 interpretato da Kirk Douglas nei panni del pittore, regia di Vincent Minnelli, c’è una scena che è sintomatica: Douglas che mangia i tubetti di colore, il che è veramente successo come è riportato in una lettera dell’artista indirizzata a Theo ) guidato unicamente da quel suo istinto animale e visionario che lo condannava a cercare la Verità attraverso la propria arte. E proprio quest’ultima riuscì a dare un preciso indirizzo di percorso alla sua vita confusa e inquieta. Era comunque una di quelle buone persone incomprese, talvolta derise per la propria sensibilità, e di questo soffrì terribilmente. Cercò sempre l’amore, lo sentiva come esigenza interiore, ma aveva una maniera goffa nel relazionarsi tale da portarlo all’isolamento. Solo il fratello Theo riuscì ad entrare in contatto con lui e grazie a Theo e ancor più, a sua moglie ( che si occupò dopo la morte del pittore di farne conoscere l’opera pittorica e il suo valore ) possiamo oggi ammirare le sue opere. Chiaramente ciò che vi proporrò saranno lettere in ordine sparso. Leggetele con interesse per entrare in contatto con il suo modo di sentire. Ascoltiamo ora le sue parole scritte al fratello nella lettera N. 227
”Caro Theo,
Uno studio che ho eseguito nel bosco è di alcuni tronchi di betulla su di una distesa di terreno ricoperta da rami secchi, ed una figuretta di una ragazza vestita di bianco. C’era la gran difficoltà di mantenerlo chiaro e di far entrare spazio tra i tronchi posti a distanza diversa— e la posizione ed il volume relativo di quei tronchi varia con la prospettiva—per far sì che si potesse respirare e camminarci attorno e per far sentire la fragranza del bosco.
E’ stato con estremo piacere che ho eseguito quei due studi.
Questa settimana ho dipinto degli studi piuttosto grandi, nel bosco, che ho cercato di svolgere in maniera più completa e con maggiore vigore dei primi.
Dopo esser restato seduto a disegnare , ci fu un temporale violento che durò per almeno un’ora. Ero tanto ansioso di continuare che me ne restai lì, e mi riparai come meglio potevo dietro un grande albero. Quando infine terminò e i corvi ripresero a volare, non rimpiansi di aver aspettato, per via della meravigliosa tonalità profonda che la pioggia aveva impartito al terreno.”
Vi aspetto alla prossima.
Fanciulla tra gli alberi —L’Aia, agosto 1882
Immagine da Wikipendia
Fonte ” La vita e l’arte di Van Gogh” Mondadori
Ringrazio con tutto il mio cuore tutti gli amici che con il loro pensiero si sono fatti sentire per gli auguri nel giorno del mio compleanno. Siete tutti splendidi. Vi voglio bene. Isabella