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Come non si può piangere di rabbia per tutti gli innocenti morti di questi giorni?

Ultima notizia quella di un povero sfortunato 67enne che con un’ amica esce di casa trovando davanti al portone uno strafottente 26enne che sta parlando con un altro giovane, impedendo l’ uscita. Inavvertitamente l’ uomo lo urta ad un braccio. Da lì nasce un diverbio col giovane che pretende le scuse. L’ amica cerca di calmare le acque ma il signore non rispondendo al giovane viene preso da quest’ ultimo a schiaffi e cadendo batte violentemente il capo. Ora è ormai in fin di vita.

Ma cosa è successo a tutti ? Ieri il pazzo del consorzio e le tre povere donne uccise. Ma non basta ancora ? Quanta altra inutile violenza ancora dobbiamo aspettarci ? Quanta gente ancora dovrà morire inutilmente, senza motivo? Troppi pazzi in giro , che nessuno cura a dovere. Avrei voluto vivere con serenità gli ultimi anni che mi restano, ma francamente , viste le premesse non mi pare cosa facile. Speriamo che il mondo si riassesti, che l’ uomo rinsavisca. Per ora si va avanti alla cieca sperando che nessuno sulla propria strada, incontri un pazzo. Vi lascio amici carissimi tanto per cambiare con una poesia scritta proprio con tanta rabbia nel cuore . Un abbraccio circolare

la vostra Isabella

Nessun alito di vento

Non s’è ancora

alzato

il vento.

Solo umide

gocce

imperlano

i vetri

della finestra.

L’ alba sorge

portando

con se’

la nebbia.

E la nebbia

sembra rendere

invisibili

anche i pensieri.

Sembra ,

per un attimo.

Perchè tutto

è qui,

nella mia testa.

Nessun pensiero

annebbiato.

Ecco

le povere donne

iraniane,

umiliate e uccise,

tutte le bocche

che gridano

degli orrori

e dei massacri,

chi è stanco

dei soprusi

e della violenza.

Tutto è nitido.

Guerre , angoscia vissuta ,

tragedie senza senso .

Aspetto

che arrivi il vento.

E spazzi via

con una sola raffica

tutto l’ obbrobrio

di questa vita.

Isabella Scotti dicembre 2022

testo : copyright legge 22 aprile 1941 n° 633


Cosa vedi
in me
uomo,
di così sbagliato,
tanto
da usarmi
violenza?
Cosa c’è in me
che non sopporti,
tanto da colpirmi
ripetutamente,
perché tutto
questo odio
nei miei confronti?
Non riesco a comprendere.
Perché io credo
nel nostro stare
insieme.
Credo sia
la cosa più bella
amarsi,
volersi bene.
Vorrei che
le tue mani
non mi strappassero
i vestiti di dosso,
non mi schiaffeggiassero,
non mi riempissero
la faccia
di pugni, non mi buttassero l’ acido sul volto,
non si armassero
di coltello,
non mi si stringessero
attorno al collo.
Vorrei…
o sì
come vorrei
essere trattata da te
con dignità, con rispetto.
Io donna, tu uomo,
nessun padrone,
ciascuno
con la propria individualità,
col sapere sopportare,
perdonare e amare.
Questa è l’unica
cosa che vorrei, nessuna violenza.

Io donna, tu uomo,

insieme con amore

Isabella Scotti novembre 2022

testo : copyright legge 22 aprile 1941 n° 633

Amici carissimi abbiamo tutti il covid. Ancora positivi ma martedi spero che saremo negativi. Sono ormai quasi 15 giorni . Fino a giovedi eravamo ancora positivi. Speriamo bene dai. Un abbraccio a tutti.

La vostra Isabella


Non so

se mai

ti ritroverò.

Vorrei

che la  realtà

fosse meno amara.

Sei  distante,

teneramente malato

di memorie infantili

resti assorto,

lontano,

sognando la nebbia

e l’ umido delle sere d’ aprile.

Sembri abitare

un’ eremo  irraggiungibile.

Se ti porgo

quella  stella alpina

che hai tenuto pressata

tra le pagine

di un libro,

nessun ricordo

torna

alla tua mente.

Quel salire ripido,

per coglierla,

nulla.

E quel  diamante

dal  fulgore infinito

che mi regalasti ,

è per te ormai,

senza significato

alcuno.

Il  tramonto

della nostra  favola

d’ amore,

mi fa soffrire

indicibilmente.

Sai,

stanotte ho sognato

un  angelo.

Risplendeva

di una luce

particolare.

Si avvicinava a te

regalandoti

nuova memoria.

Peccato fosse solo

un sogno,

un atroce  inganno

Isabella Scotti gennaio 2022

testo : copyright legge 22 aprile 1941 n° 633

“Teneramente malato di memorie infantili
sogno la nebbia e l’umido delle sere d’aprile.”

Sergej Esenin

Carissimi ho scritto questa poesia ispirata dai versi di Esenin abbinandoli alle parole in neretto che vedete nella poesia e che sono state date nel gruppo facebook di cui già vi ho parlato e di cui faccio parte, Rinascimento poetico. Volevo vedere se ero capace di far nascere una poesia incastrando i versi di Esenin e le parole ” regalate ” ( regalate cioè da alcuni che scrivono come me nel gruppo ) Spero che l’ esperimento sia di vostro gradimento. Un abbraccio circolare e grazie a tutti.

La vostra Isabella

Un anticipo del mio rientro qui che non credo sia troppo lontano. Me lo auguro di cuore. Voi aspettatemi, non dimenticatemi.

Baci a tutti e un sorriso


Correvi,

ignaro

d’ andare

incontro

alla morte.

Pensavi

alla partita

che avresti giocato,

il vento

freddo

della notte

non ti faceva

paura.

Temerario

lasciavi

ti sferzasse

il volto.

Eri felice,

una felicità

la tua

che ti

è stata tolta,

brutalmente

Non correrai

più su quei campi

di gioco,

con i grattacieli

sullo sfondo.

Correrai ora,

vittima innocente,

per i campi

elisi,

ma non sarai

solo.

Mai.

Non temere.

Ti accompagneranno

le nostre preghiere,

e lì ti troverai

con tanti altri

che come te

speravano

e vedevano

con gli occhi

uguali

ai tuoi

un mondo migliore.

Buon viaggio Davide.

Riposa in pace

Isabella Scotti dicembre 2021

testo : copyright legge 22 aprile 1941 n° 633

Scusate volevo aggiungere al mio articolo precedente anche questa poesia ma non ci riesco. Perdonatemi. Leggete pure quello che preferite, se queste righe o l’ articolo precedente. Sono sempre parole che vogliono ricordarlo. Grazie


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cultura.biografieonline.it

In   agonia

urla   il   silenzio.

Non   sta   zitto .

E   sale

il   mio   turbamento.

E’   follia

che   si   comporti

così.

Chiedo   solo   pace,

solo   quiete.

Non  frastuono,

non   urla.

Vorrei    che

il   silenzio

fosse   muto

come   dovrebbe   essere.

Pensavo

che  

mi   avrebbe

confortato,

che   mi   avrebbe

fatto   compagnia

Non   sapevo

che   il   suo   urlo

sarebbe   stato

come   quello

di   Munch.

Continua  ora

a   salire

in   me

un ‘ angoscia

senza   fine,

una   pena

straziante

che   mi   lacera

il   cuore

Isabella   Scotti   marzo   2021

testo  :   copyright   legge   22   aprile   1941   n°   633

Incipit   in   neretto   dalla   silloge   di   Marco   Corsi   ”   E   ancora   leggera   la   brezza ”  

Un   libro   che   vi   consiglio   vivamente  .  Rimarrete   stupiti   dalla   sua   bravura .   Oltre   che   un   amico   a   cui   va   tutta   la   mia   stima,   è   una   persona    colta,   profondamente   preparato   e   competente.   Vive   e   lavora   a   Roma   dove   dopo   il   liceo   è   subito   entrato   in   servizio   in   qualità   di   Responsabile   della   comunicazione   presso   la   Biblioteca   Angelica   di   Roma.  Studia   presso   il   Master   Officina   della   Poesia   il   Teatro   e   le   Arti   del   Teatro   Quirino.   Le   sue   poesie   sono   intime,   spirituali,    molto   ricercate.

Carissimi   amici   perdonate   le   mie   non   visite   ai   vostri   blog,   ma   sto   attraversando   un   periodo   non   facile.

Mi   trovo  a   dover   affrontare   varie   cosette   che   mi   levano   molto   tempo.   Quando   a   sera   vengo   al   pc,   gli   occhi   mi   danno   fastidio   e   resisto   poco.   Scusatemi.   Spero   di   superare   il   tutto   con   leggerezza   e   coraggio   allo   stesso   tempo.   Farò   il   possibile   per   passare   da   voi.   Anche   uno   per   volta   ma   verrò   a   salutarvi.   Siete   tutti   nel   mio   cuore.   Vi   abbraccio

La   vostra   Isabella


 

Era  

un   giardino  

fiorito  

la   mia   vita.  

Ogni   giorno  

passeggiavo  

felice  

tra   i   fiori,  

schivando  

la   tristezza.  

Tutto  

era   luce,

non   c’erano

ombre.

   Ma

poi   arrivò

la   neve,

tutta   insieme,

che   mentre

scende

non   fa   paura,

anzi ,

è   così   bella.

Si   allunga

la   mano,

aspettando

che   i   candidi

fiocchi

vi   si   posino,

lievi

come   batuffoli.

Arrivò

la   neve  

sì,

ma   non

da   sola.

Si   portò   dietro ,

anche 

un   gelo

antico ,

che   mi   pervase

tutta.

Ogni   fiore

sparì

sotto   quel

bianco   manto.

Nulla

restò

del   profumo

di   quel   giardino.

Ora ,

sto   aspettando

il   disgelo,

ma   c’ è

una    così

vaga

tristezza

nel   mio

cuore ,

che   quel   vento

gelido

ha   portato,

che   mai   più  ,

ne   sono   sicura  ,

camminerò

tra   i   fiori

felice.

Una   parentesi

quella,

inevitabilmente

chiusa

per   sempre.

 

 

Isabella  Scotti   febbraio   2021

testo  :   copyright   legge   22   aprile   1941   n°   633

Oggi   son   già   sei   mesi   che   Ricky   non   c’è   più.   Il   tempo   corre   veloce  ,   il   dolore   rimane   e   fa   male

 

 

 


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zastavki.com

Ascolta

caro,

quello

che   ho

da   dire.

Vorrei

che   il   nostro

amore

lo   raccontasse

il   vento,

che   ogni   foglia

da   lui

trasportata ,

parlasse

di   noi

a   chiunque.

Perchè

un   amore

così   grande

non   può

essere   taciuto.

Tu,

che   mi   ami

follemente,  

totalmente

tanto

da   far   sì

ch’ io   diventi

immagine

di   ciò

che   è   impossibile

  dimenticare.

Simbolo

di    amore

eterno,

emblema

di   qualcosa

che   travalica

il   tempo.

Io,

che

con   ardore

ti   amo,

perchè

il   fuoco

della   passione

brucia   in   me,

so   che   ormai

  senza

di   te

non   potrei   

vivere.

Amiamoci

allora

senza   smettere

mai. 

Copriamoci

di   baci,

che   i   nostri

corpi    nudi,

avvinghiati ,

raccontino

di   un’ intimità

raggiunta

che   lega

le   nostre   anime.

Lasciamo

che   il   vento

parli   di   noi,

ovunque

e   per   sempre.

 

Isabella   Scotti   gennaio   2021

testo  :   copyright   legge   22   aprile   1941   n°   633

Incipit   in   neretto   dalla   poesia   di   Rabindranath   Tagore   ”   Amore   senza   fine  ”

 

Buona   giornata   cari   amici.   Oggi   vi   regalo   questa   poesia.   Poi   ne   arriveranno   delle   altre,   anche   non   mie.

Per  ora   accontentatevi   di   questa

La   vostra   Isabella


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artgeist.it

Brilla   la   luna   tra   il   vento   d’  autunno,

nel   cielo   risplendendo   come   pena   lungamente   sofferta.

Ma  non   sarà   il   poeta   a   rivelare

le   ragioni   segrete,   il   segno   indecifrabile

di   un   cielo   liquido   di   ardente   fuoco

che  annegherebbe   le   anime,

se   sapessero   il   loro   destino   sulla   terra.

La   luna   quasi   mano

divide   ingiustamente,   come   bellezza   usa,

i   suoi   doni   sul   mondo.

Guardo   pallidi   volti.

Guardo   fattezze   amate.

Non   sarò   io   a   baciare   il   dolore   che   nei   volti   si   mostra.

Solo   la   luna   può   chiudere,   baciando,

quelle   palpebre   dolci   che   la   vita   ha   stancate.

Quelle   labbra   lucenti,   labbra   di   luna   pallida,

labbra   sorelle   per   i   tristi   uomini,

sono   un   segno   d’  amore   nella   vita   deserta,

sono   il   concavo   spazio   dove   l’  uomo   respira

e   vola   sulla   terra   ciecamente   girando.

Il   segno   dell’  amore   nei   volti   amati   a   volte

è   solo   la   bianchezza   brillante,

la   dischiusa   bianchezza   di   quei   denti   che   ridono.

Allora   si   che   in   alto   la   luna   si   fa   pallida,

si   estinguono   le   stelle

e   c’è   un’  eco   remota,   uno   splendore   ad   oriente,

vago   suono   di   soli   che   anelano   ad   irrompere.

Quale   gioia,   che   giubilo   quando   il  riso   rifulge !

Quando   un   corpo   adorato,

eretto   nel   suo   nudo,   brilla   come   la   pietra,

come   la   dura   pietra   infiammata   dai   baci.

Guarda   la   bocca.   In   alto   diurno   un   lampeggiare

attraversa   un   bel   volto,   un   cielo   dove   gli   occhi

non   sono   ombra,   ciglia,   inganni   rumorosi,

ma   la   brezza   di   un’  aria   che   percorre   il   mio   corpo

come   un’  eco   di   giunchi   che   cantano   levati

contro   le   acque   vive,   fatte   azzurre   dai   baci.

Il   puro   cuore   amato,   la   verità,   la   vita,

la   certezza   di   un   amore   irraggiante,

la   sua   luce   sui   fiumi,   il   suo   nudo   stillante,

tutto   vive,   resiste   ,   sopravvive   ed   ascende

come   brace   lucente   di   desiderio   ai   cieli.

Ormai   è   soltanto   il   nudo.   Solo   il   riso   nei   denti.

La   luce,   la   sua   gemma   folgorante :   le   labbra.

E’   l’  acqua   che   piedi   adorati   bacia,

come   occulto   mistero   bacia   la   notte   vinta.

Ah   meraviglia   lucida   di   stringer   nelle   braccia

un   odoroso   nudo,   circondato   da   boschi !

Ah   mondo   solitario   che   sotto   i   piedi   gira,

ciecamente   cercando la   sua   sorte   di   baci !

Io   so   chi   ama   e   vive,   chi   muore   e   gira   e   vola.

So   che   lune   si   estinguono,   nascono,   vivon,   piangono.

So   che   due   corpi   amano,   due   anime   si   fondono.

trad.   di    M.   Vazquez    Lopez

Vicente   Aleixandre  

poeta spagnolo (Siviglia 1898-Madrid 1984). Come gli altri scrittori appartenenti alla “Generazione del ’27”, fu sensibile alle correnti estetiche di avanguardia e per molti aspetti la sua poesia può definirsi surrealista, sebbene l’entroterra culturale su cui si modella a sua esperienza sia la grande tradizione poetica di lingua spagnola, e in particolare Góngora e Rubén Darío. Nella sua ricerca Aleixandre tenta di trascendere il piano della coscienza per far emergere le possibilità espressive dell’inconscio, che si configura in una visione del mondo quasi panteistica, in cui la metafora accosta, attraverso immagini e contrasti, aspetti diversi della natura e dell’uomo: spesso le sue metafore alternano visioni fortemente pessimistiche ad analisi più tendenti alla fiducia nel progresso. Uno dei temi ricorrenti della sua poesia è il rifiuto ostile della città e la ricerca di un paradiso che è proiezione dell’infanzia. Fra le sue opere principali sono da ricordare: Ámbito (1928), Espadas como labios (1932; Spade come labbra), Pasión de la tierra (1935; Passione della terra), La destrucción o el amor (1935; La distruzione e l’amore), Sombra del Paraíso (1944; Ombra del Paradiso), Nacimiento último (1953), Historia del corazón (1954; Storia del cuore), En un vasto dominio (1962; In un vasto dominio), Poemas de la consumación (1968; Poemi della consunzione), Sonido de la guerra (1972), Poesía superrealista (1971), Diálogos del conocimiento (1974 e 1976; Dialoghi del conoscere), opera nella quale la poesia approda nell’ambito della riflessione filosofica intorno al tema della morte. Nel 1977 è stato insignito del premio Nobel per la letteratura. Pubblicazioni postume: Epistolario (1986), a cura di J. L. Cano e Nuevos poemas varios (1987; Nuove poesie).

da   Sapere.it


 

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Ulivo,

che   sembri

piangere

per   lo   scempio

che   di   te

fa

l’  odiosa   xylella,

non   abbatterti,

non   lasciare

che   ti   uccida

ogni   giorno

di   più.

Ribellati,

ulivo

vecchio   di   secoli.

Alza   i   tuoi   rami

non   lasciare

che   diventino   secchi,

non   soccombere.

Regalaci

ancora

i   tuoi   frutti,

regalaci   ombra,

come   sempre

hai   fatto.

Il   tuo   legno,

durissimo,

non   può   cedere,

non   può   diventare

cartapesta.

Voglio   ancora

in   terra

di   Puglia,

in   campagna,

ovunque   tu   sia,

vederti   rigoglioso,

solare.

Vinci   la   tua   battaglia,

lotta   contro

la   xylella   fastidiosa.

Raddrizza

la   tua   chioma

fluente,

torna   ad   essere

la   pianta   che   eri,

che   sei   sempre   stata.

Torna   a   produrre

quell’ olio   ambrato,

di   cui   tutti   

andiamo   fieri,

resta   con   noi,

non   scomparire.

Come   potremmo

vivere   la   Pasqua

senza   il   dono

di   un   tuo   ramo,

simbolo   della   gioia,

d’  infinito   amore  ?

 

Isabella   Scotti   ottobre  2019

testo  :   copyright   legge   22   aprile   1941   n°   633

Vederli   così   malati   da   vicino,    vi  assicuro   è   una   tristezza.

Ora   per   voi   la   voce   del  grande   Pablo   Neruda

Ode  all’ulivo

Accanto al frusciare
del cereale, tra le onde
del vento sull’avena,
l’ulivo
dal volume argentato,
stirpe austera,
nel suo ritorto
cuore terrestre:
le gracili
ulive
lucidate
dalle dita
che fecero
la colomba
e la chiocciola
marina:
verdi,
innumerevoli,
purissimi
picciuoli
della natura,
e lì
negli
assolati
uliveti,
dove
soltanto
cielo azzurro con cicale
e terra dura
esistono,

il prodigio,
la capsula
perfetta
dell’uliva
che riempie
il fogliame con le sue costellazioni:
più tardi
i recipienti,
il miracolo,
l’olio.
Io amo
le patrie dell’olio,
gli uliveti
di Chacabuco in Cile,
al mattino
le piume di platino
forestali
contro la rugosa
cordigliera,
ad Anacapri, là su,
nella luce tirrena,
la disperazione degli ulivi,
e nella carta d’Europa,
la Spagna,
cesta nera di olive
spolverata di fiori d’arancio
come da una ventata marina.
Olio,
recondita e suprema
condizione della pentola,
piedistallo di pernici,
chiave celeste della maionese,
delicato e saporito
sulle lattughe
e soprannaturale nell’inferno
degli arcivescovili pesciprete.
Olio,
nella nostra voce, nel
nostro coro,
con
intima
mitezza possente
tu canti:
sei lingua
castigliana:
ci sono sillabe di olio,
ci sono parole
utili e profumate
come la tua fragrante materia.
Non soltanto il vino canta,
anche l’olio canta,
vive in noi con la sua luce matura
e tra i beni della terra
io seleziono,
olio,
la tua inesauribile pace,
la tua essenza verde,
il tuo ricolmo tesoro che discende
dalle sorgenti dell’ulivo.

Pablo Neruda 

 

E   il   nostro   Giovanni   Pascoli

 

La canzone dell’ulivo

A’ piedi del vecchio maniero
che ingombrano l’edera e il rovo;
dove abita un bruno sparviero,
non altro, di vivo;

che strilla e si leva, ed a spire

poi torna, turbato nel covo,
chi sa? dall’andare e venire
d’un vecchio balivo:

a’ piedi dell’odio che, alfine,
solo è con le proprie rovine,
piantiamo l’ulivo!

II
l’ulivo che a gli uomini appresti
la bacca ch’è cibo e ch’è luce,
gremita, che alcuna ne resti
pel tordo sassello;

l’ulivo che ombreggi d’un glauco
pallore la rupe già truce,
dov’erri la pecora, e rauco
la chiami l’agnello;

l’ulivo che dia le vermene
pel figlio dell’uomo, che viene
sul mite asinello.

III
Portate il piccone; rimanga
l’aratro nell’ozio dell’aie.
Respinge il marrello e la vanga
lo sterile clivo.

Il clivo che ripido sale,
biancheggia di sassi e di ghiaie;
lo assordano l’ebbre cicale
col grido solivo.

Qui radichi e cresca! Non vuole,
per crescere, ch’aria, che sole,
che tempo, l’ulivo!

IV
Nei massi le barbe, e nel cielo
le piccole foglie d’argento!
Serbate a più gracile stelo
più soffici zolle!

Tra i massi s’avvinchia, e non cede,
se i massi non cedono, al vento.

Lì, soffre, ma cresce, né chiede
più ciò che non volle.

L’ulivo che soffre ma bea,
che ciò ch’è più duro, ciò crea
che scorre più molle.

V
Per sé, c’è chi semina i biondi
solleciti grani cui copra
la neve del verno e cui mondi
lo zefiro estivo.

Per sé, c’è chi pianta l’alloro
che presto l’ombreggi e che sopra
lui regni, al sussurro canoro
del labile rivo.

Non male. Noi mèsse pei figli,
noi, ombra pei figli de’ figli,
piantiamo l’ulivo!

VI
Voi, alberi sùbiti, date
pur ombra a chi pianta ed innesta;
voi, frutto; e le brevi fiammate
col rombo seguace!

Tu, placido e pallido ulivo,
non dare a noi nulla; ma resta!
ma cresci, sicuro e tardivo,
nel tempo che tace!

ma nutri il lumino soletto
che, dopo, ci brilli sul letto
dell’ultima pace!

L’olivo nella storia

L’intensificarsi dei traffici marittimi lungo le coste del Meridione d’Italia ad opera di fenici, greci e romani fu alla base dello sviluppo dell’olivicoltura in Puglia, la cui millenaria civiltà ha profonde radici nella presenza dell’olivo, un albero dotato di grande sobrietà e resistenza, che si adatta anche a terreni magri e superficiali.

La spremitura delle olive per ottenere olio era pratica conosciuta molti secoli prima della venuta di Cristo: le testimonianze di macine primitive sono conservate nei musei dell’isola di Creta, ad Haifa in Israele ed in Egitto. Sono innumerevoli le raffigurazioni plastiche e pittoriche che pongono al centro l’albero di olivo e le pratiche connesse con l’estrazione dell’olio e con la sua utilizzazione come medicina, come alimento, come cosmetico, come fornitore di energia e luce.

Nel museo nazionale di Taranto sono conservate tre anfore antiche ed un sarcofago di un atleta che aveva partecipato alle Panatanee di Atene ed era stato premiato con vasi riccamente ornati contenenti olio di oliva, ricavato dagli olivi piantati da Solone. Questi legiferò nel Seicento a.C. che per tutta l’Attica fosse vietato l’abbattimento degli alberi di olivo; solo in caso di estrema necessità sarebbe stato consentito l’abbattimento di non più di due piante. Ancora oggi è in vigore nel nostro paese una legge emanata nell’immediato dopoguerra per salvaguardare il patrimonio olivicolo da indiscriminati abbattimenti per farne legna da ardere.

Con l’affermarsi dell’Impero Romano, l’olio d’oliva assunse una funzione strategica nel campo del commercio e delle attività di scambio tra i diversi popoli e si intensificarono anche gli studi sulla buona coltivazione dell’olivo. Illustri uomini di cultura, quali Plinio il Vecchio, Catone, Columella, offrirono un notevole contributo di conoscenze sulla coltivazione degli olivi. Secondo Varrone, le olive debbono essere brucate (raccolte a mano) utilizzando, se è necessario, le scale; Plinio rileva i danni che si procurano alle piante dalla bacchiatura ed ordina ai raccoglitori di non scorticare l’albero. Columella descrive i diversi sistemi di estrazione dell’olio dalla drupe.

La presenza dell’olivo nel corso dell’alto Medioevo era piuttosto scarsa. Olivi isolati tra i coltivi o tra le distese pascolative interessavano soprattutto aree a diretta gestione signorile. L’olio comunque non era merce ricca e il suo commercio era condizionato anche dagli ingombranti recipienti con i quali veniva trasportato.

Con la bizantinizzazione dell’Italia meridionale si determinò un nuovo quadro colturale, ma nel frattempo vennero ripristinate anche le colture tradizionali, come l’olivo e la vite.

Ai secoli bui della caduta dell’Impero Romano seguì un periodo di rinnovamento anche per l’olivicoltura, nell’epoca dei Comuni e dei Monasteri. Il commercio dell’olio riprende ad opera dei navigatori veneziani. I porti di Brindisi, Gallipoli, Otranto e Taranto divennero meta di navi che trasportavano enormi quantità di olio; vi si installano fondachi oltre che veneziani, anche toscani, genovesi, russi, inglesi e tedeschi. Il commercio dell’olio d’oliva assunse una tale importanza che nel 1559, il viceré spagnolo Parafran De Rivera dispose la costruzione di una strada che collegasse Napoli alla Puglia, con biforcazioni per la Calabria e l’Abruzzo per consentire un trasporto più rapido dell’olio di oliva.

I primi decenni del XVII secolo segnano, anche in Terra d’Otranto, il momento culminante di quella fase di prosperità che aveva caratterizzato tutto il Cinquecento, ma registrano anche l’inizio di una lunga crisi, che diventerà poi irreversibile per tutto il Mezzogiorno. Il deterioramento delle condizioni climatiche e il lungo ciclo di basse temperature che investirono l’Europa dopo il 1600 furono le cause che determinarono la crisi dei raccolti e le eccezionali carestie. Per fortuna la crisi registrata nella metà del XVII secolo non fu di lunga durata e già verso gli anni Ottanta del Seicento si poteva registrare una forte ripresa dell’economia agricola, con l’oliveto che ancora una volta s’imponeva nel quadro generale del paesaggio agrario. Da allora la coltura dell’ulivo ha conosciuto solo periodi di espansione e le tecniche di coltivazione sono state caratterizzate da un costante progresso. Sono state le abili mani di generazioni di “potatori” e “innestatori” pugliesi a modellare la iniziale forma selvatica dell’olivo, per trasformare le zone boscose in coltivazioni ben curate e regolari, allo scopo di esaltare la funzione produttiva delle piante e nello stesso tempo contenere gli elevati costi di coltivazione e raccolta. Un lavoro duro di secoli, che s’è andato ad incorporare in un grande patrimonio naturale di incomparabile bellezza, caratteristico di ogni angolo di questa terra, tanto da suscitare sorpresa e ammirazione nel visitatore. La Puglia perderebbe ogni identità se venisse a mancare l’olivo dal suo splendido panorama.

https://www.olioterranostra.it/InfoOlio/OlivoNellaStoria.asp

 

E   ora  poteva   forse  mancare  il   grande   Van   Gogh   e   il   suo   famoso   dipinto sugli   ulivi   ?

 

Gli Ulivi - Oliveto - Olive Trees - Van Gogh

   Gli   ulivi   (   Oliveto  )   Van   Gogh   Giugno   1889

 

E   ancora   nel   cinema   :    dalla  serie   televisiva   Maria   di   Nazaret    

 

Gesù,   interpretato   da   Andreas   Pietschmann ,   prega   sul   Monte  degli   ulivi  

 

Buonanotte   cari   amici


Buongiorno   carissimi.   Oggi,   voglio   lasciarvi   in   compagnia   di   una   lettera   d’  amore,   una   poesia,   un   dipinto  e   accompagnarvi   per   mano,   facendovi   sognare ,  in   un   paese   che   sarebbe   forse   scomparso   per   l’ abbandono   di   tanti   suoi   giovani,    trasferitisi   per   lavoro   o   studio,   se   due   fratelli   col   loro   cugino   non   avessero   avuto   nel   2017   l’  idea   di   trasformarlo   ,   attraverso   murales   colorati,   nel   ”   paese   delle   fiabe   ”  :  Sant’ Angelo   di   Roccalvecce   in provincia   di   Viterbo,   poco   distante   dalla   famosa   Civita   di   Bagnoregio.  

Attraverso   foto   di   questo   paese,   rivivrete   l’  atmosfera   giusta   per   tornare   piccini.   Penso   che   oggi,   con   tutte   le   difficoltà   da   affrontare ,   possiamo   permetterci   di   dimenticarle   per   un   po’   sognando.   Non   siete   forse   d’   accordo   con   me   ?   Allora   si   comincia,   immergetevi   prima   nella   lettura   e   poi…

 

LETTERA   D’  AMORE

 

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http://www.teoma.co.it

 

Come   sei   lontano   amore   mio.   Sei   partito   solo   da   pochi   giorni   e   già   mi   manchi,   terribilmente.  Vorrei   che   le   notti ,   senza   stelle,   non   mi   mettessero   troppa   paura.   E   invece   tremo   a   star   sola,   senza   te  .    Sarà   stata   la   pioggia   di   questi   giorni   a   mettermi   malinconia ,   ma   sapessi   che   vuoto   hai   lasciato.

Ogni   notte   chiudo   gli   occhi   per   vedere   te,   immaginandoti   qui   sdraiato ,  abbandonato   sul   cuscino,  io,   rannicchiata   tra   le   tue   braccia   a   cercare   le   uniche   labbra    che   voglio   e   so   baciare.   Mi   piace   la   nostra   intimità,    quello   stare   soli,   stretti,   anche   senza   parlare,   anche   senza   fare   all’ amore.   Mi   sento   sicura   con   te   al   mio   fianco,   e   più   posso   guardarti   mentre   piano   ti   addormenti,   confondendo   il   tuo   respiro   col   mio,   più   ti   amo,   con   dolcezza,   con   tenerezza.  

Anche   oggi   fuori   piove,   piccole   gocce   continue   imperlano   i   vetri.   Mette   una   tristezza    la   pioggia,   dovrei   uscire   ma   non   ne   ho   voglia.   Forse   più   tardi.   Preferisco   rimanere   qui   a   scriverti,  è   come   se   tu   mi   fossi   accanto ,   ti   sento   vicino.   Finirà   presto   questo   nostro   star   lontani ,   vedrai.

Aspetto   trepida   il   tuo   ritorno.   Stringerti   a   me   di   nuovo,   sarà   la   gioia   più   grande.   Ci   ameremo   fino   al   mattino.

Sono   qui,    caro,   torna

Sempre   tua   

Cristina

 

Isabella   Scotti   ottobre   2020

testo  :   copyright   legge   22   aprile   1941   n°   633

Incipit   in   neretto   dalla   canzone   di   Giusy   Ferreri   ” Voglio   te ”

 

CHI   ERI   IN   REALTA’  ?

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Non   ho   risposta

e

non   mi   manca
quello   che   mostravi
di   essere,
mi   manca   quello
che   pensavo
tu   fossi.
Mi    sono   sbagliata,
ho   amato
un’  altra   persona ,
quella
che   non   eri   tu.
Che   delusione
per   me
comprendere
questo.
Quanto   voler  
apparire
in   te,
senza   in   realtà
essere.
E   io   stupida,
caduta
nel   tranello
di   una   sembianza
che   solo   
nella   mia   mente
esisteva.
A   ripensarci ,
avrebbe   potuto
essere  
un   grande   amore
il   nostro,
se   la   menzogna
non   avesse   avuto
il   sopravvento.
Ora
sono   qui
senza   te,
ho   aperto
gli   occhi,
rifuggo
ogni   meschinità,
ogni   falsità.

 

Isabella   Scotti   ottobre   2020

testo  :   copyright   legge   22   aprile   1941   n°   633

 

Questo   quadro ,  dove   Arianna   osserva   intorno   a   lei   la   natura   durante   una   gita ,   è   del   nonno   pittore ,  che   lo   ha   dipinto ,  riprendendo   il   tutto   dalla   foto   da   lui   scattata   alla   nipotina   durante   una   gita,   questa   estate.

 

E   ora   abbandoniamoci   al   sogno…

 

Foto   di   Andrea   Romani

Foto   di   Andrea   Romani

Foto   di   Andrea   Romani

foto   di   Andrea   Romani

foto   di   Andrea   Romani

foto   di   Andrea   Romani

foto   di   Andrea   Romani

foto   di   Andrea   Romani

foto   di   Andrea   Romani

foto   di   Andrea  Romani

foto   di   Andrea   Romani

foto  di Andrea   Romani

foto   di   Andrea   Romani

foto   di   Andrea   Romani

foto   di   Andrea   Romani

Penso    che    avrete   riconosciuto   ”  Pinocchio  ”,   ”  La   piccola   fiammiferaia”,   ”   Peter   Pan   ”.   Un   mondo   fatato   che   sembra   davvero   a   portata   di   mano.   Un ‘   immersione   che   vale   la   pena   fare.   Ed   ora   qualche   scorcio   anche   di   Civita   di   Bagnoregio

 

foto   Andrea   Romani

foto   Andrea   Romani

foto   di   Andrea   Romani

foto   di   Andrea   Romani

foto   di   Andrea   Romani

foto   di   Andrea   Romani

foto   di   Andrea   Romani

E   qualche   micetto   senza   mascherina

foto   di   Andrea   Romani

foto   di   Andrea   Romani

 

Un   saluto   dal   fotografo

 

Alla   prossima   miei   cari.   Passate   una   buona   giornata   di   sole.