A Lipsia esiste un manoscritto del XV secolo dove si legge la parola ” sinfonia ” sopra un brano ” per tuba ed altri strumenti armonici ”. La stessa parola dopo questa prima volta, si ritrova in Luca Marenzio, uno dei più famosi compositori della sua epoca, definito ” il dolcissimo cigno italiano ”.
da Wikipedia
Egli chiama ” sinfonie ” alcuni intermezzi strumentali inseriti in opere vocali, apparse nel 1589. Anche altri maestri del XVII secolo usarono tale parola per indicare composizioni musicali. Ad esempio Salomone Rossi , che si autodefiniva l’ ebreo , e di cui nulla sappiamo se non del periodo in cui servì come violinista alla corte di Mantova dal 1587 al 1628 , pubblicò nel 1607 un volume di composizioni strumentali che chiamò ” Sinfonie e Gagliarde ”. Il significato di questo secondo termine è chiaro : così si chiama una danza, detta anche ” gaillarde ”, per lo più allegra che nella suite seguiva una danza in tono molto solenne o una pavana ( La pavana è una danza di corte in metro binario e di andamento moderato, che sostituì nel primo quarto del XVI secolo la bassadanza e che ebbe il suo periodo di splendore nel XVI e XVII secolo e anche nel XVIII secolo. La pavana è la danza aristocratica per eccellenza e trionfa in tutte le corti italiane ed europee: si tratta di una sorta di passeggiata cerimoniale, cui è affidata l’apertura di ogni ballo di corte e può persino accompagnare l’ingresso della sposa in chiesa. WIKIPEDIA )
Comunque il concetto di ” sinfonia ” si identifica ancora con quello di semplice brano strumentale. Si tratta di brani che vengono catalogati come antenati della ” sonata ” . In seguito dal punto di vista formale esse avranno molte cose in comune ma già dai loro albori sono quindi strettamente legate.
Contemporaneo di Rossi, fu Biagio Marini. – ( Compositore e violinista, nato a Brescia prima del 1597, morto a Venezia nel 1665. Probabilmente allievo di C. Monteverdi, fu, dal 1615 al 1618, violinista della cappella di San Marco. Nel 1620 è a Brescia, alla chiesa di S. Eufemia, nel 1622 alla corte di Parma e dal 1623 al 1645 al servizio del conte Palatino di Neuburg e Düsseldorf, nel quale tempo gli vengono largite lettere di nobiltà e la dignità di consigliere di camera. Più tardi lo troviamo a Ferrara e a Milano. È il primo violinista che si sia fatto un nome anche quale compositore di musica strumentale da camera. Si deve a lui la più antica Sonata “a violino solo” (pubblicata nel 1617), nella quale il violino è trattato polifonicamente e non ha bisogno di uno strumento accompagnatore. di Fausto Torrefranca – Enciclopedia Italiana (1934) )
Svolse la sua attività presso corti principesche italiane e tedesche e può forse essere designato come il primo virtuoso di violino e autore di musiche per tale strumento. Il suo ” opus I ” del 1617, include una ” sinfonia breve ” e il suo secondo lavoro porta il titolo di ” Madrigali e Sinfonie” , il che vuol dire semplicemente che trattasi di brani in parte vocali e in parte strumentali. Nella storia degli albori della sinfonia, si potrebbe anche includere ” le Sinfonie Ecclesiastiche ” del celebre Adriano Banchieri .
” Il compositore teorico e letterato Adriano Banchieri nacque a Bologna nel 1568.
Fattosi monaco olivetano, si dedicò assiduamente allo studio della teoria musicale e delle liriche, introducendo l’uso delle stanghette divisorie delle battute musicali nelle partiture di composizioni vocali e inventando, insieme con Orazio Vecchi, il cosiddetto “madrigale drammatico”, su soggetti comici.
Fu organista a Lucca e fondatore dell’Accademia dei Floridi. Fra i suoi trattati teorici vanno ricordate le Conclusioni, un’analisi degli strumenti, del tipo di musica e del ruolo dei musici nel suo tempo, e l’Organo suonarino, del 1605.
Tra i ‘madrigali drammatici’ risaltano invece Il festino della sera del giovedì grasso (1609), La pazzia senile (1598) e La saviezza giovanile (1607).
Per quanto riguarda la musica sacra da lui composta, sono giunti fino a noi i Concerti Ecclesiastici (1595) e una Messa solenne (1599) a 8 voci.
Da un punto di vista strettamente letterario di Banchieri è famoso il Cacasenno, in seguito aggiunto al Bertoldo e Bertoldino di Giulio Cesare Croce.
Morì a Bologna nel 1634. ”
Note biografiche a cura di Maria Agostinelli. ( http://www.liberliber.it )
Ascoltando le ‘‘ Sinfonie ecclesiastiche ”, constatiamo come nell’accezione dell’epoca il significato della parola ” sinfonia ” fosse più o meno quello di ” pezzo per strumenti ” ; nello stesso senso erano usati i termini ” sonata ” e ” toccata ”, entrambi di identica origine, perché sia l’uno che l’altro termine stanno a significare semplicemente ” brano da suonare ” e quindi musica strumentale, contrapposta a ” cantata ”, cioè musica vocale. A tale proposito va notato che i compositori italiani d’ opera del XIX secolo, Rossini, Donizetti, Bellini e perfino Verdi , chiamavano sempre e comunque sinfonie i brani introduttivi dei loro lavori teatrali ( che altrove da lungo tempo erano definiti ouvertures o Vorspiele ) e ciò in un periodo in cui tale parola aveva ormai acquistato nella morfologia musicale, un ben preciso significato.
La sinfonia, quale oggi la intendiamo, andò prendendo forma solo intorno ala metà del XVIII secolo. Coloro che per primi se ne servirono sono quasi sconosciuti al grande pubblico e di essi si occupano ormai solo gli studiosi. Ben presto però si formò quella che si potrebbe definire la prima ” generazione di classici ”, i primi cioè compiuti creatori : Haydn e Mozart, con mezzi incredibilmente poveri, costruirono un nuovo edificio sonoro. In poche decine d’anni si giunse al titano che mandò in frantumi le norme da poco stabilite, per trasformare in musica le esperienze del proprio cuore : Beethoven, di cui racconto qualcosina in altri miei post. Poco dopo Schubert , un giovane del tutto inadatto alla vita, solo e senza appoggi, saprà trasfondere nelle sue melodie i dolori ineffabili e le lacrime non piante.
A questo punto la sinfonia diviene specchio del periodo romantico, del secolo XIX, col quale giungerà a termine un lungo periodo storico : sorgerà una nuova era, i cui principi, la cui tecnica, il cui spirito di collettivismo, il cui materialismo apriranno orizzonti assolutamente nuovi al regno dell’arte.
La sinfonia, riflette gli slanci romantici, i dissidi dell’anima, la profonda fede e il tacito dolore; canta il primitivo contatto con la natura e innalza lo spirito verso mistiche altezze. Essa sviluppa l’ antica aspirazione ad una forma chiara, quasi classica, in se stessa valida, introducendo anche parti descrittive, programmatiche, pittoriche.
Fonte – Storia della musica La Sinfonia – Kurt Pahlen
La parola sinfonia ha origine antichissima, per quanto le si desse in passato un significato del tutto diverso dall’ attuale. I greci, progenitori della musica dell’ occidente, intendevano per ” sinfonia ” ciò che noi oggi definiamo ” consonanza ” : l’emissione cioè contemporanea di due o più note che formino tra loro un accordo gradevole all’ udito . Nel Medioevo troviamo la stessa parola in un trattato di Isidoro di Siviglia, vissuto tra il 570 e il 636 circa. Isidoro chiama ” sinfonia ” la concordanza di diversi suoni, acuti e gravi, vocali e strumentali ; chiama ” sinfonie ” anche i brani di musica fondati su tali concordanze.
prolocosarnico.it
Allo stesso tempo il nome serve anche per indicare degli strumenti : nell’ antichità un tipo di tamburo ; nel XII secolo il nome era usato per indicare la ghironda, un curioso strumento caratteristico dei musici vaganti. Anche la cornamusa è chiamata ” sinfonia ” in molti antichi manoscritti. Solo in tempi più recenti il vocabolo acquistò più o meno il significato che ha oggi , e passò ad indicare un brano musicale scritto per soli strumenti. La musica strumentale fiorì soltanto sul finire del Medioevo, un’ epoca che aveva della musica una concezione del tutto diversa dalla nostra. L’ idea del concerto pubblico era del tutto ignota, e soltanto le cerimonie ecclesiastiche e le feste popolari lasciavano campo alla musica. Ma per secoli gli strumenti non poterono essere usati durante le funzioni, perché la Chiesa – protettrice della musica come di tutte le arti – attribuiva loro un carattere peccaminoso.
The Blind Hurdy Gurdy Play – La ghironda in un dipinto di Georges de La Tour
Solo a poco a poco poterono introdursi nelle cerimonie, dapprima in posizione subordinata, a sostegno delle voci, e talvolta in loro sostituzione ; in un secondo tempo prese piede l’ uso di suonare brevi intermezzi strumentali per permettere ai cantori di riposarsi. Un forte impulso ricevette la musica strumentale, nello stesso periodo, dalla danza. In questo capo ebbe una parte di primissimo piano e poté imporsi sovrana, evitando la concorrenza della sorella maggiore, assai più sviluppata, e cioè della musica vocale. Poi, via via che gli strumenti si perfezionavano e i suonatori diventavano più abili, nella musica profana la parte strumentale si andò rendendo autonoma dalla danza, così come nella musica di chiesa si era separata dal canto. Si aprì così per la musica un nuovo campo dagli orizzonti sconfinati.
Grande natura morta con strumenti musicali, tappeti, dolciumi, fiori e una piccola scimmia -olio su tela cm. 314 x 217 – datato “1695” – Cremona, Pinacoteca Civica Ala Ponzone
” Maestro di palazzo Araldi (attivo a Cremona nel 1695) ” Per chi volesse ragguagli su questo Maestro segnalo questo link : http://www.academia.edu/19539302/Il_Maestro_di_Palazzo_Araldi_Text
gianlucabocchi.com
Nella ” musica d’arte ” musica di chiesa e di corte, cominciavano a prendere vita degli ” intermezzi ” strumentali, durante i quali alcuni strumenti – pochi, agli inizi – eseguivano brevi pezzi indipendenti.
Nella ” musica popolare” si svilupparono danze la cui molteplicità conferì in breve molta varietà alla musica strumentale, soprattutto grazie alle esecuzioni di danze che avevano luogo nei palazzi; qui si avevano maggiori esigenze di raffinatezza e le musiche subivano un processo di stilizzazione. Ben presto i musici di palazzo ricevettero l’incarico di colmare le pause tra le danze con la musica, e come era logico, cominciarono a suonare suites ricavate dai ritmi delle danze stesse, in modo che gli ospiti rimanessero nell’ atmosfera leggera e piacevole della festa, senza affaticarsi intellettualmente.
Ogni pezzo della suite era breve, con un unico tema musicale che veniva ripetuto varie volte senza varianti. Un principio, questo, che è proprio l’opposto di quello della sinfonia. Per giungere a ciò che s’ intende oggi come sinfonia, c’è ancora un po’ di strada da fare ma soprattutto occorre che si formi l’ orchestra. Nel prossimo post parlerò dei precursori della sinfonia.
fonte – La sinfonia – Kurt Pahlen
Carissimi amici dopo aver sentito e ricordato nel mio post ”MOOD MUSIC TAG” tanta buona musica, mi scuserete se ne torno a parlare. Torno a farlo perchè ho notato nei vari commenti al mio post che nessuno, come amore musicale, ha nominato ( compresa la sottoscritta ) uno dei complessi rock che invece per me lo è davvero ( amore musicale intendo ) : i QEEN. La prima volta in cui sentii RADIO GA GA, brano composto da Roger Taylor, ispirato dal piccolo figlio Felix il quale, commentando una musica alla radio, aveva detto che era ”radio ka – ka”, rimasi fulminata e me la porto dentro da allora. Nel 1984 quando uscì, mio figlio aveva sei anni. Sentendola più volte dentro casa è cresciuto si può dire nel mito dei Qeen diventando, sulla scia della madre, un cultore del gruppo. Sono stata capace di trasmettergli tutta la mia passione a riguardo tanto da fargli acquistare ormai diventato liceale, tutti i loro cd , almeno quelli che mancavano alla mia raccolta, e non vi dico quanto in casa io abbia ballato da sola, ascoltandola, la loro musica straordinaria. Non solo, da lì è partita la sua di passione ( anche mia a dire il vero ) per tutta l’ottima musica dei più grandi artisti e gruppi quali Pink Floyd, Bruce Springsten, Genesis, Police, Eric Clapton e così via. Ci ha riempito casa dei cd più importanti di ciascuno e debbo dire con gioia che oggi la sua è un’ottima collezione con la quale deliziarci e passare un pò di tempo, ascoltando con piacere tanta buona musica, quando siamo in vena ovviamente. Eh sì perchè a volte anche un’ottima infornata di musica classica rilassa allontanando magari stress e tensioni. E’ per questo motivo che ho deciso di raccontarvi qualcosa , a grandi linee, si capisce , per quello che sarò capace, di questo gruppo, il ”mio” gruppo. Un abbraccio a tutti
”Se dovessi morire domani, non mi preoccuperei. Dalla vita ho avuto tutto. Rifarei tutto quello che ho fatto? Certo, perchè no ? Magari un pò diversamente! Io cerco solo di essere genuino e sincero e spero che questo traspaia dalle mie canzoni” FREDDY MERCURY- 1986
”Non voglio cambiare il mondo, lascio che le canzoni che scrivo esprimano le mie sensazioni e i miei sentimenti. Per me, la felicità è la cosa più importante e se sono felice, il mio lavoro lo dimostra. Alla fine tutti gli errori e tutte le scuse sono da imputare solo a me. Mi piace pensare di essere stato solo me stesso e ora voglio soltanto avere la maggior quantità possibile di gioia e serenità, e immagazzinare quanta più vita riesco, per tutto il poco tempo che mi resta da vivere.” ULTIMA INTERVISTA DI FREDDY MERCURY- 1991
Penso che mettere in piedi una vera band ( in questo caso ”rock band” ), sia qualcosa di molto difficile perchè non sempre può andare tutto bene in maniera tale da passare alla storia. Molti sono i fattori che contribuiscono a far nascere qualcosa di unico e irripetibile. In primis gioca un ruolo non indifferente la casualità, come del resto in tutte le cose. Gli incontri tra persone con gli stessi intenti ad esempio. E parlando di musica c’è poi quel quid, quell’avere in comune un amore smisurato per il suono, la melodia, lo strumento che apre le porte ad un mondo magico, unico, fatto di sensazioni profonde. Ecco che allora un incontro casuale può dare origine ad un qualcosa su cui nessuno avrebbe scommesso. I Qeen sono e rappresentano tutto questo. Il loro sodalizio artistico ed umano iniziato per caso nelle vie di Londra porterà a risultati che lasceranno il segno nella musica rock, dalla fine degli anni ’60 e per vent’anni, e tutto è dovuto oltre che alla bravura di ogni singolo musicista, soprattutto alla loro grande amicizia, al rispetto che avevano l’uno per l’altro, alla capacità di ognuno di coltivare le proprie scelte musicali senza prevaricazioni, ma mettendole al servizio l’uno dell’altro, e quindi alla grande armonia creatasi all’interno del gruppo. Perfino i loro testi testimoniano questo stato di cose. Valori come l’amore universale, l’amicizia , domande esistenziali su cui riflettere , tutto è racchiuso nelle loro canzoni. Tutti i loro concerti sono rimasti nella storia perchè sempre ricercati, sfarzosi e spesso molto teatrali. E proprio questo piaceva molto a Freddy Mercury. Fare in modo che lo spettacolo fosse davvero completo, quasi una rappresentazione teatrale dove unire musica e danza e grande scenografia, senza dimenticare l’uso sempre più magico delle luci. Concerti che fecero il pienone in tutti gli stadi d’Europa conquistando sempre più fan che accorrevano e rimanevano stupiti di fronte a tanta magnificenza.
Tutto comincia a Londra. Quella Londra degli anni ’60, che il 15 aprile del 1966 il TIME definì ”the swinging city” ovvero la città oscillante. Ed è proprio l’atmosfera esplosiva della Swingin’ London che attira nei suoi club e nei quartieri più alla moda, centinaia di artisti e musicisti da tutto il Regno Unito, che lì trovano l’ambiente più creativo e all’avanguardia del momento accanto alla prospettiva di realizzare i propri sogni. Dopo i Beatles e i Rolling Stones, i Who di ” My generation”, la scena musicale londinese sembra essere l’ambiente adatto per dare origine a nuove tendenze musicali, dal ” blues britannico’‘ degli Yardbirds alle prime sperimentazioni dei Pink Floyd ad esempio ed il circuito universitario sembra essere un’ottima rampa di lancio per tutti. Le scuole d’arte sono un vivace punto d’incontro e come all’Imperial College di Londra , cominciano a farsi strada gruppi dell’area ”progressive” come i Genesis di Peter Gabriel, i Jethro Tull, mentre nel 1968 esordisce per la prima volta la formazione dei Led Zeppelin. Tra le tante bands che sono presenti sulla scena all’Imperial College nell’inverno del 1967, scontrandosi con le difficoltà del mondo rock, c’è un gruppo chiamato 1984 in cui suona un giovane chitarrista : Brian May.
fonte : QEEN – a cura di Max Felsani, Michele Primi, e Mauro Saita Edizioni Giunti
Beethoven ammirava molto il poeta Wolfang Goethe ancor prima di conoscerlo tanto che compose l’ouverture dell’Egmont, ”solo per amore delle sue poesie , che mi fanno felice”, e addirittura , nel periodo 1810 – 1812 , musicò alcuni lieder ( canzoni ) proprio su versi del poeta. I due s’incontrarono , nel 1812, tramite la comune amica Bettina Brentano, a Toplitz, una ridente cittadina termale dove Beethoven era solito recarsi per le cure termali. I loro caratteri erano comunque troppo dissimili perchè da quell’incontro nascesse una profonda amicizia: libero, impetuoso, spregiudicato Beethoven, diplomatico e raffinato Goethe. Dagli appunti che essi lasciarono nei loro diari e nelle lettere scritte ad amici si comprende facilmente che i loro rapporti furono di educata tolleranza, nulla più. Quando si conobbero , Beethoven aveva 42 anni e Goethe 62. Durante il loro breve incontro un giorno, mentre camminavano lungo un viale, videro arrivare in carrozza la famiglia imperiale. Goethe si scoprì il capo , si fece da parte e restò fermo nell’inchino di prammatica. Beethoven, invece, si calò di più il cappello sugli occhi, abbottonò il soprabito e guardò fiero davanti a sè. Nonostante questo suo atteggiamento, l’imperatrice lo salutò per prima e l’arciduca si tolse il cappello. Beethoven, rivolto quindi a Goethe, disse con una certa compiacenza : ” Quella gente mi conosce”. Quindi intavolò una lunga discussione. Beethoven dirà più tardi : ” Quando uno come me e Goethe si trovano insieme, quei signori devono sentire la nostra grandezza”. Ancora mentre passeggiavano insieme, il poeta si mostrò infastidito di quanta gente li ossequiasse al loro passaggio. Beethoven fu subito pronto a rispondere con un ironico sorriso : ”Non se ne preoccupi, eccellenza, forse questi inchini sono soltanto per me.” Una sera suonò per Goethe che così riferì al critico musicale Zelter :” Il suo talento mi ha stupefatto. Ma egli purtroppo, è una personalità irriducibilmente ribelle e non ha torto davvero di trovare il mondo detestabel; il suo carattere non lo rende ricco di gioia nè per sè nè per gli altri. E’ molto da scusare invece e molto da compiangere perchè l’udito lo abbandona; cosa forse meno dannosa per il suo essere musicale, che per i contatti con la società. Egli, già taciturno per natura, lo diviene doppiamente per la sua infermità.” Goethe non nominò mai Beethoven nelle sue opere. Più che amarlo, lo temeva. E soprattutto temeva che l’impetuosa musica beethoveniana turbasse la serenità spirituale ch’egli aveva conquistato a prezzo di tante rinunce. Mendelssohn, che incontrò a Weimar nel 1830 Goethe ottantenne, racconta che il poeta non gradiva sentir parlare di Beethoven ; tuttavia si convinse un giorno ad ascoltare il primo tempo della Sinfonia n° 5 . Quell’inizio drammatico lo scosse visibilmente, però non volle palesare il turbamento e così commentò : ”E’ musica grandiosa e insensata insieme: si direbbe che la sala stia per crollare.” Ma dopo aver ascoltato il primo tempo della Quinta, Goethe rientrò a casa pallido. A cena non parlò con nessuno. Da allora non ascoltò più musica di Beethoven.
Qui sotto, Goethe s’inchina al passaggio dei reali mentre il musicista tira dritto con fare altezzoso.
E qui una poesia di Goethe:
Vicinanza dell’amata
Io penso a te quando il raggio del sole
mi raggiunge dal mare.
Penso a te quando il biancore lunare
si specchia nella fonte.
Ti vedo quando sulla via lontana
si solleva la polvere
e quando a notte là sul ponticello
passa il viandante, e trema.
Io odo te quando il mugghiar dell’onda
monta cupo laggiù.
Vado spesso nel quieto bosco e ascolto,
quando tutto è silenzio.
Sono con te: benchè così lontana
tu sei vicino a me.
Cade il sole, mi fan luce le stelle.
Oh,se tu fossi qui !
Post dedicato al caro amico Gian Paolo ( http://newwhitebear’s blog.wordpress.com// ) che ama molto Goethe e sul quale ha scritto un bel racconto di fantasia ispirandosi ad una sua storia d’amore vissuta a Roma che vi consiglio di leggere. Penso mi perdonerà se non ricordo il titolo. Voi chiedeteglielo, ne vale la pena.
Fonte: I grandi di tutti i tempi : Beethoven
Periodici Mondadori
Ludwig van Beethoven amava molto passeggiare e quindi usciva ogni giorno di casa, con qualsiasi tempo. Se il cielo era clemente si avviava in campagna, se pioveva restava in città. Camminava lentamente per le vie di Vienna, si soffermava davanti ai negozi, talvolta ne varcava la soglia per un acquisto. Entrava sovente anche in qualche caffè o addirittura nelle osterie. In mezzo alla gente comune era allegro e disteso, assai più di quanto non lo fosse nei salotti dell’aristocrazia, dove spesso si sentiva a disagio. Talvolta non disdegnava pranzare in trattoria con gli amici. Anzi ne era molto contento. Erano le ore in cui si distendeva, si abbandonava all’estro del momento, meravigliava i presenti con battute di spirito, con commenti caustici e pieni di umorismo. A volte diventava talmente allegro tanto da stupire gli amici abituati a vederlo accigliato. Come tutti i viennesi, amava passeggiare al Prater, il vastissimo parco alle porte di Vienna che, un tempo proprietà della famiglia imperiale, era stato aperto al pubblico dall’imperatore Giuseppe II. Il Prater aveva magnifici viali dove, al trotto, andavano e venivano carrozze, nelle quali intere famiglie si godevano il piacere di una corsa ad andatura dignitosamente moderata. Qua e là, dove gli alberi formavano una specie di anfiteatro, suonavano orchestre che alternavano pezzi d’opera a musica sinfonica, e a marce militari. Sotto agli alti castagni erano sistemati piccoli accoglienti caffè frequentati da un pubblico vivacissimo che dava l’impressione che fosse sempre domenica. Con il suo taccuino in mano, il grande Ludwig passeggiava senza una meta precisa, sognando ad occhi aperti ( cosa che gli capitava spesso), mescolato tra la folla, tra bambini che gli correvano incontro per offrirgli fiori. Abbastanza spesso Beethoven lasciava il Prater per ritrovare i suoi amici all’Albergo del Cigno Bianco, al ”Cammello nero”, alla ”Città di Trieste”, caratteristici locali alla moda dove, tra il fumo del tabacco e l’acre odore dell’alcool, fervevano discussioni che toccavano i più disparati temi connessi all’arte e alla vita del pensiero. Beethoven entrava; si sedeva ad un tavolo, ordinava un bicchiere di birra e ad occhi chiusi fumava una grossa pipa. Se qualche amico lo toccava su di una spalla, si risvegliava come da un sogno aprendo gli occhi , estraeva il suo ”quaderno di conversazione’ e ordinava a gran voce all’interlocutore di scrivergli ciò che voleva chiedergli. In alcune locande i musicisti si riunivano per presentare anche le loro composizioni . Capitò così che alla ”Zum wilden Mann” Beethoven facesse eseguire i suoi stupendi quartetti dal famoso complesso Shuppanzigh. Frequentando le allegre compagnie, Ludwig imparò a gustare lo champagne, anche se ricordando il padre semi-alcolizzato cercava di astenersene il più possibile, scrivendo all’amico Kuhlau che” queste cose soffocano, anzichè eccitare il mio fervore creativo”. Gli piaceva conversare di politica ( dopo la Rivoluzione francese era convinto che ben presto in Europa ci sarebbero state tutte Repubbliche), era colto, leggeva molto. Naturalmente frequentava anche i negozi di musica, famosi a Vienna, dove ogni settimana poteva incontrare gente del suo mondo, maestri, editori e dilettanti di musica. Bel mondo no, che ve ne pare? Nel prossimo post dedicato a questo grande musicista, racconterò qualcosa della sua sordità.
Il Caffè D’Argento in Spiegelgasse, litografia di Katzler
La Locanda del Cigno Bianco al mercato nuovo
Antonio capisci ora perchè mi sarebbe piaciuto vivere al tempo di Beethoven a Vienna? Mi pare si respirasse aria di cultura e fosse una città altamente vivibile… meglio senz’altro delle città di oggi convulse e piene di traffico.
fonte: I Grandi di tutti i tempi — Beethoven
Periodici Mondadori
Beethoven si trovava molto bene a Bonn, stimato e benvoluto dallo stesso principe Massimiliano Francesco, protettore entusiasta della cultura. Ma aveva un sogno : andare a Vienna ed incontrare Mozart ormai diventato un grande, per farsi da lui ascoltare al pianoforte. Così nel febbraio del 1787 a 17 anni dopo aver ottenuto il consenso per il viaggio, partì. Quell’inverno era particolarmente rigido e Beethoven imbacuccato in una pelliccia, viaggiava in una diligenza, facendo tappa in fumose locande. Fu un viaggio lunghissimo, che durò quasi un mese attraverso un paesaggio di guerra: le armate della nuova Repubblica di Francia si battevano alla conquista dell’Europa un pò dovunque. Ma Vienna in quel periodo era una città straordinariamente affascinante, ed era una tangibile espressione della civiltà del Centro Europa di quel periodo. Vi si coltivavano tutte le arti ma la musica, specialmente quella italiana, teneva il primo posto ed infatti da qualche decennio la capitale austriaca era uno dei centri principali della vita musicale europea. L’imperatore aveva fondato il Teatro Nazionale, la corte imperiale aveva la sua orchestra e nelle case patrizie vivevano artisti a stipendio fisso. Per le strade si suonavano persino gli organini. Insomma si respirava un’aria festosa e civile. Sul finire del Settecento Vienna aperta alle correnti culturali d’Europa, aveva però perso la propria personalità artistica . La musica italiana predominava, e gli stessi Haendel, Haydn, Mozart erano scesi in Italia per perfezionarsi e portare lo stile italiano a Vienna. Ma quest’ultima con la costanza dei mecenati e la genialità di vari artisti cercava di riacquistare le posizioni perdute. Si deve quindi proprio a Beethoven se la musica tedesca tornò ad essere se stessa, originale e drammatica. Alla fine del Settecento la musica non era più patrimonio esclusivo delle potenti case aristocratiche, digradando verso gli strati sociali inferiori. Si faceva musica nelle pubbliche accademie, nei teatri gremiti di popolo. E Beethoven era ben contento di fare musica per tutti. Prima che per lui però i viennesi erano interessati alla musica e ancor più alla tecnica di pianisti quale Wolfl e Hummel, con i quali il nostro si misurerà in gara per vedere tra i tre chi fosse il migliore. Comunque la prima vittoria di Beethoven avverrà il 29 maggio 1795 quando suonerà al Burgtheater, a favore delle vedove della Società degli Artisti, il suo Concerto n.2 per piano e orchestra. Era una musica nuova, profonda, una musica di ”rottura” diremmo oggi. I viennesi applaudirono soddisfatti preparando così l’ascesa al grande compositore. Tornando però all’epoca in cui diciassettenne arrivò in città , Beethoven riuscì ad essere ricevuto da Wolfang Amadeus Mozart, realizzando finalmente il suo sogno. Mozart aveva allora trentuno anni ( morirà nel 1791 trentacinquenne) ed era l’idolo d’Europa. Nonostante l’emozione il nostro improvvisò con maestria, ma Mozart ebbe il sospetto che quel tedeschino avesse imparato il pezzo a memoria. Beethoven s’ accorse della sua diffidenza, e ottenuta una seconda audizione chiese che fosse lo stesso Maestro ad affidargli un tema da sviluppare. Così avvenne. Improvvisò con magnifica bravura una serie di variazioni al tema tanto che Mozart, sinceramente ammirato, disse ai presenti : ” Questo ragazzo farà parlare il mondo di sè”. E lo accettò come allievo pur non suonando mai in sua presenza, com’ebbe a dire lo stesso Beethoven.
fonte: ”I grandi di tutti i tempi” Beethoven periodici Mondadori http://www.viaggio-in-austria.it/vienna-bernardo-bellotto.htm
Aprendo questo link troverete immagini di Vienna nel Settecento riprese e dipinte da Bernardo Bellotto pittore italiano.
Cari amici non mantengo le promesse. Sono già qui. Semplicemente però perchè sono commossa e quindi voglio condividere con voi questo mio stato d’animo. Ieri sera sono stata ad un concerto di Natale tenuto da due corali differenti dove cantava anche una nostra amica ungherese. Hanno presentato vari pezzi di repertorio classico oltre quelli tradizionali, sempre belli, natalizi. Varie volte ho ascoltato il ”Messiah HWV 56” di Handel ma stasera mi sono molto emozionata, forse complice la voce della soprano che ha cantato il ”Rejoice” con molto vigore, e allo stesso modo ascoltando ”un’Ave Maria” di Pietro Mascagni. La musica classica ha sempre esercitato su di me una specie d’ipnosi, una partecipazione talmente emotiva da procurarmi talvolta il pianto. Certi pezzi potenti come ad esempio il ”Messiah” di Handel mi prendono totalmente , ma debbo dire che l’Ave Maria di Mascagni, intermezzo sinfonico nella ”Cavalleria Rusticana”, opera ”verista” che adoro, mi è piaciuta moltissimo. Comunque ora vorrei parlarvi un attimo del pezzo di Handel.
Il ” Messiah” è un oratorio composto in inglese nel 1741, quando ormai Handel viveva a Londra già da ventinove anni. Il libretto, tratto dalla Bibbia di Re Giacomo e dai Salmi, fu scritto da Charles Jennens. La prima esecuzione fu a Dublino, il 13 aprile 1742 per poi essere eseguito a Londra l’anno dopo. L’oratorio è la sesta opera di Handel in inglese, dopo che fino al 1730 aveva solo composto opere in italiano. Il ”Messiah” consta di tre parti. La parte I inizia con le profezie di Isaia e di altri sull’avvento di Cristo concludendosi con la sua nascita . Della prima parte è il ”Rejoice greatly, O daughter of zion”. Nella seconda parte abbiamo invece rappresentata la Passione, Resurrezione e Ascensione che si conclude con l’annuncio della buona novella. Alla fine di questa parte seconda si colloca il famoso brano ”Halleluia”. La terza parte tratta del giorno del Giudizio e la vittoria di Cristo sul peccato e sulla morte. Handel scrisse il”Messiah” in soli 24 giorni e avendo completato il lavoro con la sigla manoscritta SDG ( ”Soli Dei Gloria” e cioè ” A Dio solo sia gloria”), ne nacque la leggenda che avesse composto il brano in seguito ad ispirazione divina e che, mentre scriveva lo spartito dell’Halleluia”, avesse avuto la visione del Paradiso. La partitura originale fu da lui pensata per pochi strumenti e voci, ma dopo la sua morte il lavoro fu adattato per essere eseguito da grandi orchestre e cori maestosi. Lo stesso Mozart partecipò a tale lavoro di adattamento. In epoca moderna si è però tornati ad esecuzioni più vicine alla partitura originale di Handel.
FELIZ NAVIDAD
fonti varie
http://www.youtube.com/watch?v=FcwWl5JBnoU
http://www.youtube.com/watch?v=Q6ziiLE92Zg
Ludwig van Beethoven era nato a Bonn il 17 dicembre 1770, al numero 55 della Bonngasse, in una casa dal soffitto con travi fradice e un giardinetto con edera e vite selvatica. La madre ,donna di umili origini, si chiamava Katherina Kerwerich .Figlia di un cuoco, vedova di un cameriere ,sposò Johann dal quale ebbe otto figli, di cui il primo, Ludwig,. morì quasi appena nato. Il secondo ereditò lo stesso nome del fratello diventando il grande che conosciamo , gli altri furono maschi, Carlo e Giovanni. Gli ultimi tre, una femmina e due maschi morirono giovani. Ora la madre, fu per Beethoven, colei che con la sua dolcezza rese i modi rozzi e pesanti del padre più sopportabili e all’interno della famiglia fece sempre in modo che tutti portassero rispetto a quell’uomo balzano e squattrinato. Bonn era allora una borgata di ottomila abitanti, importante sede episcopale, dominata da una cattedrale romanica maestosa come una fortezza, bagnata dal Reno, ingentilita da un romantico paesaggio di colline. In questa città, aperta alla cultura, il 26 maggio 1778 Ludwig darà il suo primo concerto in pubblico. Aveva otto anni, ma gli inviti ne indicavano due di meno perchè il padre voleva sfruttarlo come bambino prodigio. Bonn fin dal XV secolo era sede del Vescovo di Colonia e dei Principi Elettori, principi del Sacro Romano Impero, ben presto vi fiorirono le arti, vi sorse un’Università illuministica e opere di Mozart, Cimarosa, Voltaire e Schiller erano ben comprese. Ludwig van Beethoven fin da ragazzo aveva un’aria selvaggia: i capelli scomposti sul capo grosso, il corpo massiccio e tarchiato come il nonno. Una fossetta sul lato destro del mento conferiva al volto una curiosa asimmetria. Il suo carattere timido era un tutt’uno con la rettitudine mentre la tristezza si univa al desiderio d’amore. Fece la scuola pubblica elementare, e poi ginnasiale dove imparò un pò di latino, francese e molto bene l’italiano, mentre la matematica non fu da lui mai tanto apprezzata. La musica veniva da lui al contrario capita benissimo. Le crome e le biscrome non avevano segreti per lui, che amava però anche molto passeggiare nel parchi pubblici o giocare nel giardinetto di casa, o lungo il Reno. Le lezioni di musica ( violino e piano )oltre che dal padre le ebbe anche da un lontano parente, certo Francesco Rovantini. Ottimo al pianoforte, non dominò mai appieno la tecnica violinistica mentre considerava l’organo ”sovrano degli strumenti” anche se in realtà non riuscirà mai a suonarlo bene. Il primo vero maestro per Beethoven fu Cristiano Neefe giunto a Bonn nel 1779, che capì subito la grande capacità di Ludwig e che doveva essere seguito ed indirizzato alla musica non con maniere forti (vedi il padre) ma con dolcezza. D’altra parte Ludwig capì che quel maestro sarebbe diventato per lui anche un amico al quale confidarsi. Dopo qualche anno di collaborazione Beethoven potrà iniziare le prime composizioni: tre sonate,nove variazioni, un rondò, un concerto per piano.
fonte: I Grandi di tutti i tempi : Beethoven (periodici Mondadori)
Il cognome Van Beethoven significa ”dall’orto delle barbabietole”. Quindi anche se quel van (equivalente al von dei tedeschi), potrebbe far pensare ad origini patrizie, la famiglia di Beethoven,originaria di Malines nelle Fiandre,non aveva radici di nobiltà. Anzi a scorrerne rapidamente l’albero genealogico, nelle ultime generazioni non vi si trovano nemmeno ricchi borghesi: un Guglielmo van Beethoven è mercante di vino in Belgio, suo figlio Enrico Abelardo Beethoven è sarto, e il figlio di quest’ultimo che si chiamerà Ludwig, abbraccerà la carriera musicale e sarà il nonno del grande Beethoven. Nonno Ludwig è un personaggio importante nella sua vita, non solo perchè facilmente si può presumere che fu lui ” per li rami” a trasmettere al nipote la scintilla della musica, ma perchè lasciò una forte impronta nella personalità del ragazzo, che lo ammirava molto.Nonno Ludwig percorse una seria carriera di musicista. Attorno al 1730 fu cantore al Capitolo Sanctum Sanctorum a Lovanio, poi direttore di coro, ”MUSICUS” di corte, e infine con nomina del principe Massimiliano Federico, conseguì, trasferendosi a Bonn, l’incarico di KAPPELMEISTER, uno dei più ambiti riconoscimenti per i musicisti del settecento. Uomo di sicura competenza musicale e di elette virtù,non fu molto fortunato nella vita familiare. La moglie infatti, Maria Josepha Poll, era una poco di buono, dedita all’alcool, al punto che fu necessario rinchiuderla in una casa di cura. E quell’incurabile vizio del bere sarà ereditato dal figlio johann, padre del grande Ludwig .E questo padre, tenore alla corte di Bonn, era un uomo gretto , squilibrato che prediligeva più le osterie che la musica. Ma tra tutti i difetti aveva anche un pregio,e cioè aver capito la grande attitudine del figlio per la musica. In casa fu il suo primo maestro ma i suoi metodi erano aspri, insensati. Costringeva il piccolo di quattro anni per ore ed ore al clavicembalo; e se tornava di notte ubriaco, lo tirava giù dal letto perchè si esercitasse sulla tastiera fino all’alba. Ludwig pensò ad un certo punto, sotto la spietata coercizione paterna, di abbandonare la musica. Quando il nonno di Beetthoven venne chiamato a Bonn, erano i tempi dell’elettore Clemente Augusto, amante del fasto, delle belle donne, della musica. Nel suo castello si tenevano feste, drammi all’italiana. Casanova racconta di un carnevale molto vivace con le dame vestite da contadine.Clemente Augusto pagava piuttosto male i suoi dipendenti, e il nonno dovrà commerciare in vini per arrotondare il salario. La situazione migliorerà sotto l’elettore Massimiliano Federico.
Inizio qui a parlare un pò della vita, attraverso vari momenti e curiosità, di Ludwig Van Beethoven la cui opera musicale mi ha sempre affascinato. Mi piace presentarlo in questa veste di uomo al di là di ciò che ha significato per la musica pur restando non isolato da essa. Spero di interessarvi e vi aspetto alla prossima puntata
fonte : I Grandi di tutti i tempi : Beethoven ( periodici Mondadori )