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Il dolore è sordo, il dolore è muto.
Il dolore è sordomuto.
Sordo perché ascolta solo se stesso,
muto perché non ci sono parole
che possano parlarne.
(A. G. Pinketts)
Sordo e muto
è il dolore interiore.
Morde,
attanaglia,
come lama tagliente
infierisce,
sordo
alle urla
strazianti
del cuore,
muto
nel suo arrivare,
senza preavviso.
Come verga
che sferza,
come un pugno
violento,
sferrato
alla bocca dello stomaco,
il dolore sale,
prende alla gola,
soffoca,
pietrifica.
Poi passa,
perché
ha trovato
nel cuore
un nascondiglio.
E lì rimane,
cheto
per un po’.
Poi ecco,
che improvviso,
si fa
nuovamente
sentire.
Di colpo
nuovamente
spezza.
Isabella Scotti
testo : copyright legge 22 aprile 1941 n° 633
Tutto è compiuto. Ricky ci ha lasciato. L’ 11 agosto, onomastico di Chiara, sua cugina, mia figlia.
Il 14 ci sono stati i suoi funerali, il 16 il mio compleanno. Il 30 avrebbe compiuto 35 anni.
Non voglio dire troppe parole, ma alcune debbono essere dette.
I suoi funerali sono stati e rimarranno una delle più belle pagine di Frascati.
Perché mio nipote era un rugbista. E il rugby a Frascati ha una lunga storia, della quale mio nipote
per dieci anni ha fatto parte. Oggi il suo percorso nel rugby è finito.
Ma mai verrà dimenticato. Al Frascati Rugby Club, società di cui era socio fondatore, atleta, tecnico
e direttore sportivo, rimarrà il ricordo di un ragazzo unico, speciale, dalla grande umanità, leale,
amico sincero di tutti. Grande sportivo in campo, e poi grande allenatore ed educatore di piccoli
rugbysti in erba. Il suo sorriso contagioso metteva allegria.
Ho amato molto mio nipote e lo amo tuttora. I suoi funerali, fatti sul suo campo di rugby, dove
tante volte aveva giocato, hanno visto la partecipazione di migliaia di persone, venute da tutta Italia,
sportivi e non che hanno avuto modo di apprezzarne le doti umane e sportive. In città come nell’
intero panorama rugbystico regionale, c’è stato lo stesso, intenso sentimento di cordoglio e mestizia per
la sua perdita. Di tutto quello che è stato capace di seminare, dell’ amore che è cresciuto intorno a
lui, della sua grandissima simpatia, io vado fiera. Sono orgogliosa di averlo avuto per nipote. Così
come sono fiera di mio fratello, della sua compostezza elegante, dimostrata nel momento più terribile
della sua vita : quello della perdita di un figlio .
Così mi disse un pomeriggio al telefono, mentre era in ospedale con Riccardo. Lo avevo appena
cercato di consolare
Grazie Isabella, ma il motto degli Scotti è ” la forza è nella potenza. Bisogna essere capaci di andare avanti senza disperarsi affrontando ogni ostacolo ”
Questo è mio fratello. Questa la mia famiglia di cui sono fiera.
Il dopo che verrà lo affronteremo come potremo ma uniti nell’ amore.
Grazie a tutti voi che mi siete stati vicini col pensiero e le preghiere. Vi voglio bene
La vostra Isabella
Il suo sorriso
La sua maglia
Amore di zia
Dietro al nostro cucciolo biondino Valeria la sorella, e a lato Chiara e Andrea, i miei figli
Il 23 ottobre Alex Zanardi compirà 50 anni.
Da quell’incidente terribile nel 2001 quando perse le gambe , ne è passato di tempo.
Era la settimana del terribile attentato a New York delle Torri gemelle. Un episodio che ha segnato ognuno di noi, di fronte al quale uno pensa : ”ecco , cosa può capitare di peggio…” In effetti nessuno può prevedere come la vita improvvisamente possa cambiare di colpo. Per Zanardi cambiò il sabato successivo all’attentato, quando dopo una pioggia fastidiosa che avrebbe dovuto impedire che si corresse, uscì il sole. E la corsa ebbe inizio…per finire su quel circuito del Lausitzring in Germania, quando la macchina di Zanardi si gira, attraversa un pezzo di prato, finisce in pista nel momento in cui arriva il gruppo a 340 chilometri all’ora.
Da allora la sua vita cambia per sempre. Ma la sua non è una sconfitta. Anzi è una rinascita. Una lotta per risalire la china. Tenacia, coraggio, forza di volontà, impegno.
Fino ad arrivare a 15 anni esatti da quell’orribile incidente, alla sua terza medaglia d’oro nelle paralimpiadi di Rio, con la sua handbike, nella prova a cronometro della categoria H5, oltre una d’argento nella gara in linea.
Zanardi è l’esempio di come le sfide si possano vincere. Di come l’uomo, anche quando sembra impossibile, può ricominciare a vivere, con ottimismo tornare a sorridere.
Ecco un vero campione nello sport e nella vita.
Grazie Alex.
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motori,leonardo.it
news.superscommesse.it
Le squadre di calcio sono aziende difficili da dirigere. Bisogna sempre trattar bene, coccolare e non contrariare chi si sente ”divo” ( tanti credono di essere tali ), calmare le proteste dei campioni in declino o di chi vuole emergere, quando le discriminazioni degli ingaggi li fanno soffrire. E ancora cercare di eliminare antiche ruggini tra allenatore e giocatori, reprimere le rivolte di panchinari scalpitanti per entrare in squadra e quant’altro. Non solo, c’è poi la campagna acquisti. Comprare gli elementi adatti e far fuori quelli che meno sembrano adatti al ”telaio” della squadra. La storia del football vanta sia disastrosi acquisti che sconsigliatissime vendite e nessuna società può dirsi esente da ciò.
Anche la gloriosa ”vecchia signora”, amministrata da una dinastia imprenditoriale come gli Agnelli, la Juventus, ha commesso i suoi errori, senza offendere alcun tifoso.
Grosso, certamente, fu quello della cessione di Guglielmo Gabetto al Torino. Correva il 1941, l’Italia era in guerra, e alla Fiat, la costruzione di motori buoni aveva la priorità sulla vendita cattiva di un centravanti.
Cresciuto nei vivai juventini, Gabetto esordì in prima squadra nel 1935, a 19 anni. Fu l’anno del quinto scudetto consecutivo dei bianconeri e il ragazzo ne fu largamente gratificato. Gli anni che seguirono videro il momento magico del Bologna, ma Gabetto continuò a segnare per la ” Juve” finchè questa decise di disfarsi di lui. Al Torino lo aspettavano a braccia aperte convinti d’aver scovato l’asso pigliatutto ed avevano ragione.
L’anno seguente il 1942 avrebbero giocato un altro grosso scherzo alla rivale cittadina precedendola di un soffio nell’acquisto di Loik e Mazzola dal Venezia. Con quei due motori turbo la marcia del Torino divenne inarrestabile, e la squadra cominciò a macinare scudetti e a battere ogni primato. Nella classifica dei cannonieri Gabetto e Mazzola si alternarono e con loro il Torino dilagò. Si diffuse la leggenda del ”Barone”.
it.wikipedia.org – Gabetto
Avevano cominciato a chiamarlo così quando ancora giocava nella Juventus, il grande Gabetto. Perché aveva un gioco d’eleganza chiara, naturale e non c’è fotografia di una sua azione sul campo di gioco, nella quale non sembri un ballerino impegnato in un passo a due con la Fracci. i difensori avversari ”uscivano pazzi” dai confronti con lui. Sgusciava dalla loro morsa, saltava più alto di loro, li scavalcava nella corsa e li portava a spasso, e quando lo buttavano giù con le cattive, non s’ infuriava, ma sembrava ringraziasse sempre.
”Noblesse oblige” e chi è più nobile di un barone?
All’estrema correttezza di gioco univa una grande classe personale.
Vestiva elegantemente e nessuno mai lo vide con un ciuffo di capelli scompigliato. Nelle foto di gruppo è impossibile non vederlo al primo istante : scriminatura centrale e capelli incollati al cranio in un’orgia di brillantina.
Gabetto era specialista in rovesciate, ma il miracolo non era il suo tiro da campione, ma il fatto che, dopo la piroetta, riprendesse a correre senza che un solo capello si fosse spostato. Aveva tratti da signore. sempre gaio, sempre amico, pronto a risollevare col gesto e le azioni, i depressi umori dei compagni, seppure in effetti rari , visto che il Torino marciava con il vento in poppa. Era superstiziosissimo, proprio come dev’esserlo un barone siciliano. Ripeteva riti propiziatori e seguiva oscure scaramanzie che a suo dire dovevano portarlo a segnare una rete alla domenica. Vero o no che fosse, le reti fioccavano, e il Torino divenuto il ” Grande Torino” a furor di popolo, diventò la squadra più popolare d’ Italia. Il ”Gabe” fu ”Nazionale” solo sei volte : sulla sua strada c’era sfortunatamente il re dei centrattacchi, quel Silvio Piola che l’allora Commissario Tecnico Vittorio Pozzo non poteva assolutamente lasciare fuori squadra. Erano tempi d’oro anche per la squadra azzurra, e Pozzo di grattacapi ne aveva pochi. Si limitava a mandare in campo il Torino.
Contro l’Ungheria ( vittoria per 3 a 2, con due reti di Gabetto ), il solo giocatore dell’Italia che non facesse parte della squadra granata era il portiere, Sentimenti IV , descritto da il grande Brera, ” freddissimo determinista, dotato di un’astuzia luciferina ”. ( Wikipedia )
Sentimenti IV – ilsecoloxix.it
Vittorio Pozzo – pms.wikipedia.org
Silvio Piola – tuttocalciatori.net
it.wikipedia.org Ossola
Gabetto fu amico fraterno di Ossola , e insieme aprirono un bar a Torino, che chiamarono ”Vittoria ”, una parola familiare per i granata. Il barone aveva un solo difetto che forse coltivava come un vezzo : non era mai puntuale. Sempre l’ultimo agli appuntamenti collegiali, spuntava all’angolo quando ormai tutti disperavano di vederlo.
Insomma finiva con l’arrivare sempre, anche se in ritardo.
Arrivò in tempo anche quell’ultima volta, a Lisbona, e salì sull’aereo con i compagni.
Era il 4 maggio 1949.
Si sarebbero schiantati tutti contro il colle di Superga : il Barone, con Ossola, Loik con Mazzola, e Bacigalupo e Castigliano e Grezar, e tutti gli altri.
soraweb.it
affaridimercato.altervista.org
corriere.it
C’è un paradiso degli eroi del pallone?
Se sì, Guglielmo Gabetto, detto il Barone, vi è arrivato con la sua chioma ordinata e intatta, riconoscibilissimo.
Nessun dubbio.
fonte : I campioni dello sport di Elvio Fantini-
Un ” Barone” che non usurpò il suo titolo : Guglielmo Gabetto
Stagione enigmistica