Qui la sottoscritta, vestita di rosso, ai tempi del liceo con qualche amica e qualche insegnante.
Suor Lilia, insegnante di filosofia, dietro a lei, con gli occhiali, la Lacchin nostra
insegnante di matematica , che in terza liceo allestì a fine anno, ” La locandiera ” del Goldoni dove io interpretavo una delle due donnine che arrivavano alla locanda di Mirandolina, interpretata dalla mia amica Clara, alla mia destra, e dietro lei, con gli occhiali scuri ,
Novella, la nostra insegnante di italiano, diventata nel tempo grande studiosa del Leopardi. Università, conferenze, convegni, tutto sul ” giovane favoloso ”
Mi riconoscete in questa foto con tutte le mie compagne del ginnasio ?
Qui sotto invece sposina giovane e già mamma del piccolo Andrea

Settimana bianca a Fiera di Primiero. Guardate la felicità di Andrea . Si divertiva un mondo sulla neve. Ancora adesso gli è rimasta la mania di rincorrerla la neve, prendendo la macchina e andando nei paesi vicini quando la fa. . E giù a fare foto
Qui stesso traghetto dov’era mia madre per Saint Tropez
Sempre Francia. Tanti anni fa
E qui sotto ahimè, ai tempi del covid
Qui nonna e bisnonna con i nipotini, figli di Chiara, mia figlia.
Marco nato da poco. Riccardo era già in ospedale. Ancora pochi mesi e tutto
sarebbe finito.
Arianna e mia figlia
Mi porto dietro il sorriso dei vent’ anni, gli albori di una vita serena, la gioia dell’ innocenza dei nipotini, e il dolore che ora vive in me. Ci vorrà altro tempo… è ancora troppo presto per poter dimenticare
Ops, ma questo non è un presepio !!! Chi sono quei due ? Ma zio Andrea e Arianna…
E questi allora ? Ma certo, sono i nonni con Arianna… e con loro il famoso
Babbo Natale
Eccolo il presepe. Qualche scena per dare serenità. Direttamente dal duomo di Monte Porzio Catone.
Natale 2019
e questo un presepe pugliese ad Alberobello
Tutti gli scatti sono ovviamente personali, miei e del figliolo Andrea
Carissimi amici anche se ancora è tutto così strano, Natale è ormai alle porte. Sebbene questo 2020
sia solo da buttare, resta il fatto che , anche se stranamente , è giusto tenere presente che gli auguri
vanno sempre fatti, che il bello del Natale sta nella magia di un sorriso e di un abbraccio in più,
anche se da lontano. Cerchiamo di mantenere nel possibile un po’ di serenità. Che in ogni famiglia
ci sia amore da donare e da ricevere. Che la gioia di quelle famiglie di pescatori di Mazara del Vallo
sia condivisa da tutti, che ogni loro sorriso sia anche il nostro, che indistintamente si possa sempre
sperare come le loro mogli e madri hanno fatto. La speranza non deve mai spegnersi, si deve
credere che tutto cambierà. Lo dobbiamo per dare speranza ai nostri figli e nipoti. Che il Signore
con la sua nascita a breve, illumini il nostro cammino, donando spiragli di luce a ciascuno.
Che questo Natale così difficile, rafforzi l’ amore in ogni casa. A voi tutti, carissimi amici, il mio grande
circolare abbraccio a 365° gradi per comprendervi tutti
BUON NATALE
La vostra Isabella
Avrei preferito dedicarti dei versi. Ma so che poi rideresti prendendomi in giro. Come facevi sempre quando leggevi una mia poesia. Bastava un verso per cucirci sopra una battuta, una spiritosaggine. E tutti giù a ridere, compresa io che ero magari ” partita ” tutta seria. Si, mi sarebbe piaciuto caro Ricky per farti ridere ancora. Ma in realtà cosa potrei scrivere oggi se non che farti gli auguri.
Oggi i tuoi anni sarebbero 35. Nessuno di noi potrà più festeggiarti come facevamo sempre, tutti insieme riuniti. Aspettavamo che le ferie di agosto finissero per stare tutti insieme davanti ad una torta, e vederti soffiare sulle candeline. Ora faremo finta che tu ci sia lo stesso. Come davanti a quel dolce nel giorno dei tuoi 34 anni. Mai, nessuno di noi, avrebbe potuto immaginare che la tua vita si sarebbe fermata al numero di quelle candele. Ricorda che comunque, anche se la tua vita qui in terra, è finita, mai finirà nei nostri cuori. Lì vivrai per sempre . Non ti dimenticheranno mai i tuoi genitori, Paolo e Maria, Valeria tua sorella, i tuoi cugini tutti, la tua nonna Loredana, le tue zie pugliesi, tuo zio Luciano ed io caro nipote, cucciolo adorato. Auguri, caro Ricky, ovunque tu sia. Sicuramente vicino a nonno Tonino , a nonno Salvatore, a nonna Lucia e a don Vincenzo .
Bello come il sole
Aspetta, non ho finito. Ho pensato di farti un regalo. Sono sicura che da lassù sorriderai una volta in più vedendo di che si tratta. Ecco…
Guarda che spettacolo Ricky . Quante volte ti sei affacciato dal nostro balcone. Ti piaceva, con Andrea durante le feste , fumare insieme una sigaretta e guardare Roma tutta illuminata. Bello eh ? E tu sai anche cosa nasconde quel camion, cosa c’è dietro di lui…
Eccolo, tutto per te
Il tuo campo di rugby . Buon compleanno caro Ricky !!! Ti voglio bene
Il Massiccio del Grappa
Il Grappa, coi suoi aspri versanti e le sue numerose vette ha segnato la storia della Prima Guerra
Mondiale. Fronte cruciale dopo la rotta di Caporetto del 1917 divenne teatro della svolta delle sorti
del conflitto. La resistenza dell’esercito italiano costrinse l’Impero Austro-Ungarico a rinforzare qui le sue
truppe indebolendo così le posizioni sul Piave che cedettero nel 1918 durante la Battaglia di Vittorio
Veneto. Numerose le testimonianze e le ferite che il conflitto ha lasciato alla montagna, importanti da
preservare per salvaguardare la memoria di quei tragici fatti. A Cima Grappa il Sacrario Militare ospita
le spoglie di quasi 23.000 soldati di entrambi gli schieramenti. Adiacenti all’ Ossario del Grappa,
troviamo la Galleria Vittorio Emanuele III (capolavoro di ingegneria militare) ed il Museo, che
contiene numerosi cimeli, armi, testimonianze dirette dalle trincee dei soldati e gli incitamenti di
Cadorna ai suoi uomini , nonché il discorso rivolto agli stessi da parte di Vittorio Emanuele III .
Numerose le trincee restaurate per il centenario della Grande Guerra che si trovano in tutti i settori del Massiccio del
Grappa nonché i cimiteri ed i monumenti sparsi lungo tutta la pedemontana ed oltre.
Per chi volesse, lascio il sito da consultare da dove ho ripreso queste notizie
https://www.vivereilgrappa.it/it/massiccio-del-grappa.htm
Un po’ di storia
Il Monte Pertica non è certo imponente. A malapena si scorge, alto 1500 metri a nord ovest di cima Grappa, e si raggiunge facilmente, con pochi minuti di auto dal Rifugio Bassano, e una breve camminata. Un tragitto che non riserva alcuna emozione particolare, se non una vista straordinaria che nei giorni più limpidi spazia dal versante orientale dell’Altopiano di Asiago, appena al di là della vallata del Brenta, ai Lagorai e alle Vette Feltrine. Eppure, questo rilievo dall’apparenza così anonima fu uno dei campi di battaglia più sanguinosi della prima guerra mondiale. Alla fine di novembre del 1917, subito dopo Caporetto, le truppe austriache lo occuparono improvvisamente. Come Monte Tomba, a est, o l’Asolone, a sud ovest, il Pertica divenne la chiave per decidere chi avrebbe vinto la battaglia per il Grappa: se gli austriaci fossero riusciti a occupare tutto il massiccio, sarebbero sbucati alle spalle di ciò che restava delle armate italiane battute sull’Isonzo e che stavano ora tenendo disperatamente la linea del Piave. Fu così che migliaia di uomini morirono per il possesso di quelle poche decine di metri quadrati. Gli alpini del Monte Rosa e gli Schützen del 3° reggimento di Graz persero e ripresero più volte il monte nel corso di una serie di mischie furibonde e spesso all’arma bianca: alla fine, il monte restò in mano austriaca, anche se metà degli uomini che l’avevano conquistato il primo giorno di combattimenti giaceva ora morto tutto intorno o (con un po’ di fortuna) ferito in qualche ospedale da campo. La pessima nomea del Pertica non si sarebbe smentita nei mesi seguenti: divenne ben presto un settore famigerato tra i combattenti di tutti e due gli eserciti, impegnati in una logorante battaglia di posizione tra postazioni spesso distanti solo poche decine di metri, il punto più avanzato di quella lunga trincea ininterrotta che correva attraverso tutto l’Altopiano dei Sette Comuni, scavalcava il canale del Brenta e arrivava al Grappa su cui si stava decidendo molto dei destini della guerra. Infine, quando la guerra fu vinta e la mitografia ufficiale cominciò a darsi da fare per celebrare gli eroi e i luoghi epici della grande prova nazionale, il monte divenne «sacro»: «Monte Grappa tu sei la mia patria», come cantava la canzone del tronfio generale De Bono.
Qui la guerra sembra aver costruito più di quanto abbia distrutto. La Strada Cadorna tra Romano d’Ezzelino e Cima Grappa ne è un buon esempio. Fu portata a termine nei primi giorni di ottobre del 1917, e nonostante i tempi rapidi (eccezionali, se si pensa che si dovette solcare il monte con una serie di tornanti e perforare pareti di roccia viva) venne realizzata così bene da costituire ancora oggi la principale via di accesso dalla pianura. Non passeranno nemmeno poche settimane dalla sua inaugurazione che sulla cima del Grappa (o, meglio, sotto la cima) verranno iniziati i cantieri di quel labirinto sotterraneo noto come «Galleria Vittorio Emanuele». Scavato in tutta fretta nell’autunno 1917 quando sembrava che l’esercito italiano fosse davvero un naufrago in procinto di annegare, il sistema fortificato del Grappa, con i suoi cinque chilometri interamente scavati dentro la montagna, era in grado di ospitare fino a 15mila uomini ed era protetto da decine di mitragliatrici e da un centinaio di pezzi di artiglieria. Un’intricata fortezza invisibile e temibile. E ancora oggi, per chi si avventuri nei suoi corridoi, un’esperienza fondamentale per comprendere la realtà di una guerra per la cui vittoria l’Italia deve ringraziare molto di più funzionari, tecnici e ingegneri che poeti, politici e generali.
Ma il segno della memoria per eccellenza è il Sacrario del Grappa, il cui mastodontico profilo, visibile a chilometri di distanza, ricopre (e per certi versi completa) l’immagine di un monte assorbito completamente dal suo ruolo simbolico. Quando venne inaugurato, il 22 settembre 1935, era un inno alla grandezza eroica della nuova Italia fascista, uscita più grande e più forte dalla lunga prova della guerra. I suoi cinque colossali gradoni a cerchi concentrici, in cui erano stati collocati i loculi con i resti dei caduti, avvolgevano la cima del monte ricordando nemmeno troppo vagamente una fortezza, e la Via Eroica, che conduce al sovrastante “Portale di Roma” correndo tra 14 cippi in pietra ognuno dedicato ad una delle battaglie combattute nei dintorni, era un itinerario mentale e simbolico che doveva trasmettere al moderno pellegrino l’orgoglio per le grandi vittorie. Seguendo il cammino obbligato dal basso verso l’alto, i visitatori venivano (e vengono) coinvolti in un’ideale ascensione dalle tombe (primi quattro livelli) al cielo aperto (ultimo livello e cima della montagna), dalla morte alla gloria. E per non lasciare adito a dubbi sul significato bellicoso e trionfale del monumento, il giorno dell’inaugurazione le autorità e la folla giunta dalla pianura vennero accolti da due statue ciclopiche: un fante di guardia, alto oltre tre metri, sovrastato e quasi vegliato da una gigantesca statua (dodici metri) che avrebbe dovuto rappresentare «l’Italia fascista». Le due statue scomparvero subito dopo l’inaugurazione e non vennero mai più ritrovate, un’ottima rappresentazione della disciplina e del furore guerriero degli italiani dell’epoca.
Il corpo centrale del monumento, dove sono custoditi i resti mortali di 12615 Caduti, di cui 10332 ignoti, è costituito da cinque gironi concentrici, ciascuno alto quattro metri e circoscritto da un ripiano circolare largo dieci. Le spoglie dei Caduti identificati sono disposte in ordine alfabetico e custodite in loculi individuali, coperti da lastre di bronzo. Quelle dei 10332 ignoti sono raccolte in urne comuni più grandi, che si alternano alle tombe singole. Sulla sommità del monumento sorge un sacello, Santuario della Madonnina del Grappa.
Tra il 4° e il 5° girone, in posizione centrale, c’ è la tomba del generale Giardino, che prima di morire aveva espresso la sua volontà di essere sepolto lassù tra i suoi soldati. La Madonnina del Grappa, benedetta dal cardinale Sarto, poi Papa Pio X. Ora è meta di devoto pellegrinaggio la prima domenica di Agosto. Il portale Roma che sorge al termine della via Eroica è stato progettato e costruito dall’architetto Alessandro Limongelli. Sopra al portale Roma è stato ricavato un osservatorio dal quale è possibile osservare l’ampio panorama circostante e i punti di maggiore interesse storico. Nel settore a nord-est del Portale Roma, sono state riunite le spoglie di 10295 caduti austro-ungarici.
tratto da vari siti sul Monte Grappa
Ora dopo questa introduzione sul massiccio del Monte Grappa che invito tutti a visitare, vi lascio per curiosare, qualche foto. Inutile dirvi quante volte ho percorso la strada che porta fin sulla cima, quante volte sono entrata nella cappella della Madonnina del Grappa. Il Monte Grappa vive e vivrà per sempre nei miei ricordi. Un’ affezione particolare mi lega a questo luogo di memoria, iniziata quando mio padre qui ci portò la prima volta. I poveri resti di migliaia di soldati sono lì a testimoniare la bruttura di tutte le guerre e ricordarne il sacrificio per amor di patria, è un dovere che da italiani non va mai dimenticato. Ora una piccola poesia interpretando lo spirito dei nostri di allora, combattenti, ed una poesia facendo riferimento a quella di Ungaretti ” Soldati ”
Noi del Grappa
Noi siamo i soldati
del Grappa.
Quelli che
bloccheranno il nemico.
Non avanzerà.
Non potrà mai
occupare
le nostre terre.
Fischia forte
il vento
quassù.
Il freddo
è pungente.
Ma nulla
potrà,
contro di noi.
Resisteremo,
non abbasseremo
la nostra testa.
Il nemico
ancora non sa
chi ha davanti.
Saremo noi tutti
a fermarlo,
con il nostro coraggio
e amor di Patria.
Viva l’ Italia,
la nostra terra,
sempre.
Isabella Scotti giugno 2019
testo : copyright legge 22 aprile 1941 n° 633
I soldati sanno
lastampa.it
Si sta come
d’ autunno
sugli alberi
le foglie.
In attesa,
senza sapere quando
né come sara’ ,
si pensa alla morte,
fragili,
come le foglie,
che aspettano
che un alito di vento,
le porti lontano.
I soldati
tremano,
impettiti
non indietreggiano ,
e sperano
che non tocchi
a loro cadere.
Ma sanno ,
con tristezza,
che potrà bastare
un niente
per finire…
Isabella Scotti novembre 2018
testo : copyright legge 22 aprile 1941 n° 633
Poesia in neretto ” Soldati ” di Ungaretti
Per voi la canzone del Grappa
Monte Grappa tu sei la mia Patria,
sovra a te il nostro sole risplende,
a te mira chi spera ed attende
i fratelli che a guardia vi stan
Contro a te già s’infranse il nemico
Che all’Italia tendeva lo sguardo,
non passa un cotal baluardo
affidato ad italici cuor.
Monte Grappa tu sei la mia Patria,
sei la stella che addita il cammino,
sei la gloria, il volere, il destino,
che all’Italia ci fa ritornar!
Le tue cime fur sempre vietate
Per il pié dell’odiato straniero.
Dai tuoi fianchi egli ignora il sentiero
Che pugnando più volte tentò.
Qual candida neve che al vento
Ti ricopre di splendido ammanto
Tu sei puro ed invitto col vanto
Che il nemico non lasci passar.
Monte Grappa tu sei la mia Patria…
O montagna per noi tu sei sacra,
giù di lì scenderanno le schiere
che irrompenti a spiegate bandiere
l’invasore dovranno scacciar.
Ed i giorni del nostro servaggio
Che scontammo mordendo nel freno
In un forte avvenire sereno
Noi ben presto vedremmo mutar.
Monte Grappa tu sei la mia patria…
La Galleria Vittorio Emanuele III
È un’opera di fortificazione militare veramente grandiosa, realizzata in 10 mesi, a partire dal novembre 1917. Fu progettata dal Col. del Genio Nicola Gavotti per potenziare la difesa del massiccio del Grappa.
Ha uno sviluppo in galleria di circa 5 Km., consta di un braccio principale di m. 1.500, da cui si irradiano numerosi rami secondari, verso le postazioni dei pezzi di artiglieria e delle mitragliatrici, gli osservatori e gli sbocchi per sortite controffensive.
Per realizzare la galleria, ricavata al di sotto della Cima Grappa, alta m. 3 e larga da 1,80 a 2,50 m,. fu necessario asportare circa 40.000 m.c. di roccia impiegando 24 perforatrici meccaniche. Essa venne armata e dotata di impianti tecnici e logistici tali da consentire ai reparti in caverna (circa 15.000 uomini con 72 cannoni e 70 mitragliatrici) la vita ed il combattimento per lungo tempo.
dal libretto del museo vicino l’ingresso della galleria
Ingresso della Galleria Vittorio Emanuele
I cannoni posizionati per attaccare il nemico
Le cime imbiancate viste dall’ Ossario
A Pasqua ancora la neve
Lato dove sono sepolti gli austro – ungarici
il fotografo Andrea
il vento tirava forte
I cippi per ricordare le varie battaglie
La nostra bandiera
Nella cappella la statua della Madonnina del Grappa
In solitaria
Mille colori in cielo : tutti col parapendio
Ed ora uno sguardo ai cimeli che il museo ben custodisce.
foto dell’ epoca
passatempi
un po’ d’armi
oggetti vari. Tutte le foto qui presentate sono di Andrea Romani
mio figlio, il fotografo di casa
Ed ora dulcis in fundo due foto dall’ archivio di casa
Alle pendici del Grappa, il capitano Tullio Scotti, mio nonno, sdraiato a sinistra, nel centro della foto,
mentre insegna ai suoi soldati come si conquista una posizione.
Qui mio nonno il primo in basso a destra , di profilo, sul Ponte di Cismon il 4 – 11 – 1918
chessifa.altervista.org
La mia valle , i miei boschi e laggiù S. Caterina
Affacciata alla ” piccola ” finestra della ” grande ” mansarda, tutte le mattine mi mettevo a guardare se in strada, ci fosse già qualcuno dei miei amici. Sì, perché ogni volta dopo colazione, ci si riuniva per decidere cosa fare della nostra giornata. E allora aspettavo che qualcuno mi chiamasse… E puntualmente il mio nome risuonava : ” Isabellaaa, Isabellaaa”. Ero in vacanza, una ragazzina allora, e mi piaceva tutto del luogo : S. Caterina di Lusiana. Un luogo che per noi , da Bassano del Grappa, col pullmann , era l’ideale per soggiornarvi d’ estate. Ne ero innamorata. Così come di tutti i luoghi vicini, compreso, se pur un poco più distante, l’altopiano di Asiago, le malghe e tutto ciò che odorava di montagna. Fin da piccolina, passavo lì , con i nonni, con mia madre, ( mio padre restava a casa ancora a lavorare, per raggiungerci in agosto ), le vacanze. Ho perfino iniziato a muovere i primi passi davanti al cimitero, dove c’era un piccolo praticello. Chissà , se è da allora , che mi porto dietro un interesse particolare, per i cimiteri di ogni paese che visito. Un piccolo paese, S. Caterina, con una chiesa nella piazza, dove il parroco non dava tregua ai miei amici maschietti, ai quali sistematicamente tagliava il pallone che rotolava sempre, guarda un pò, fino ai suoi piedi, quando giocavano su strada. Mi faceva rabbia quel gesto, per me allora, assolutamente incomprensibile. Forse oggi sarei portata a dire, che lo faceva perché giocare nei pressi di un luogo di culto è poco rispettoso, chissà. Poco più in là della chiesa, c’era la sua casa dove la perpetua, una signorina di mezza età, con gli occhiali, il mento un po’ in avanti, coltivava un bel giardino con annesso orticello. Comunque, i miei amici, dopo il fatto del pallone , ne cercavano un altro e riprendevano, il giorno dopo, a tirarselo sui piedi, incuranti del fatto che il parroco, se colti sul fatto, lo avrebbe di nuovo fatto a pezzi.
La prima citazione di questo luogo sacro, sede della parrocchia del paese, è del 1399 quando fu permesso a un sacerdote di officiarvi , vista l’eccessiva distanza dalla pieve di Marostica . Fino al 1502 i suoi rettori furono quasi tutti di origine tedesca, segno della predominanza dell’elemento cimbro tra la popolazione. Nel 1473 il vescovo di Padova Jacopo Zen, la dichiarò parrocchiale, divenendo luogo di culto di riferimento per tutte le contrade dei dintorni, compresa Conco.
Quando quest’ultima fu dotata di una propria chiesa, le venne trasferito il titolo di parrocchiale, tant’è che nei documenti relativi alla visita pastorale del 1617 Santa Caterina viene definita «chiesa campestre, un tempo parrocchiale». Parzialmente autonoma dal 1688 anno in cui le fu concesso un proprio curato, solo nel 1882 tornò ad essere parrocchiale.
L’edificio ha subito numerose riedificazioni, in particolare quella avvenuta attorno al 1754 e l’ultima, conclusa negli anni 1960 Il campanile è stato completato nel 1950
Delle opere qui conservate, spicca la pala dell’altare maggiore, dipinta nel 1534- 35 da Jacopo da Bassano raffigurante la Madonna in trono con Gesù Bambino tra santa Caterina d’Alessandria e il vescovo veronese Zeno. Degne di nota anche alcune sculture settecentesche realizzate da maestranze locali, tra cui un angelo reggicandelabro e un Cristo coronato di spine, entrambi in pietra calcarea policroma.
Nella chiesa è conservata una Sacra Spina oggetto di grande venerazione popolare. ( Wikipedia )
panoramio.com
la parrocchia
Comunque noi eravamo una bella squadra , decisa ogni giorno , ad andare nei boschi circostanti a fare ciclamini. Era la mia passione. Lasciavamo il paese alle nostre spalle e partivamo per andare, arrampicandoci, dentro il bosco che limitava la strada. Ognuno di noi si dileguava all’interno, libero di vagare tra gli alberi, mentre il sole inviava i suoi raggi tra un ramo e l’altro. Mi sentivo intensamente partecipe di qualcosa, che aveva su di me, un grande fascino. Il sottobosco col suo silenzio mi ammaliava, mentre alla ricerca di ciclamini mi spostavo da una parte all’altra. Quando il mazzo era bello grande, tanto da stupire i miei amici, mi fermavo contenta e lo accostavo al naso per sentirne il profumo. Poi uscivo dal bosco, e mi riunivo agli altri, aspettando chi tardava a venir fuori. Poi si tornava al paese, e ognuno di noi rientrava a casa , soddisfatto del proprio trofeo. Nella piazza, dietro il campanile c’era un albergo, dove le cucine guardavano su di un prato. Spesso dopo pranzo, con un libro in mano, mi piaceva attraversare il ponte che portava su di un campo di bocce, per arrampicarmi e superando un muretto, arrivare su quel prato. Lì, sotto un grosso albero, mi sedevo comoda e leggevo. Era bellissimo, un momento di totale relax e libertà assoluta. A volte, continuando la strada che saliva, lasciando alle spalle il campo di bocce, dove con mio nonno, un appassionato, facevo tante partite, con i miei amici , seguendo un sentiero , arrivavamo sotto degli alberi di ciliegie. Qui si faceva a gara nel raccoglierle, laddove i rami ce lo permettevano, belle tonde, rosse e succose. Una meraviglia.
La mansarda dove mi trovavo con mia madre e mio fratello, era ubicata in uno stabile di proprietà di una zia, la zia Marina, sorella della mia bisnonna. Era all’entrata del paese , dove si trova tutt’ora , anche se non più di famiglia. Vicino c’era un convento di suore dove molto spesso andavo di pomeriggio, per divertirmi nel loro giardino, dove c’era una specie d’ impalcatura in ferro, avete presente gli anelli di Yuri Chechi ? Bè, togliete gli anelli e pensate a me , sulla sbarra, a penzoloni, mentre dondolandomi su e giù, a mò d’ altalena senza sedile, facevo prove di resistenza : mi erano venuti certi calli… Poi finite le ” prove ”, lasciavo il giardino mentre le suore mi davano qualche dolcetto. Vicino al convento c’era la macelleria del simpatico Willer dove andava sempre mia madre. Con lui si chiacchierava volentieri mentre con passione affettava la carne, sempre col grembiule bianco, talvolta sporco di sangue. Ogni tanto mi piaceva seguirlo, anche con mio fratello, al mattatoio. Per arrivarci si faceva una bella passeggiata , e poi lì dentro assistevo al macabro rito dell’ uccisione del bue, mentre la sua carcassa veniva sull’ uncino appesa per far gocciolare il sangue. Ero coraggiosa e per nulla turbata, anzi al contrario molto incuriosita. Dal mattatoio, proseguendo si arrivava alla famosa ” pozza”, laghetto misero, appunto così soprannominato. Di sera si passeggiava, come di giorno del resto, arrivando anche fino a Lusiana, ( dove durante una festa paesana, ricordo di aver visto i fuochi d’artificio brillare sopra la mia testa ), in assoluta tranquillità, con gli amici, mentre le stelle ci facevano compagnia, tra una risata e l’altra. Erano giorni sereni, una vita libera, senza cellulari, soltanto la voce usata per chiamarsi , cercarsi. Come quando chiamavo Adriano, il figlio dei contadini, che per venire con noi a ciclamini doveva avere il permesso dai suoi genitori : anche lui lavorava nei campi. Era bellissimo stare lì. Mai sentita meglio in vita mia. Da adulta vi ho portato anche i miei figli, per far vedere loro un paese che poco, quasi per nulla, a distanza di anni è cambiato, dove la loro madre, ogni volta che ne tocca il suolo, torna sempre adolescente.
tripadvisor.it
Se osservo
la tua foto,
sempre uguale
a te stesso,
paese
dalle piccole case,
sparpagliate
tra il verde
dei boschi,
ti rivedo
fermo
a com’eri
tanti anni fa.
E risento
le nostre voci
di fanciulli,
e mi rivedo
libera
giocare a pallone,
nel campo grande,
di terra,
vicino alla scuola.
Io,
strano portiere,
gioiosa,
e
sempre
molto attenta
a non fare entrare
in rete
quella palla.
Mi tornano
in mente spesso
i nostri giochi ,
amici cari ,
le nostre passeggiate,
il nostro andare
per boschi
a ciclamini
tutto
fermo
al tempo
in cui
ogni cosa
ci sorrideva.
Chissà come
siete cambiati,
come
cambiati saranno
i vostri volti,
così come cambiato
è in fondo
anche il mio.
Solchi sparsi,
segni che non
riescono
a cancellare
chi siamo stati
e come eravamo.
Di allora
tutto ritorna,
e nulla
nel cuore
è mutato.
Vi porto con me,
e questo conta,
memoria indelebile
di un pezzo,
importante,
della mia storia,
non ancora finita.
Isabella Scotti settembre 2018
testo : copyright legge 22 aprile 1941 n° 633
Quando nel 2012 facemmo il nostro viaggio ”on the road” in Bretagna e Normandia, non si potè fare a meno di visitare questo luogo tanto fascinoso quanto ricco di storia. E fu davvero straordinario arrivare sotto un cielo nuvoloso, e vederlo spuntare all’improvviso, in territorio normanno, per un caso fortuito, di deviazione di un fiume, quasi dal nulla. Maestoso, imponente si presentò ai nostri occhi misteriosamente, come sorgendo dall’acqua, mentre intorno in un silenzio quasi spettrale si evidenziava uno spettacolo particolare, quello di un mare, piatto, immobile immerso in una nebbia sottile, che solo qualche gabbiano poteva penetrare . Eppure ci fu un certo Henry Beyle, montanaro innamorato di città di pianura, francese esterofilo, soldato della Rivoluzione di conclamati gusti aristocratici, anticonformista nato, nonchè scrittore famoso sotto lo pseudonimo di Stendhal, che non rimase affatto colpito dalla bellezza di questo luogo, anzi. Di passaggio ad Avranches, la cittadina che fronteggia, sulla costa normanna, la celebre abbazia fortificata, liquidò il monumento con un’unica, demolitrice battuta : ”Mi è sembrato così piccolo, così meschino, che ho rinunciato all’idea di andarci”. Ma è vero che la lapidaria condanna veniva da un uomo che confessava candidamente : ”…i miei giudizi variano come il mio umore…non sono altro che impressioni…” Cominciamo ora col dire dove Mont Saint Michel si trova. Nel nord della Francia, di fronte alla Manica, la terra si apre a formare due grandi penisole, una completamente orientata a settentrione, il Cotentin, l’altra, protesa verso l’aperto oceano ad occidente: la Bretagna. Una serie di isole, le Isole del Canale, geograficamente francesi ma politicamente britanniche, occupano il vasto golfo tra le due lingue di terra. Proprio all’estremità interna di codesto golfo, là dove le coste delle due penisole s’incontrano, si apre un’ampia baia a V, dove terra e mare si uniscono per creare un terreno ”anfibio”. Qui, infatti la marea, ritirandosi, arretra di quasi dodici chilometri rispetto alla linea raggiunta in fase montante: e lascia scoperto un immenso banco sabbioso. E’ una zona strana, fantastica, dalla vita effimera, o meglio alternata. In mezzo alla baia sorgono due isolotti granitici: il Mont-Saint-Michel, dove una piccolissima cittadina cinta da mura medievali è dominata da un imponente complesso abbaziale, e la Tombelaine, ancora più piccolo e quasi disabitato. Gli isolotti, raggiungibili a marea bassa, risultano completamente circondati dalle acque quando queste salgono, due volte al giorno. Ma a Mont – Saint – Michel storia e leggenda spesso si mescolano. Così accade per quanto riguarda la posizione insulare del monastero. Nell’VIII secolo, infatti, dove ora si estende la vasta baia a V , verdeggiava una lussureggiante foresta: quella di Scissy. Dai suoi alberi emergevano due monticelli rocciosi: il piccolo faglione di Tombelaine e il grosso roccione di Mont – Tombe. Quando, nel 708 l’Arcangelo Michele, apparve in sogno all’abate Oberto e gli disse di fondare un monastero in suo onore, egli si mise subito all’opera, mandando i suoi delegati a fare incetta di reliquie ed abbellire il monastero , nell’altro grande convento di San Michele esistente nelle terre cristiane, quello di Monte Sant’Angelo in Puglia. Al ritorno degli inviati, il santuario in costruzione troneggiava non più su una verde foresta ma sui flutti. Per volontà divina dissero i monaci. Per un bradisisma, affermano gli scienziati. Nel corso del XV secolo, durante la guerra dei Cent’Anni, il conflitto che oppose inglesi e francesi dal 1337 al 1453, Mont- Saint- Michel fu una roccaforte francese incuneata nei territori inglesi. Per togliersi questa spina dal fianco gli inglesi inviarono contro il monastero una cospicua flotta, le cui navi rinserrarono l’abbazia, destinata certamente alla presa, se un improvviso e violento fortunale ( opera dell’arcangelo Michele, dissero i francesi ) non avesse scompaginato le file inglesi, sbattendo le navi contro gli scogli. L’episodio trasformò un repentino assalto in uno snervante e interminabile blocco, durato ben dodici anni .L’assedio si concluse solo quando le truppe francesi riuscirono ad infrangere il cerchio nemico, liberando ”la novella Troia”. Fu per le fortificazioni dell’isola, il più lungo, severo collaudo. Certamente la sua posizione ha contribuito a rendere inespugnabile l’abbazia. Oggi una diga, eretta nel 1877, consente di percorrere all’asciutto il breve tratto di mare che separa Mont- Saint- Michel dalla terraferma, ma in passato ci si poteva arrivare solo in barca, lottando contro la potente spinta delle maree. Con la bassa marea era anche possibile camminare sul fondo marino asciutto,col rischio però di sprofondare nelle sabbie mobili o di farsi sommergere dalle acque montanti . Ciò nonostante parecchi tentarono la sorte. Nella città di Bayeux si conserva un arazzo dell’XI secolo sul quale è raffigurata, come su un lungo fumetto, la conquista normanna dell’Inghilterra da parte di Guglielmo il Conquistatore. Una delle scene dell’arazzo mostra i Normanni intenti a combattere, durante un’azione militare in Bretagna, nelle sabbie della foce fluviale davanti a Mont- Saint- Michel. Il testo latino dice: ”Et hic transierunt flumen Cosnonis. Hic Harold dux trahebat eos de arena” ( E qui attraversarono il fiume Cuesnon. Qui il duca Harold li tirò fuori dalla sabbia. ). Il santuario è comunque, appena vi si arriva, inerpicandosi su per una stradina , una volta percorsa dai pellegrini e oggi piena zeppa di negozietti di souvenir e ristorantini, qualcosa che lascia senza fiato . Io non dimenticherò mai, una volta arrivati in cima, la sua visione, grandiosa, quella di un luogo intensamente spirituale tutto da scoprire.
Fonte : Le 100 meraviglie – Il trionfo della Fede
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E così ci ha lasciato. In ” punta di piedi” com’era nel suo stile. Uno stile garbato fatto di discrezione, educazione, gentilezza. Era ballerina, come mia figlia, solo un pò più grande. Ma quei suoi cinquant’anni li portava benissimo. Del resto era proprio bella la ”nostra” Didi. Capelli lunghi castano chiaro, grandi occhi luminosi, corpo perfetto dal quale traspariva quell’armonia speciale acquisita nel tempo con la danza, che le conferiva una dolcezza nei modi che la rendeva unica. Quando ballava era un magico momento, capace com’era di unire tecnica e sorrisi, movenze aggraziate a forme più plastiche. Era molto seria nel suo lavoro, precisa ma non disdegnava mai un aiuto laddove potesse servire. Sempre disponibile era pronta a cucire costumi, truccare le bambine più piccole, aiutarle a prepararsi per i balletti. Come insegnante era coccolata e venerata. Una persona indimenticabile. Con la compagnia di danza Gruppomagnetica di Sonia Nifosi, la nostra coreografa e insegnante di Chiara dall’età di sei anni, rappresentammo, con lo spettacolo ”Volo tra pensieri di luce”, l’Italia al festival europeo di danza contemporanea a Cipro, nel maggio del 2003. Fu quello per tutti il periodo più bello. Ottenemmo un bellissimo successo, il nostro spettacolo fu molto apprezzato dai ciprioti, e questo fu per noi una grande soddisfazione. Erano presenti le più grandi compagnie di danza, tra le quali quella inglese di Richard Alston e quella francese di Christine Bastin. Didi non fu mai sopra le righe, fu sempre dolce e discreta, anche se in quella occasione, avrebbe potuto permetterselo. E quando tornati ricordavamo a volte anche la cena con l’ambasciatore a Cipro, lei rideva sì soddisfatta ripensando al suo pezzo, ma sempre con misura e garbo perchè era umile e mai presa di sè. Poi la vita , nel tempo , cambiò molte cose. Un incidente terribile mise fine a speranze e gioie di tutti noi. Una notte Sonia e suo marito Luca mentre tornavano a casa ebbero un incidente nel quale lui perse la vita. Lei rimase in coma per due tre, settimane con frattura del bacino , asportazione della milza e altre fratture. Poi si svegliò e ricominciare fu molto difficile. La danza, tanti sogni, tutto finì così. Ora è toccato a Didi. Una leucemia non le ha dato scampo. Era tornata a Genova dai suoi ed è lì che si è spenta. Anche se non ho avuto più occasione di vederla non potrò mai dimenticarla. La ricorderò sempre ballare, eterea, armonica, lieve come un soffio di vento. Ciao Didi.
A distanza di pochi giorni debbo salutare anche una cara amica , giovane anche lei che ci ha lasciati. Ciao Mariapia anche di te ricorderò il sorriso e la voce forte. Sei stata combattiva ma non c’è stato nulla da fare. Mi dispiace tanto. Un bacio e dopo tanta sofferenza riposa ora in pace.
La vita è fatta anche di questo si sa, ma oggi sono particolarmente afflitta. Nel pomeriggio ci sarà il funerale di Mariapia sotto una pioggia battente, così sarà ancora più difficile per tutto. Sono triste, ma così va il mondo, tra alti e bassi, e non possiamo cambiare ciò che non vorremmo vivere…
Vorrei parlarti ancora, ora che non ci sei più. Ora che te ne sei andato in punta di piedi, passando dal tuo solito sonno a quello ultimo, per sempre. Ora ti vedo là, immobile, e mi fa impressione quel tuo corpicino, ormai smagrito . Non ce la facevi più, avevi perso le tue forze e ti fermavi sfinito anche solo per entrare nella lettiera. Con tutto ciò i tuoi occhi parlavano ancora, e parlavano d’amore per noi che ti abbiamo amato tanto per quasi diciassette anni. Quegli occhi che parlavano ancor prima dei tuoi miagolii. Sei stato per tutti questi anni la nostra compagnia e ci divertivi da morire quando correvi come un matto, nei tuoi momenti di euforia, scappando da ogni parte rifugiandoti nei posti più impensati. O quando entravi, tu gigante, in mezzo ai pastori del nostro presepe senza nemmeno farne cadere uno. Come potremo mai dimenticare il tuo musino che si sporgeva sulle scale, quando tornando a casa ci venivi incontro baldanzoso e felice . E quando tutte le volte che tornavamo dalle vacanze annusavi le valigie con fare sospetto per poi abbandonarti a tutte le effusioni possibili per dormire con Andrea, tuo fratello maggiore. E si perchè i lunghi viaggi in macchina non ti piacevano e dovevamo darci il cambio per non farti rimanere solo. Eri un coccolone anche con Chiara che da quando si è sposata vedevi un pò meno. Non sei stato un gatto petulante, mai un fastidio , mai dal veterinario anche se al volo ti guardava a volte mio fratello, ricordi, un veterinario sempre poco accettato da te. Solo nel tuo ultimo periodo di vita un pò tribolato ne hai avuto più bisogno. Ti abbiamo voluto tanto bene caro Tachi, eri il nostro amico del cuore, non ti scorderemo mai.