All’ alba del XII secolo, l’ ordine monastico cluniacense raggiunge il suo apogeo e vanta potenza, gloria, ricchezza. Un monaco, Robert de Molesme, reagisce a tutto ciò e decide così di tornare alla rigida Regola di San Benedetto, redatta verso il 534; la regola raccomanda l’ umiltà, la povertà nonché il giusto equilibrio tra lavoro manuale e preghiera.
Nel 1098 il 21 marzo, in una località abbastanza fangosa ma piena di cespugli di rose selvatiche sparse, egli fonda il monastero di Citeaux, presso Digione, che dà il suo nome al nuovo ordine . Ma Robert de Molesme non fu l’ unico ideatore del ” sistema cistercense ”. Con lui contribuirono alla gestazione dell’ idea, anche due altri personaggi importanti, Alberico ( in francese Aubry ), considerato il secondo abate di Citeaux ( la madre di tutte le abbazie cistercensi ) dal 1099 al 1108 , e Etienne Harding che divenne terzo abate dal 1109 al 1133. Fu proprio quest’ ultimo a codificare la regola cistercense.
Tra il 1113 ed il 1115, da Citeaux si passerà alla fondazione delle sue prime ” quattro figlie” , le abbazie di La Ferté , Pontigny, Morimond e Clairvaux. Sotto l’ abate Bernardo di Chiaravalle, che ripristina con vigore e convinzione la Regola di San Benedetto, dal 1115 al 1153 , Clairvaux diventa il centro dell’ Ordine Cistercense che si diffonde in tutta L’ Europa.
Bernardo di Chiaravalle, attaccando con violenza il fasto di Cluny indica il vero cammino come quello della povertà e del rigore. Solo il lavoro e la preghiera devono motivare i cistercensi , denominati allora i ” monaci bianchi ”. Nel 1153, alla morte di San Bernardo, Clairvaux annovera più di 160 monaci, mentre la nuova famiglia cistercense è composta da circa 350 abbazie.
Con le sue ” sorelle ” , Silvacane e Sénanque, l’ abbazia di Thoronet, è una delle tre abbazie cistercensi della Provenza. Nel 1136, un gruppo di monaci lascia l’ abbazia di Mazan en Ardèche fondata nel XII secolo, per fondare un monastero che costruiranno 15 anni dopo vicino a Lorgues, in un luogo boschivo tra il gomito di un piccolo fiume ed una sorgente. La costruzione inizia nel 1160 e prosegue fino al 1230. All’ inizio del XIII secolo, il monastero ospita una ventina di monaci e una decina di conversi. Questi ultimi erano incaricati dei lavori manuali e non erano ammessi nella sala capitolare, dove tutte le mattine i monaci si riunivano per leggere un capitolo della regola di San Benedetto e per trattare anche questioni della vita comunitaria, e dove si eleggeva anche il padre abate. Non intervenivano quindi nelle decisioni più importanti. Da qui l’ espressione ” non avere voce in capitolo ”.
foto personale Andrea Romani
Al piano superiore, dove porta questa scala c’era il dormitorio. Davanti ad ogni finestra dormiva un monaco. L’ area dei pagliericci è delimitata da una lastricatura in pietra. Ecco qui sotto il dormitorio
foto personale Andrea Romani
La chiesa si impone, con la sua facciata occidentale, per la semplicità accentuata dalla disposizione delle pietre. Come a Sénanque, il portale centrale è assente perché la chiesa non era aperta ai fedeli. Soltanto due porte laterali danno sulle navate laterali, quella dei conversi a sinistra, quella dei monaci a destra.
Foto personale Andrea Romani
Entrata
foto personale Andrea Romani
All’ interno la navata con volta a botte spezzata, comporta tre campate ( spazio risultante dall’ intersezione degli archi longitudinali con quelli trasversali – treccani ). Il coro termina in abside a volta a semicatino , formante cioè la metà di una cupola, con tre finestre a tutto sesto ( a semicerchio ) che simboleggiano la Trinità. L’ assenza di decorazioni sottolinea la purezza delle forme. Gli uffici cantati, officiati qui per l’ acustica eccezionale, ritmavano la vita spirituale dei monaci. Nell’ abside della chiesa si trova il cimitero dei monaci che venivano qui portati passando per la porta dei morti. La severa regola di povertà dell’ ordine, imponeva che i monaci fossero sepolti in un sudario bianco, senza bara né lapide.
foto personale Andrea Romani
Qui sotto scavato nel muro sud della chiesa, è visibile uno dei rari arcosoli
di Provenza. ( Dicesi arcosolio nicchia allestita nei muri delle chiese e destinata alle sepolture )
foto personale Andrea Romani
Lo spazio esterno come può si vedere è ricco di vegetazione e la pace e il silenzio sono qui sovrani
foto personale Andrea Romani
un luogo dove raccogliersi lontano dal mondo e riflettere riappropriandosi di se stessi
foto personale Andrea Romani
foto personale Andrea Romani
Questo è l’ antico edificio dei conversi
foto personale Andrea Romani
E questo è il chiostro, cuore del monastero, che collega la chiesa agli edifici della vita comunitaria. Lo spessore dei muri conferisce all’ insieme una rara austerità
foto personale Andrea Romani
Qui sotto il parlatorio, passaggio tra il chiostro e il giardino esterno, unico luogo dove i monaci potevano parlare. Qui si dividevano i compiti prima di andare a lavorare i campi.
foto personale Andrea Romani
foto personale Andrea Romani
All’ interno del chiostro questo padiglione esagonale dove si trova una bella fontana o lavabo dove i monaci si lavavano
foto personale Andrea Romani
Foto personale Andrea Romani
Questo sopra uno scorcio della dispensa, dove i monaci producevano olio d’ oliva e vino, principali risorse dell’ abbazia.
Vista dall’ esterno
esterno dell’ abbazia
due turisti fanno una breve sosta ammirando il luogo e l’ abbazia
giardino del chiostro foto personale Andrea Romani
Granaio delle decime Foto personale Andrea Romani
Foto personale Andrea Romani
L’ abbazia del Thoronet esprime l’ essenza stessa dell’ arte cistercense, fatta di povertà estrema, purezza delle linee, semplicità dei volumi, essenzialmente dettati dall’ organizzazione della vita comunitaria. Per questa ragione ha ispirato generazioni di architetti, come testimonia Fernand Pouillon
nel romanzo ” Les Pierres sauvage ”. Con l’iniziativa ” Les lecon du Thoronet ”, ogni anno, un grande architetto contemporaneo, ( Eduardo Souto De Moura , Patrick Berger…) è invitato a compiere una riflessione sugli edifici e a realizzare un intervento reversibile.
Centre Des Monuments Nationaux – Abbaye du Thoronet
Tutte le foto sono di mio figlio Andrea Romani
Ho aspirato
i suoi odori e profumi
una mattina,
tempo fa,
d’estate.
Passeggiavo,
quando ancora
non pulsava
quella vita vivace
che la caratterizza,
lungo il mare,
in compagnia
di una brezza leggera,
che mi sferzava appena
il viso.
Ascoltavo
il rumore delle onde
che s’infrangevano a riva
e osservavo
i gabbiani,
con le loro ali aperte,
planare sulla spiaggia
emettendo il loro grido
inconfondibile.
Ad un tratto
il primo odore
intenso,
al porto.
Odore di nafta,
di motori accesi
di yacht
che si muovevano
per prendere il largo.
Uno vicino all’altro
bianchi, imponenti
lucidati a specchio
per offrirsi in tutta
la loro opulenza
a passanti curiosi.
Mentre dalla vicina boulangerie
arrivava il profumo
dei croissants ancora caldi
mescolato a quello
delle lunghe baguettes
fragranti.
E ancora
sempre camminando,
altri profumi,
altri odori.
Quello delle erbe provenzali,
che fanno
di alcuni piatti francesi
una prelibatezza.
O il profumo,
pungente
della lavanda,
che si mescolava
alle fragranze fiorite
della violetta, del gelsomino
della mimosa.
E poi,
quel profumo di mare,
aspro e forte,
quel sentore unico
di pesce fresco,
viscido, dal colore argenteo.
Odori e profumi
nell’aria
che si sommavano
così, all’infinito.
Tutti,
in una mattina d’estate.
Isabella Scotti
Cari amici, sono tornata. Ho lasciato una splendida giornata di sole e mi sono trovata nella tempesta. Abbiamo passato questi giorni come al solito con i nostri amici che hanno casa a Cannes. Abbiamo portato con noi anche mia madre che per vari motivi non era più tornata in Provenza da tempo. Tutti insieme abbiamo goduto di una bella vacanza facendo anche un bel percorso di circa tre ore in mezzo ad una vegetazione ricca e variegata. Ringrazio la nostra cara amica Florence che riesce sempre a stupirci con itinerari nuovi benchè si frequenti ormai la regione da ventiquattro anni. Questa, come ho già detto in altri post, è una terra che oltre al mare offre molto altro. E noi ne abbiamo conosciuto ogni aspetto . Ho voluto quindi dedicare a Cannes , che mi piace per cento motivi, non ultimo per il festival del cinema che mi ha dato la possibilità di vedere da vicino, donne tenetevi forte, BRAD PITT, e, uomini tenetevi forte, NICOLE KIDMAN, questo ricordo affettuoso. Un caro abbraccio a tutti. La vostra cara amica Isabella
”Bevete solo i vini migliori. Bevete vini forti. Evitate
nel modo più assoluto le acquette e gli svaporati.
Evitate la feccia.”
”Trattato sul buon uso del vino” di Francois Rabelais (1494- 1553)”.
Ambros Bierce (1842-1914) scrittore, giornalista statunitense, parlava dell’astemio definendolo un” debole che cede alla tentazione di negarsi un piacere.” E un vecchio detto dice ”Giornata senza vino , giornata senza sole”. Tutto ciò per introdurre l’argomento che dall’ultimo post avevo promesso di trattare : il vino, ma quello francese. Eravamo rimasti in Provenza, per la precisione nel Vaucluse e proprio qui dalle rive del Rodano ai pendii del Luberon la lunga storia del vino si esprime attraverso i vari linguaggi del gusto e del colore. E la si scopre magicamente immergendosi in itinerari dove la vita genuina dei vignaioli rapisce e contagia. E il vino in queste zone è prima di tutto storia e poi piacere. Per capire allora l’importanza che assume questa bevanda in terra francese cominciamo con un pò di storia.
La valle del Rodano nata vari secoli fa dallo scontro tra il Massiccio centrale e le Alpi, è attraversata dal fiume omonimo che nasce nelle Alpi svizzere e sfocia nel Mediterraneo in terra francese nei pressi di Marsiglia. La regione si divide in due parti la valle settentrionale e quella meridionale. Nel nord già nel I sec. a. C il vigneto faceva concorrenza a quelli italiani. E’ di questo periodo la costruzione della città gallo-romana di Molard, la più importante cantina di vinificazione romana, fino ad oggi identificata nei pressi del Rodano a Donzère. In questo periodo si sviluppano anche le botteghe di anfore destinate al trasporto del vino e alle salse di pesce. Le scoperte archeologiche di terreni adatti alla coltivazione di vigneti, accompagnate a studi storici, provano che il vigneto ” rodaniano ” è di gran lunga anteriore ad altri e che i Romani nelle loro risalite lungo il fiume, furono capaci di dare ad esso impulso commerciale. La valle settentrionale produce vini più rossi che bianchi con una differenza basilare rispetto a quella meridionale, e cioè l’utilizzo di un solo tipo d’ uva . Nel sud prevale invece l’assemblaggio di più uve come nel caso di Chateauneuf- du-Pape dove addirittura possono essere utilizzate ben tredici tipi di uve diverse, sia rosse che bianche. Delle due aree la più celebre è quella settentrionale poichè qui si trovano due delle più grandi denominazioni dell’intera regione : Cote- Rotie e Hermitage. Proprio i vini di tale denominazione hanno consentito una maggiore riconoscibilità ai vini della valle del Rodano così da competere con quelli più blasonati della Borgogna e del Bordeaux. Quando nel medioevo i papi s’installarono ad Avignone apprezzando molto il buon vino e la zona, incoraggiarono la piantagione dei vigneti ed ecco quindi lo sviluppo sempre più ricco di questa bevanda fino ai giorni nostri . Lungo la valle ” le strade dei vini” sono indicate attraverso cartelli segnaletici : itinerario azzurro, indaco, seppia, malva, turchese e per ogni circuito sono proposte cantine qualificate da una a tre foglie di vite secondo la qualità dell’accoglienza e il livello di prestazioni offerte. Quest’anno con i nostri amici ci siamo recati in una di queste cantine, ubicata al centro di un’ area coltivata , dove un simpatico vignaiolo con barba e cappello in calzoni corti, ci ha accolto e accompagnati all’interno per offrirci dell’ottimo vino da degustazione. Sotto gli alberi della fattoria, in un grande capannone un altrettanto grande trattore per lavorare la vigna ed altri grossi utensili. La voglia di rimanere lì, lontano da tutto e tutti per rimanere immersi in una vita totalmente diversa da quella alla quale siamo abituati, dirò che era tanta. Anche perchè il vignaiolo sopra la cantina aveva la sua abitazione, pensate un pò che bellezza, lavoro e riposo insieme, una manna. Comunque per tornare al vino, beviamolo sì ma con moderazione, anche poco ma buono.
fonti varie , e alla corte di bacco.com
Chi si reca per la prima volta in Provenza, non può far altro che innamorarsene. Così è capitato a me e se avete visto il film ”Un’ ottima annata” con Russel Crowe e Marion Cotillard, capirete di cosa parlo. In quel film c’è tutto ciò che è Provenza: colore, profumo , vigna, frutteto e una vita fatta di piccole cose, dove l’uomo può ritrovare se stesso. Nei villaggi che ho visitato da nord a sud, da est ad ovest, ho respirato un’aria diversa lontano dal traffico delle grandi città, dal caos che tutti noi viviamo ogni giorno. E di questa terra, che è diventata un pò anche la mia e alla quale sono molto legata, voglio oggi parlare. C’è un dipartimento di questa regione che amo particolarmente: il Vaucluse. Esso racchiude, come in uno scrigno , gioielli a non finire, a cominciare proprio da quei villaggi medioevali, di cui parlavo prima, alcuni riconosciuti come ” i paesi più belli di Francia”, di cui ben quattro nel Luberon ( il cui Parco Naturale Regionale è classificato dall’Unesco ”Riserva della biosfera” ) spesso arroccati con il loro castello su di uno sperone roccioso come Gordes o immersi come Roussillon in uno scenario dove la terra di colore rossiccio che lo circonda, si mescola alle facciate delle sue case dallo stesso colore, per arrivare fino ai ” mercatini d’antiquité”, dove si trova di tutto, dalle posate d’argento, ai libri antichi, agli oggetti più strani, e ancora vigne e frutteti come nel film su citato. Il Vaucluse è una terra dai caldi colori, riposanti, dove d’estate, quando il caldo si fa sentire, c’è la siesta, come momento in cui gustare il piacere dello stare in casa, l’antica ”bastide” provenzale, dove la penombra accoglie e ristora , mentre il canto delle cicale stordisce assieme al profumo della lavanda. Nei giardini vasi in terracotta pieni di fiori, all’interno mobili dall’aspetto antico ma con un tocco di magico colore, giallino, bianco, lavanda, e sui letti coperte in piquè fiorate. Tutto riporta ad una vita tranquilla, dove anche il più piccolo artigiano ha ancora il suo spazio riconosciuto e apprezzato. La Chambre des Metiérs et de l’Artisanat de Vaucluse ( camera dei mestieri e dell’artigianato di Vaucluse) ha dato il giusto risalto al lavoro di ebanisti, artigiani del ferro, vasai e ceramisti. E nei musei di cui è ricco questo territorio, troviamo le storie da cui hanno avuto origine la variegata maiolica, i ‘‘santons” statuine che ornano i presepi provenzali e tutto ciò che ricorda lo spirito provenzale proprio del Vaucluse. L’Isle-sur-la-Sorgue è la capitale del commercio delle antichità, e occupa oggi il secondo posto dopo Parigi, contando circa trecento tra antiquari e decoratori. Tutte le domeniche, curiosi ed artigiani, si ritrovano, come abbiamo fatto anche noi , sul lungofiume della Sorgue, dove da trent’anni si organizza il mercato di anticaglie. Per chi ne vuole sapere di più consiglio il sito www.oti-delasorgue.fr Niente manca in questa terra, dove tutto riporta ad una vita di altri tempi. I Romani per secoli hanno dominato in questi luoghi, lasciando tracce importanti, come in una città dal nome evocativo, Vaison la Romaine, ricca di resti, opere statuarie, con un ponte romano che collega la città bassa con la città medioevale. Orange, con l’unico teatro romano in Europa ad avere conservato il muro di scena (37 metri di altezza e 107 metri di lunghezza ) dichiarato Patrimonio mondiale dell’umanità dall’Unesco. Poi ci sono i castelli. Non so quanti ne abbiamo visitati, ognuno con la propria ricca storia e tutti rigorosamente dotati di splendidi giardini. Ad Avignone , capoluogo del Vaucluse e famosa per essere stata la città dei papi, proprio quest’ultimi incoraggiarono la pittura. Qui sono nati pittori come Joseph Vernet (1714-1789) e qui soggiornarono pittori anche italiani come il Botticelli e scultori che abbellirono con le loro opere palazzi e chiese. Paesaggi paradisiaci che non potevano non influenzare anche poeti e scrittori. Sulla riva sinistra della Sorgue sorge un villaggio, Fontaine de Vaucluse, il posto più romantico che si possa immaginare, visto che qui soggiornò Francesco Petrarca e dove scrisse, dedicandoli alla sua Laura, i versi ”Chiare, fresche e dolci acque…” .Qui si trova la sorgente della Sorgue che sgorga ricca per raccogliersi, acqua cristallina, in una specie di cavità prima di diventare fiume impetuoso. Le acque e lo scenario attorno, come ci testimonia il Petrarca , sono uno spettacolo unico. E il percorso che si segue per arrivarvi, romantico ed idilliaco. E poi c’è la campagna, dove i pastori provenzali per ripararsi la notte dal freddo costruivano delle capanne a punta, tutte in pietra, senza malta, le famose ”Bories” di cui Gordes è testimonianza. E l’acqua? Elemento fondante della cultura provenzale, essa è sempre stata al primo posto sia per dissetare, vedi le tipiche fontane presenti in ogni villaggio, talvolta ubicate all’ombra di grandi platani, sia per dare la possibilità , attraverso grandi lavatoi, di lavare panni all’aperto , cioè fuori casa. Pernes les fontaines ne ha addirittura quaranta, la maggior parte risalente al XVIII secolo, tra le quali la Fontana del Cormorano, la Fontana della Luna, e la Gran Font. E le chiese allora? Ciascuna con il proprio campanile, spesso ornato da una torre campanaria , in ferro decorato, per non renderlo troppo suscettibile al famoso Mistral che in queste zone soffia forte. Ecco, per ora mi fermo qui. Ma riprenderò il discorso perchè manca ancora una cosa di cui voglio parlare: il vino.
fonti varie
Quando le ferie si concludono c’è sempre una vena di malinconia che aleggia nell’aria. Per me, che adoro viaggiare, è sempre un tornare a casa troppo presto. Anche quest’anno, per fortuna, è andato tutto ottimamente. Abbiamo una coppia di amici con i quali da vent’anni, andiamo d’estate alla scoperta di villaggi uno più bello dell’altro nel sud della Francia. Lei parigina, lui amico di vecchia data di mio marito, hanno casa a Cannes, e da questo luogo, assolato, al quale facciamo ritorno dopo i nostri viaggi per godere della sua vitalità e del suo mare, siamo sempre partiti per viaggi tipicamente ”on the road”. Formula tre o cinque giorni al massimo, percorrendo strade provinciali , tra vigneti e campagna francese, pernottando in hotel di charme, abbinando tra loro gastronomia, cultura, paesaggi. La mia amica Florence è una ”maga” nell’organizzare ad hoc ogni cosa. Affidandosi con maestria alle carte stradali è il nostro ”tom-tom” di fiducia, ed una guida perfetta per illustrare e raccontare i modi di vita francese. La Costa Azzurra, zona da noi ormai ben conosciuta, affascina con i suoi colori,con la bellezza di una natura varia, tipicamente mediterranea,con gli scorci marini di luoghi fascinosi. E continua a distanza di lunghi anni, ancora oggi ad esercitare un ruolo di primaria importanza come meta turistica. Essa ha sempre simboleggiato, anche attraverso il cinema ad esempio, dove il famoso film di Hitchcock ”Caccia al ladro” con Cary Grant e Grace Kelly, ne è stato una prima testimonianza, quella vita mondana ed internazionale che l’ha resa famosa nel mondo. Ed ecco quindi quel grande interesse da parte di visitatori i più variegati. In realtà, già prima della rivoluzione e delle guerre napoleoniche, si viaggiava molto nel sud della Francia. Lo scrittore Tobias Smollet, raccontava le sue avventure, nel 1763. percorrendo la regione. Il viaggio, ad esempio, da Parigi a Nizza raccontava che fosse piuttosto disagiato. Esso richiedeva infatti parecchi giorni e ciò era essenzialmente dovuto al fatto che i mezzi di trasporto erano piuttosto lenti,poco confortevoli, e avrebbero in realtà scoraggiato chiunque dal prenderli. Tuttavia ciò non sembrava essere un problema, visto che all’epoca della rivoluzione, già un centinaio di famiglie passavano l’inverno in riviera, soprattutto a Nizza. E proprio qui, i primi frequentatori inglesi della città, costruirono quella famosa strada che ancora oggi porta il nome di ”Promenade des Anglais”, dando anche il via alla nascita di una comunità che portò alla regione il suo primo sviluppo commerciale. Nel 1863, arrivò a Cannes la ferrovia ( chemin de fer), un anno più tardi a Nizza e nel 1868 raggiungerà anche Monaco e Mentone. Il risultato di ciò fu spettacolare. Il lungo viaggio da Parigi a Nizza divenne un piacevole intermezzo di due giorni, e quasi subito il numero dei turisti aumentò, così pure la loro categoria sociale. Per la prima volta ad esempio lo zar Alessandro II, arrivò a Nizza e questo lo stesso anno dell’inaugurazione della ferrovia. A distanza di sessant’anni ci sarà un treno, il celebre ‘‘Train bleu” in grado di trasportare lussuosamente da Calais alla Costa azzurra chi ovviamente poteva permetterselo. I primi turisti che invece si affacciavano sulla costa, erano senz’altro meno fortunati. Infatti non disponendo ancora la ferrovia di treni dotati di letti, essi erano costretti, ahimè, a pernottare lungo il percorso in hotel, interrompendo così il viaggio che diventava un pò faticoso. Ma gli arresti notturni non scoraggiarono i viaggiatori, soprattutto inglesi, nell’arrivare d’inverno e stabilendosi come florida comunità. Fu così che giornali inglesi e persino un club di cricket fondato a Cannes nel 1887, diedero ad hotel e negozi un’aria da ostentare, decisamente britannica.Nel 1882 arrivò anche la regina Vittoria che visitò Mentone, Cimiez, Gourdon ed infine si stabilì a Grasse, dove tornò ogni anno fino al 1898. Anche la sua famiglia continuò la tradizione di venire in Costa Azzurra, che cominciò ad attirare sempre più visitatori. Dopo lo zar Alessandro, tutta la nobiltà russa aveva portato splendore e ricchezza ancor più della comunità inglese. E all’inizio del novecento, i grandi nomi dell’arte russa si aggiunsero a quelli della nobiltà, come compositori e danzatori, facendo di Monaco il centro mondiale del balletto . Fino agli anni venti però era la stagione invernale ad essere preferita rispetto all’estate, e ciò per svariate ragioni. Si credeva ad esempio che le estati calde facessero male alla salute, le zanzare imperversavano ovunque e gli alimenti non si conservavano bene. Ma ecco che la scoperta del DDT e del frigorifero, risolsero la faccenda mentre ci vollero gli americani per apprezzare l’estate. Fu un certo Frank Gould a capire il grande potenziale di questa costa costruendo il famoso villaggio di Juan Les Pins come dominio riservato agli amanti del sole. Pressappoco nello stesso periodo Gerald e Sara Murphy, una ricchissima coppia di americani espatriati ,giunti in riviera invitati da Cole Porter, famoso musicista, acquistarono una villa ad Antibes che diventò luogo di ritrovo per gli artisti americani. Scrittori come D. H. Lawrence, sepolto a Vence, avevano già saputo apprezzare la bellezza della costa. Ma fu con l’arrivo di personalità come Isadora Duncan, grande danzatrice, o di Hemingway, e ancor più di Zelda e Scott Fitzgerald che l’immortalò nel suo romanzo ”Tendre la nuit” (Tenera è la notte), a farla decollare come una delle mete estive più ambite in Europa. E tutto continuò ancora fino al 1929, anno in cui la coppia tornò in America. Ben presto la seconda guerra mondiale,avrebbe, ahimè, chiuso il sipario su questa zona ridente, ma in tempo di pace essa lo riaprì, e senza più inglesi e americani, tornati a casa propria, fu pronta con quello charme di cui i francesi sono sempre stati dotati, ad accogliere chiunque volesse tornare a visitarla.
Rielaborazione e traduzione dal francese da me effettuata dopo aver attinto da svariate fonti fornitemi dalla mia amica Florence .
Che bello viaggiare. Trovo che il viaggio sia una delle cose che gratifichi di più l’essere umano. Ce ne sono in realtà ben più importanti, ma il viaggio è uno stato d’animo che c’è o non c’è. E’ un sentirsi liberi di conoscere il mondo, di andare e raggiungere luoghi sconosciuti, osservare la gente fare cose di cui tu non sei a conoscenza, scoprire nuove culture. E’ ascoltare e spesso non capire altre lingue, visitare città dal fascino antico, apprezzare lo stare immersi nella natura in silenzio. Il creato è così variegato che ognuno può trovarvi risposte alla propria voglia di curiosità. Ho viaggiato soprattutto in Francia avendo un punto di appoggio da cui poter partire, e ciò mi ha dato l’opportunità di visitare e amare città e paesi indimenticabili. Il sud offre molto sia per il clima mite, a volte direi anche piuttosto caldo, e per l’atmosfera rilassante e ospitale tutta da provare. L’aria di provincia che si respira in queste zone, le soste nei bar dove gustare il ”pastis” e gradevoli aperitivi, all’ombra di immensi platani in piazzette dove assistere a partite di bocce, è avere l’opportunità di ritrovare un gusto naturale di vita, fatto di cose semplici e piacevoli. Direi che comunque, andrebbero viste quasi tutte le zone disponibili, perchè in ognuna troverete qualcosa che non potrà non conquistarvi . Carcassonne, città fortezza unica nel suo genere, Albi, città degli eretici con la basilica di Santa Cecilia in mattoni rossi alta fino quasi a toccare il cielo,una cosa mai vista e città natale del pittore Toulouse Lautrec. E la Camargue, con i tori al pascolo che guardano in lontananza con fare un pò superbo, il fotografo di turno che li vuole immortalare. Ma l’anno scorso ho lasciato il sud per dirigermi, su consiglio di mio figlio, altro amante del viaggio,in Bretagna e Normandia. Itinerario da lui consigliato e studiato nei minimi dettagli, orari compresi di arrivo per le varie tappe. Un viaggio con mio marito ”on the road”, rigorosamente in macchina, seguendo la via dei pellegrini per Santiago di Compostela, arrivando al santuario spettacolare di Rocamadour, puntando su Orlèans e arrivando a Saint Malò città marinara per eccellenza della Bretagna. Incantevole. E poi quel Mont Saint Michel, impossibile parlarne, solo da vedere. Ho tenuto un diario di quel viaggio, giorno per giorno abbandonandomi alle sensazioni che provavo incontrando paesi e città ricche di storia come Caen, Rouen, senza dimenticare l’emozione di quelle spiagge normanne in cui sono morti tanti giovani nel famoso sbarco della seconda guerra mondiale. Ho assaporato cibi particolari, come la famosa ”galette bretonne” , una specie di piadina da farcire come si vuole, con farina di grano saraceno,e le ostriche ottime di Bayeux. Ho percorso chilometri su strade solitarie, capitando in trattorie ,abituali soste per camionisti, costeggiando campi immensi di grano . Un viaggio unico, indimenticabile, da tenere sempre nel cuore.
Ho visto un servizio al telegiornale che parlava di Parigi e che mi ha colpito. Si parlava di come fosse piena di turisti, accaldata, molto confusionaria e soprattutto uguale a tutte le altre città europee in questo periodo. E allora mi sono chiesta: possibile che la grande ” ville lumière” abbia perso quella ”patina” di romanticismo che la rendeva unica? Quel fascino un pò misterioso d’altri tempi? Io l’ho conosciuta andandoci in viaggio di nozze ed era giusto allora viverla per me, in maniera del tutto romantica, sia perchè parliamo di trentotto anni fa e le passeggiate sul lungosenna si facevano piano, osservando il fiume, i ”bateaux mouches” e respirando quell’aria un po’ umida di settembre, sia perchè ero totalmente innamorata, oltre che di mio marito, proprio di Parigi , fin da quando, un’insegnante del ginnasio, era stata capace di trasmettermi la passione per tutto ciò che era francese. Ho sempre avuto quindi nel cuore questa città ricca di storia, così aperta ad artisti , pittori, poeti. Montmartre da una parte e al di là del fiume Montparnasse, erano i quartieri dove la cultura di fine ottocento e primo novecento, si incontrava e prolifica dava vita ad opere indimenticabili. Scrittori, frequentatori di locali famosi come ”Le chat noir” ad esempio, ritrovo per artisti di ogni sorta, s’incontravano e seduti ai tavolini di bar si scambiavano opinioni. Pittori, le cui tele ricche di dettagli e colori raccontavano sia di Parigi che dei suoi dintorni. E poi la musica , unica, che adoro, voci che mai scorderemo: Edith Piaf, Jacques Brel, Yves Montand. Canzoni come ”La vie en rose”, ” Ne me quitte pas”, ”Les feuilles mortes”. Senza dimenticare tutti gli altri : Aznavour, Dalida, Holliday e cento ancora. E’ impossibile poter dire tutto di questa città, raccontarla sarebbe come scrivere un trattato, a me interessa solo che non si omologhi al resto di un mondo troppo caotico, privo di regole e personalità, che le porterebbe via quel fascino che anche il commissario Maigret rimpiangerebbe.
Di fronte ad episodi di pura follia rimango esterrefatta. Ho sempre pensato che l’arte , in questo caso parliamo di pittura, riuscisse o perlomeno avesse il potere di riuscire a sensibilizzare anche i cuori più duri. Davanti ad un quadro non puoi rimanere di ghiaccio. L’occhio che osserva con interesse ciò che ha davanti, vede nel suo insieme l’opera, colpito prima di tutto dal soggetto trattato, sia esso ritratto , paesaggio o figure emblematiche, per poi passare, visivamente attratto dal colore, ad analizzare ogni dettaglio di ciò che ivi è rappresentato. Personalmente sono sempre rimasta affascinata di fronte un quadro di Monet, di Matisse, di Picasso. La pittura impressionista ( anche se ovviamente è un discorso soggettivo, perchè ciascuno, guardando un quadro, reagisce con la propria sensibilità) è probabilmente la più immediata, forse più di quella di Picasso, per il suo attenersi ad una vita reale fatta di colori e luce, che dovrebbe, ipoteticamente,risvegliare almeno un minimo interesse. Dico ipoteticamente, in quanto il caso che riporta alla follia di cui sopra, smentisce ogni mia convinzione. Può una madre amare così tanto un figlio ladro, autore di un furto al museo di Rotterdam di opere di artisti qui sopra menzionati, capolavori che sono di tutti, per poi, convinta di cancellarne le prove, dare fuoco e ridurre in cenere tali realizzazioni? Questo è avvenuto. Non c’è stato colore, luce ,paesaggio,volto che abbia in lei stimolato una benchè minima reazione positiva, quella che non può non risvegliare la vista di un bel quadro. Mi domando cosa avrà provato nel fare una cosa del genere o se avrà potuto versare una lacrima vedendo svanire nel nulla simili capolavori. Non sapremo mai se questa donna sia stata, nel suo gesto, mossa più dall’amore per suo figlio o dall’insensibilità e ignoranza, resta il fatto che il mondo è stato defraudato da ciò che un’opera d’arte può regalarci ogni volta che ci poniamo di fronte ad essa: il bello e l’armonia.