Buongiorno carissimi. Oggi, voglio lasciarvi in compagnia di una lettera d’ amore, una poesia, un dipinto e accompagnarvi per mano, facendovi sognare , in un paese che sarebbe forse scomparso per l’ abbandono di tanti suoi giovani, trasferitisi per lavoro o studio, se due fratelli col loro cugino non avessero avuto nel 2017 l’ idea di trasformarlo , attraverso murales colorati, nel ” paese delle fiabe ” : Sant’ Angelo di Roccalvecce in provincia di Viterbo, poco distante dalla famosa Civita di Bagnoregio.
Attraverso foto di questo paese, rivivrete l’ atmosfera giusta per tornare piccini. Penso che oggi, con tutte le difficoltà da affrontare , possiamo permetterci di dimenticarle per un po’ sognando. Non siete forse d’ accordo con me ? Allora si comincia, immergetevi prima nella lettura e poi…
LETTERA D’ AMORE
Come sei lontano amore mio. Sei partito solo da pochi giorni e già mi manchi, terribilmente. Vorrei che le notti , senza stelle, non mi mettessero troppa paura. E invece tremo a star sola, senza te . Sarà stata la pioggia di questi giorni a mettermi malinconia , ma sapessi che vuoto hai lasciato.
Ogni notte chiudo gli occhi per vedere te, immaginandoti qui sdraiato , abbandonato sul cuscino, io, rannicchiata tra le tue braccia a cercare le uniche labbra che voglio e so baciare. Mi piace la nostra intimità, quello stare soli, stretti, anche senza parlare, anche senza fare all’ amore. Mi sento sicura con te al mio fianco, e più posso guardarti mentre piano ti addormenti, confondendo il tuo respiro col mio, più ti amo, con dolcezza, con tenerezza.
Anche oggi fuori piove, piccole gocce continue imperlano i vetri. Mette una tristezza la pioggia, dovrei uscire ma non ne ho voglia. Forse più tardi. Preferisco rimanere qui a scriverti, è come se tu mi fossi accanto , ti sento vicino. Finirà presto questo nostro star lontani , vedrai.
Aspetto trepida il tuo ritorno. Stringerti a me di nuovo, sarà la gioia più grande. Ci ameremo fino al mattino.
Sono qui, caro, torna
Sempre tua
Cristina
Isabella Scotti ottobre 2020
testo : copyright legge 22 aprile 1941 n° 633
Incipit in neretto dalla canzone di Giusy Ferreri ” Voglio te ”
CHI ERI IN REALTA’ ?
iltermopolio.com
Non ho risposta
e
non mi manca
quello che mostravi
di essere,
mi manca quello
che pensavo
tu fossi.
Mi sono sbagliata,
ho amato
un’ altra persona ,
quella
che non eri tu.
Che delusione
per me
comprendere
questo.
Quanto voler
apparire
in te,
senza in realtà
essere.
E io stupida,
caduta
nel tranello
di una sembianza
che solo
nella mia mente
esisteva.
A ripensarci ,
avrebbe potuto
essere
un grande amore
il nostro,
se la menzogna
non avesse avuto
il sopravvento.
Ora
sono qui
senza te,
ho aperto
gli occhi,
rifuggo
ogni meschinità,
ogni falsità.
Isabella Scotti ottobre 2020
testo : copyright legge 22 aprile 1941 n° 633
Questo quadro , dove Arianna osserva intorno a lei la natura durante una gita , è del nonno pittore , che lo ha dipinto , riprendendo il tutto dalla foto da lui scattata alla nipotina durante una gita, questa estate.
E ora abbandoniamoci al sogno…
Foto di Andrea Romani
Foto di Andrea Romani
Foto di Andrea Romani
foto di Andrea Romani
foto di Andrea Romani
foto di Andrea Romani
foto di Andrea Romani
foto di Andrea Romani
foto di Andrea Romani
foto di Andrea Romani
foto di Andrea Romani
foto di Andrea Romani
foto di Andrea Romani
foto di Andrea Romani
foto di Andrea Romani
Penso che avrete riconosciuto ” Pinocchio ”, ” La piccola fiammiferaia”, ” Peter Pan ”. Un mondo fatato che sembra davvero a portata di mano. Un ‘ immersione che vale la pena fare. Ed ora qualche scorcio anche di Civita di Bagnoregio
foto Andrea Romani
foto Andrea Romani
foto di Andrea Romani
foto di Andrea Romani
foto di Andrea Romani
foto di Andrea Romani
foto di Andrea Romani
E qualche micetto senza mascherina
foto di Andrea Romani
foto di Andrea Romani
Un saluto dal fotografo
Alla prossima miei cari. Passate una buona giornata di sole.
A febbraio, quando ancora potevamo improvvisarci turisti senza problemi di coronavirus, ho passato un week end straordinario a Lucca. C’ eravamo stati di passaggio molti anni prima , quindi non l’ avevamo apprezzata appieno, come è stato invece in quei tre giorni. Un incontro direi acquetante. Dimenticate la fretta, dimenticate il pensiero fisso di dover visitare certi punti spettacolari come potrebbe essere il Ponte Vecchio a Firenze, la Torre Pendente a Pisa. No. Lasciatevi andare, qui , al piacere di una bella passeggiata, a proprio piacimento, dentro una città sorprendente e variata. Una città, unica ad essere in Italia ed Europa, ancora oggi interamente cintata.
Le mura la circondano in un cerchio cosiddetto ” arborato”. Costruite fra il 1500 e il 1600, queste mura non sono cupe, alte, turrite, irte di merli come quelle medioevali, bensì costituiscono un riposante e verde bastione a scarpata, che si estende per 4 km, per un ‘ altezza di 12 m, qua e là scandito da baluardi a forma di cuore , e percorso, sulla cima, da una bella strada ombreggiata da due file di alberi. Questa gigantesca opera militare, fatta per proteggere Lucca, fu terminata troppo tardi : l’ unica invasione respinta fu quella delle acque del Serchio, di cui arrestarono l’avanzata, salvando la città da una disastrosa alluvione. Le mura però, hanno contribuito a tutelare l’ integrità architettonica del nucleo urbano più antico. Nell’ Ottocento, sotto il dominio di Maria Luisa di Borbone, persero l’originario aspetto militare e furono trasformate dall’ architetto e ingegnere Lorenzo Nottolini, in un magnifico parco pubblico adorno di piante secolari, dove si vive appieno quel piacere di cui sopra : un passeggiare piacevolissimo, o un correre per mantenersi in forma .
Due solitari a braccetto
Scorcio
La coppia di prima in posa per la foto ricordo
Immortalato da lontano senza sapere chi sia…
Breve sosta
Già dalla sommità delle mura, la città appare raccolta in sé come dentro la cavità di una mano. Tetti di vecchi coppi, giardini pensili, cupole, campanili merlati, voli di piccioni, la Torre dei Guinigi, alta 45 mt . Nessuna profanazione visibile, il sole che fa fatica a raggiungere con i suoi raggi, le strettissime vie medioevali.
foto di Andrea Romani
” Era nella città di Lucca uno gentile uomo della famiglia de’ Guinigi, chiamato messer Francesco…Costui ritrovandosi in Lucca e ragunandosi sera e mattina con gli altri cittadini sotto la loggia del podestà, la quale è in testa della Piazza San Michele, che è la prima Piazza di Lucca, vide più volte Castruccio…”
scrive Niccolò Macchiavelli nella sua Vita di Castruccio Castracani da Lucca , una biografia romanzata del famoso condottiero che narra avvenimenti diventati leggendari.
foto Andrea Romani
Poi si prende a camminare ed è un piacere perdersi su queste strade dall’ aspetto insolito. Perché , a differenza di altre belle città, dove l’ orientamento delle vie, il traffico, conduce verso quei punti dove la bellezza dà spettacolo di sé, ( la Piazza della cattedrale o del municipio ), qui a Lucca, nessun colore stridente. La città si mantiene strana , irregolare, inattesa. La bellezza è sparsa ovunque, come un dono.
La Chiesa di S. Martino, ad esempio, con la facciata mossa, rosata, striata, e col più bel sepolcro del Rinascimento, scolpito da Jacopo della Quercia , dove giace supina la delicata Ilaria del Carretto, sposa di Paolo Guinigi, il viso addormentato in un sonno di cera, il collo celato nella corolla del bavero, il guanciale guarnito di nappe che s’ affloscia appena sotto il peso del capo , il cagnolino ai piedi come a ricordarle la vita, in maniera struggente.
foto Andrea Romani
foto Andrea Romani
O S. Frediano, la cui facciata romanica appare d’ improvviso ornata di un grande mosaico splendente.
Planetware
Foto Andrea Romani
Bella anche questa piazza foto Andrea Romani
E ancora la chiesa di S. Michele fondata nell’ VIII sec. che sorge al centro di quello che un tempo era il foro , cuore della città romana famosa per aver ospitato il primo triumvirato, l’ accordo tra Cesare, Pompeo e Crasso, che avrebbe cambiato la storia. Durante il periodo medioevale, si doveva accedere all’interno della chiesa attraverso un ponte di legno, detto Ponte al Foro, per la presenza di un canale che attraversava tutta la piazza, la Fossa Natali.
L’aspetto attuale della chiesa mescola lo stile romanico con elementi di gusto gotico. La facciata si presenta composta da quattro ordini di logge ed è sormontata dalla maestosa statua in marmo raffigurante l’arcangelo Michele che sconfigge il drago con una lancia: secondo la leggenda popolare nelle giornate più luminose si può scorgere lo scintillio dello smeraldo incastonato in tempi antichi sulla superficie della statua.
Ogni loggetta è sorretta da una colonnina ora liscia, ora intarsiata, ora inghirlandata, ora avvolta nelle spire di una serpe.
foto Andrea Romani
Una sorpresa bellissima è capitare nella famosa ” Piazza del Mercato ”, di forma ellittica, circondata da un anello ininterrotto di case, che rispecchia fedelmente la planimetria dell’ antico anfiteatro romano. Uniche vie d’ accesso sono quattro fornici che in un qualche modo hanno contribuito ad isolarla, non solo materialmente, dal resto della città. Per i ” piazzaioli ”, così vengono chiamati coloro che abitano nella piazza, è antica tradizione , nei giorni festivi, giocare a tombola all’ aperto. Nel caso si metta a piovere, l’ ottima acustica della piazza permette di continuare il gioco dalle finestre delle case , chiamando a gran voce i numeri estratti.
( Fornici :
costruzione arcuata, atta a sorreggere o coprire qualsiasi ambiente o spazio: significa tanto l’arco quanto la vòlta formata di parecchi archi. Gli scrittori latini usano fornix per tutti gli archi, a qualunque uso destinati: archi di sostegno, arcate di acquedotti, archi di trionfo. Il significato si estese quindi all’ ambiente coperto dal fornice, indicando così: passaggi coperti a vòlta nelle mura o nelle torri di piazze fortificate: camere a vòlta destinate agli schiavi di minor conto; locali al disotto del livello stradale, spesso ritrovi di corruzione ( da qui il significato di fornicare).
Enciclopedia Treccani )
La Piazza del mercato di sera foto Andrea Romani
Altra angolazione foto Andrea Romani
” Era già notte quando raggiunsi la città di Lucca. Come mi era parsa diversa , la settimana prima , quando avevo percorso di pieno giorno le vie deserte e piene di eco, e m’ era parso di essere piovuto in una delle città incantate di cui le fiabe della mia nutrice narravano. La città era silenziosa come una tomba, tutto era scolorito e morto, la luce del sole giocava sui tetti con lo stesso scintillio delle foglie d’oro delle corone messe in testa ai morti; qua e là, dalle finestre di qualche vecchia casa in rovina, pendevano tralci d’edera come lacrime verdi inaridite; dappertutto muffa luminescente e morte paurosamente in agguato; la città sembrava il fantasma di una città, spettro di pietra apparso in pieno giorno…”.
Il grande poeta tedesco Heinrich Heine ( 1797 – 1856 ) dedicò alla città toscana addirittura due dei suoi Reiselbilder, impressioni o quadri di viaggio : I bagni di Lucca e La citta’ di Lucca .
Questo scritto è tratto proprio, ovviamente, da ” La città di Lucca ”
Ditemi, sapete chi nacque in questa splendida città ? Giacomo Puccini, che abbiamo avuto l’ onore di incontrare, comodamente seduto, quasi ci stesse aspettando, fumando un sigaro, nella Piazza della Cittadella .
Nelle vicinanze c’è la sua casa natale, dove nacque il 22 dicembre 1858. La Piazza è un suggestivo ritrovo di osterie, bar , ristoranti con menù dedicati al famoso compositore. La sua dimora , oggi è un piccolo museo, dove ci sono oltre al pianoforte personale Stainway & Sons ( acquistato da Puccini nella primavera del 1901 su cui compose la sua ultima opera ) , che, grazie al restauro filologico della ditta Roberto Valli di Ancona, ha mantenuto intatte le sue caratteristiche originali , parecchi costumi di scena indossati nelle opere da lui musicate, dalla Turandot alla Tosca e via dicendo. La casa dopo la morte della madre verrà data in affitto, poiché sia Giacomo sia il fratello risiedevano a Milano e le sorelle erano tutte sposate. Quando queste rinunciarono all’ eredità, i figli maschi divennero gli unici proprietari. Nel settembre del 1889 i due fratelli vendono la casa al cognato Raffaello Franceschini, con nel contratto una clausola che garantiva loro di poterla riacquistare. Dopo il successo di Manon Lescaut ( 1893 ) , Puccini tornò proprietario della casa che passò poi ai suoi eredi. La nuora Rita Dell’ Anna nel 1974 dona la casa alla Fondazione Puccini, con la volontà che fosse trasformata in museo. E così fu. Inutile dire che visitarla è fonte di grande emozione, per il viaggio che all’interno si può fare della vita musicale e non solo del grande compositore. Ci sono scritti, partiture, fotografie. Un percorso che arriva fino alla sua morte. Le immagini, prima nel suo letto di morte, per cancro alla laringe, e poi del suo funerale, alla quale partecipò una fiumana di gente, sono indubbiamente molto coinvolgenti. Una casa molto di fascino, dove potrete anche vedere la camera dove nacque, la soffitta ” bohème ” adibita a studio e la finestra da cui si può godere di una vista particolare : i tetti di Lucca fino a notare in lontananza la torre del Guinigi . Nella ” Sala Turandot ” rimarrete incantati davanti al ricco costume di scena per il II atto della ” Turandot ” , donato da Maria Jeritza, a ricordo del primo allestimento dell’ opera, al Metropolitan Opera House di New York Non dimenticate di visitarla
Sala Turandot
O ancora davanti ai costumi di Tosca e Scarpia
cappotto del maestro
Madame Butterfly
Non aggiungo altro. Vi dico solo di visitare Lucca, ne vale la pena
Notizie da un articolo di Grazia Livi da Le splendide città d’ Italia ( Selezione dal Reader’s Digest )
Carissimi, approfitto per dirvi che il periodo buio che sto attraversando in famiglia, non direttamente, ma che sta toccando un mio nipote, non mi lascia la mente libera. Verrò a salutarvi quando posso. Perdonatemi ma ho dentro un dolore che è insopportabile. Questo è un post che ho mandato avanti lentamente. Spero che le cose migliorino. Auguro a tutti voi una buona ripresa dopo il maledetto coronavirus che ha complicato di molto le nostre vite. Spero di tornare a sorridere. Pregate per mio nipote. Ha solo 35 anni.
Vi abbraccio. Vi voglio bene
La vostra Isabella
Eccomi qua carissimi. Siete curiosi ? Spero di si. Sono sicura che se dite di sì, non ve ne pentirete.
Allora seguitemi in un itinerario che vi conquisterà per scorci pieni di fascino, interessanti , merito di una terra che amo profondamente : il Veneto. Io sono nata a Roma ma ho sempre detto che le mie origini sono venete. Precisamente i miei genitori sono nati entrambi a Nove, in provincia di Vicenza, a circa 4 chilometri da Bassano del Grappa . Per lavoro mio padre si trasferì da giovane a Roma, e con mia madre lì rimase fino ai miei 5 anni e ai 3 di mio fratello, quando tutta la famiglia andò a finire a Frascati, vivendoci fino ad oggi. Per quanto la mia vita si sia svolta tutta qui, sono sempre tornata con piacere nei luoghi d’ infanzia dei miei genitori, in una terra alla quale mi legano ricordi e legami di famiglia. Così anche a Pasqua. Il viaggio , secondo l’ itinerario progettato da mio figlio, ha compreso come prima tappa Treviso, il Monte Grappa e Bassano, Castelfranco Veneto, Tezze sul Brenta, dove risiedono gli unici cugini rimasti di mio padre, Cittadella, Marostica, e al ritorno verso casa, Arquà e Montagnana.
Vi dico subito che parlare di ogni luogo porterebbe via troppo tempo. Lascerò quindi parlare le foto di mio figlio con ovviamente qualche doveroso commento e probabilmente questo post sarà la prima parte di un viaggio che è stato bellissimo non solo per le ragioni del cuore, ma perché è stato anche l’ occasione per incontrare degli amici. Il primo, di Frascati, amico di scuola di mio marito , vive a Treviso da circa tre anni con la moglie e un figlio. La seconda, che vive a Castelfranco Veneto, è un’ amica conosciuta con la madre, in treno , molti anni fa , mentre andavo proprio a Bassano , anch’io con mia madre. Legammo subito tutte e quattro. Ma da quel fortuito incontro, non c’è stata mai più occasione per rivederci. Su facebook l’ho ritrovata mesi fa, e scendendo dal Grappa l’ho chiamata e fortunatamente, ci siamo potute rivedere. Vi garantisco, una bella emozione per tutte e tre , loro due e me. Mancava infatti solo mia madre. Ma non voglio tediarvi ulteriormente . Quindi ecco a voi le immagini di questo viaggio davvero troppo bello. A Treviso, città splendida, abbiamo alloggiato in un agriturismo in campagna, fuori città. Molto tranquillo, senza troppe pretese, il giusto per noi di passaggio.
Ecco galline in loco
E questo l’ agriturismo
Treviso è una città ricca di storia , di verde, di scorci caratteristici , di architetture notevoli, civili e religiose come il Duomo dedicato a San Pietro Apostolo, che non abbiamo potuto visitare perché quando arrivati era chiuso, e di tante fontane. All’interno delle mura ce ne sono ben 33. Certamente una delle più particolari è la fontana delle Tette.
scatto di Andrea
Già nel XIV sec il poeta fiorentino Fazio degli Uberti, nel suo ” Dittamondo ” così cantava
questa iscrizione l’ho fotografata io medesima…
La fontana delle Tette (fontana dee tete in veneto) è una antica fontana scolpita di Treviso che sotto la dominazione della Repubblica di Venezia , spillava vino bianco e rosso in occasione di particolari festeggiamenti.
La copia della scultura originale è collocata nel cortile di Palazzo Zignoli a Treviso, accessibile dalla galleria che collega il Calmaggiore alla piazzetta della Torre e alla calle del Podestà. Il manufatto autentico, seriamente danneggiato, è stato spostato in una teca sotto il portico del Palazzo dei Trecento
La fontana delle Tette fu costruita nel 1559 su ordine di Alvise da Ponte , all’epoca podestà della Repubblica di Venezia in seguito a una forte siccità che colpì la città di Treviso e la campagna circostante. Originariamente la statua era posta all’interno del palazzo Pretorio, in via Calmaggiore. Da allora fino al 1797 anno della caduta della Serenissima Repubblica di Venezia, in onore di ogni nuovo Podestà dalla fontana sgorgavano vino rosso da un seno e vino bianco dall’altro e tutti i cittadini potevano bere gratuitamente per tre giorni.
wikipedia
La Loggia dei Cavalieri è un edificio storico situato nel centro storico della città, importante testimonianza del potere politico dei nobili nel periodo in cui i comuni erano fiorenti. All’ interno si possono notare nella parte superiore affreschi sovrapposti di vari periodi. Ecco qui una foto per immortalare la bellezza del romanico trevigiano seppur influenzato dall’ architettura bizantina.
scatto di Andrea
Ora vi lascio con qualche foto, sempre di Andrea, per sognare e rilassarvi
Questo è il fiume Sile che attraversa Treviso regalando pace mentre lo si costeggia passeggiando
suggestioni
Questi alcuni scorci
Piazza dei Signori . Sulla destra, con le bandiere esposte, la Prefettura
Sculture . Il titolo all’opera lo dò io : ” Il tuffo ”
Però ragazzi è una vera fatica caricare foto. Non so se riuscirò a mostrarvi tutto quello che ho in mente. Se sì, ci vorrà parecchio tempo. Comunque è davvero un piacere camminare lontano dal traffico caotico delle città. Tutti i luoghi dove siamo stati avevano tutti le stesse caratteristiche : tanto verde e tranquillità. Anche Castelfranco Veneto è un piccolo gioiello. Tornarci a distanza di anni è stato molto piacevole, anche per aver ritrovato quell’ amica di cui vi ho detto all’ inizio del post. Eccovi qualche foto
Queste le mura che la circondano
l ‘ ora del tramonto è la migliore per fare foto, soprattutto se non piove
Eccolo qui trionfante. Si è proprio lui , il Giorgione, il grande pittore italiano nativo proprio di Castelfranco, cittadino della Repubblica di Venezia e illustre rappresentante della pittura veneta del XV sec. assieme a Tiziano che influenzò soprattutto all’inizio della sua carriera, diventandone anche socio in affari. Veramente splendido.
Ora, siamo arrivati alla fine del post. Miei cari chiudo e vado a ninna. Vi lascio però con una foto dell’ autore di queste sopra e vi aspetto per il prossimo tour.
Qui il fotografo Andrea con la madre e i famosi cugini di mio padre. Notare come anche il cugino Antonio porti al collo, la sua bella macchina fotografica. Sarà mica un vizio di famiglia ?
Per celebrare i cento anni di vita di Roma nel 1970 fu chiesto alla nota giornalista Miriam Mafai ( giornalista, scrittrice, tra i fondatori del giornale ”La Repubblica”) di fare una ricerca che testimoniasse come si viveva nel 1870 in città. Ne venne fuori un libro :”Roma cento anni fa’. Molto piacevole nella lettura , qui alcune descrizioni davvero interessanti.
Duecentoventimila abitanti, dei quali quasi la metà senza professione ma che se la cavavano vivendo di espedienti e di beneficenza. 65 botteghe di fabbri ferrai, 12 di armi, 9 di coltelli, una decina di manifatture di lana, seta e cotone, 38 tipografie, una grande manifattura tabacchi, 20 piccole fornaci,1500 orefici, 31 negozi di anticaglie e belle arti, 323 chiese, 221 case religiose, 340 opere pie, 50 alberghi e locande, 30 trattorie e centinaie di osterie : questa era Roma nel 1870.
”In via dei Delfini, dietro le Botteghe Oscure, al numero 36 si affitta tutto un primo piano; dieci vani di cui quattro molto ampi, una bella cucina, cantina, soffitta, acqua da lavare e da bere, illuminazione a gas per le scale e guardiaportone. La cifra richiesta è di trenta scudi al mese, poco più di centocinquanta lire, pari allo stipendio di un professore universitario. E’ l’estate del 1870. Le osservazioni meteorologiche, fatte dalla specola del Collegio Romano e quotidianamente pubblicate dal Giornale di Roma, avvertono che sono stati superati i 34 gradi, Roma sa di cavoli fradici e di sterco di cavalli. Dai mucchi di monnezza rovesciati a tutti gli angoli di strada e continuamente rimossi dai bastoni dei mendicanti, si levano nugoli di mosche. Per fortuna le giornate di calura sono interrotte da improvvisi temporali e rinfrescate. Allora la pioggia lava le strade e dalle grandi ville, fitte di cipressi e di pini che arrivano fino al centro della città, si leva il profumo acuto della terra bagnata e dell’erba orio fresca. A Castro Pretorio, — è l’estremo limite, da quella parte —-della città, per iniziativa di Monsignor De Merode sono state costruite da poco le caserme degli zuavi; l’Esquilino e il Viminale sono coperti dai boschi, dai palmeti e dalle piante esotiche di Villa Massimo. Sull’Aventino, attorno ai Cavalieri di Malta, si stendono giardini ed orti di conventi, attorno alla collinetta di cocci, ci sono terreni incolti e grotte dove gli osti di Roma tengono il vino in fresco. I polli razzolano nei cortili di Trastevere, dai muretti che recingono gli orti spuntano mucchi di letame. Orti, vigneti, boscaglia ricoprono i prati a Castel S. Angelo, al porto di Ripa Grande attraccano i barconi pieni di legna e di carbone. Le pecore brulicano al Colosseo, l’alba viene annunciata dai richiami dei galli. Sul Palatino c’è il mercato del bestiame, a Campo de’ Fiori il mercato della frutta e delle anticaglie, a Piazza Montanara il mercato dei braccianti. …
…Nonostante il caldo i romani, nei mesi di luglio e di agosto, restano in città, nelle case che le tende pesanti, le persiane chiuse e la stoppa nei campanelli difendono dal caldo e dai rumori. Il pomeriggio si dorme; la sera, quando scende il ponentino, i borghesi arrivano in uno dei Caffè del Corso a mangiare un gelato, le signore fanno una passeggiata al Pincio. Nei quartieri popolari, a Monti, a Trastevere, si vive per strada, ci si disseta con il vino all’osteria o con la limonata al chioschetto decorato di frasche….
…La città era raccolta entro le mura aureliane. Le antiche porte, Porta Salara, Porta Maggiore, Porta S. Giovanni, Porta S. Paolo, la difendevano dai miasmi della malaria che sovrastava l’agro, una campagna piatta e desolata dove pascolavano centinaia di migliaia di pecore e bufali che procuravano ai romani abbacchio a buon mercato e la migliore ricotta e provatura d’Italia, e profitti crescenti ai ”mercanti di campagna”, affittuari e fattori degli immensi latifondi, proprietà della chiesa e di alcune famiglie patrizie. Dal punto di vista economico e sociale la città era in arretrato non solo nei confronti di Parigi e Londra, ma anche nei confronti di Milano, Napoli, Torino. Era lenta, pigra, e come rassegnata al peso schiacciante della propria tradizione. I suoi aristocratici avevano abitudini di vita rozze, erano altezzosi ed ignoranti; la ricchezza dei suoi borghesi era recente e di troppo fresca origine contadina; la sua università era decaduta; la sua amministrazione inefficiente e corrotta; la sua difesa affidata ad un esercito mercenario.”
Fonte . Dal libro di Miriam Mafai ”Roma cento anni fa”
L’angolo della poesia
Roma
Il Tevere stasera fa quasi paura.
E’ gonfio,
corre veloce,
chissà dove vuole andare…
Roma è stupenda di notte,
maestosa con i suoi palazzi
che si affacciano sul fiume,
i ponti, le alte statue
che sembrano guardare il cielo.
Tutta illuminata
ha un fascino unico,
speciale, imponente.
E’ una visione magica
che conquista
e fa sognare.
E’ Roma…l’unica, la capitale.
Isabella Scotti
Questa poesia è una delle prime che ho scritto, quando mi trovavo in ospedale sull’isola Tiberina al Fatebenefratelli. Di sera, era agosto, reparto ortopedia, dalla grande terrazza dove si poteva stare per prendere un pò d’aria ( per fortuna ) lo spettacolo del Tevere m’ispirò questi pochi versi. Una degenza alleviata proprio dall’opportunità di poter uscire su questa grande terrazza e osservare il fiume sotto di me, illuminato da mille luci nelle sere estive in attesa dell’intervento. Una meraviglia.
Ed ora quattro canzoni per salutare Roma. Quattro modi e stili diversi per dimostrare quanto amore possa generare questa città in chi la vive e sente sua.
htpp://www.tesoridiroma.net/galleria/campidoglio/foto/
Vorrei scusarmi con tutti voi amici per aver nominato, rispondendo ad un commento di Sherazade 2011, Mastroianni come interprete di Rugantino, cosa non vera. Marcello è stato un grande Rodolfo Valentino in ” Ciao Rudy” ma mai ha interpretato appunto Rugantino. Sorry per la svista.
Volendo parlare di te come non rimanere prigionieri di un incantesimo? Come si fa infatti a non amarti, tu città unica dalle mille contraddizioni. Da una parte le bellezze di cui puoi vantarti, ricche di storia, il Palazzo Reale, Piazza del Plebiscito, la Galleria Umberto, oggi tragicamente nota per la morte di quel ragazzo quattordicenne , che si è trovato nel momento sbagliato, sotto quel crollo improvviso di cornicione. Dall’altra quei tuoi vicoli , dove la delinquenza è all’ordine del giorno, scippi , droga, omicidi. Problemi che si trascinano da anni, senza mai trovare soluzioni. Ma al di sopra di tutto , rimani sempre tu Napoli , dove il turista può respirare l’aria frizzante del mare camminando lungo la bella via Caracciolo e ammirare in lontananza il Vesuvio che sembra osservarti attento. O girare al Vomero tra negozi eleganti o ancora passeggiando all’interno della bella Villa Floridiana . E i napoletani poi, genuini e schietti. Servirebbero parole infinite per parlare della tua storia, i borboni, l’arte napoletana, il teatro unico di Eduardo, di Titina e Peppino De Filippo tutti figli del grande Scarpetta, il grande Totò irresistibile nelle sue interpretazioni proprio in coppia con Peppino . E ancora la musica, la magia di canzoni, difficili da dimenticare: ”Munasterio ‘e Santa Chiara”, cantata anche da Mina, ”Marechiaro” di Salvatore di Giacomo e musicata da Tosti. ‘‘Core’ngrato” cantata dal grande Caruso, ”I’ te vurria vasà” cantata dal grande Roberto Murolo. E ” lu cafè ?” Quell’odore unico che si sprigiona improvviso nell’aria mentre cammini, il profumo d’arancia della pastiera napoletana. E la lista potrebbe ancora proseguire, lunga e interminabile. Nel 1987 mio marito iniziò a lavorare a Napoli per seguire un progetto IBM tendente ad informatizzare gli scavi di Pompei, il progetto Neapolis. Vi si fermò tre anni circa abitando a Posillipo, la zona collinare di Napoli, bellissima, con un panorama mozzafiato. Nell’estate del 1988 noi tre lo raggiungemmo per due settimane. In quei giorni portai i miei figli, all’epoca di sei e dieci anni, in giro per tutta Napoli spingendoci anche fino a Sorrento con la circumvesuviana. Bè ne hanno ancora oggi un ricordo indelebile. Uscivamo la mattina prendendo l’autobus che fermava proprio sotto casa e scendevamo in città. ” Turisti per caso” andavamo di qua e di là sotto un bel sole cocente, divertendoci un mondo. Poi stanchi , nel pomeriggio tornavamo. Un periodo d’oro. Ma in realtà molti altri turisti ben più importanti di noi, ti hanno visitata, Napoli. E allora lasciamo ad essi la parola.
”La baia più bella che io abbia mai visto. Forma quasi un cerchio di trenta miglia di diametro, racchiusa per tre quarti in una nobile cornice di boschi e montagne”.
Così apparivi agli occhi dell’inglese Joseph Addison ( 1672 – 1719) e così parla di te Mark Twain quando vi arriva nel 1868 :
”Vedere Napoli come noi la vedemmo nella prima alba, dal Vesuvio, significa vedere un quadro di una straordinaria bellezza…E quando la luce da lattea si fece rosea, e la città divampò, sotto il primo bacio del sole, il quadro divenne bello al di là di ogni descrizione. era proprio il caso di dire: ”Vedi Napoli e poi muori! ”
Nel suo ”Viaggio in Italia” ( Italienische Reise ) dove Goethe visita le città italiane in un viaggio che sarà anche viaggio dell’anima, egli fece un paragone tra Roma e Napoli dicendo di te :
”In questo paese non è assolutamente possibile ripensare a Roma; di fronte alla posizione tutta aperta di Napoli, la capitale del mondo nella valle del Tevere, fa l’impressione di un vecchio monastero mal situato.”
Tra i francesi che ti ammirarono non possiamo dimenticare Alexandre Dumas padre (1802- 1870), il più napoletano degli scrittori al mondo, che a Napoli segue il suo amico Garibaldi e fonda persino un giornale patriottico, ”L’Indipendente” :
”A Napoli la sorte di un innamorato è decisa subito. A prima vista è simpatico o antipatico. Se è antipatico, nè premure nè regali nè perseveranza lo faranno amare. Se è simpatico, lo si ama senza dilazioni : la vita è breve, il tempo perduto non si guadagna più…”.
Tra gli Italiani un grandissimo come Leopardi, morto proprio a Napoli nel 1837 così diceva nel 1833 :
” Giunsi qui felicemente… La dolcezza del clima, la bellezza della città, e l’indole amabile e benevola degli abitanti, mi riescono assai piacevoli…”.
Per mutare però parere un anno dopo :
”Non posso più sopportare questo paese semibarbaro e semiafricano nel quale io vivo in un perfettissimo isolamento da tutti…”
Infine ascoltiamo le parole di Salvatore Di Giacomo ( 1860 – 1934) che nel suo celebre ”Pianefforte ‘e notte” riassume l’incanto musicale della città partenopea:
”Nu pianefforte ‘ e notte / sona luntanamente, / e ‘ a museca se sente / pe ll’ aria suspirà. / E’ ll’una : dorme ‘ o vico / ncopp’a sta nonna nonna / ‘e nu mutivo antico / e’ tanto tiempo fa. / Dio, quanta stelle ncielo ! / Che luna ! E c’aria doce / Quanto na bella voce / vurria sentì cantà! / Ma sulitario e lento / more ‘ o mutivo antico;/ se fa cchiù cupo ‘ o vico/ dint’a ll’oscurità. / Ll’anema mia surtanto/ rummane a sta fenesta. / Aspetta ancora. E resta, / ncantannose, a penzà”/
E ora ”dulcis in fundo” vi lascio questo link. Un bacio a tutti Isabella
fonte : ”Le splendide città d’Italia” Selezione dal Reader’s Digest
L’anno scorso, 21 febbraio 2013. Una data che non posso dimenticare, perchè legata ad un viaggio fortuito fatto per accompagnare un nostro amico ( e sua moglie ) ad una visita specialistica in Emilia. Voi sapete quanto mi piaccia viaggiare, anche fosse solo per girare l’angolo dietro casa, ed in effetti una gita di due giorni è un pò poco ma tanto basta. E allora via, si parte diretti verso questo ospedale, in mezzo alla campagna emiliana, in una giornata grigia, nebbiosa. Ma la nostra vera meta è un’altra e nel pomeriggio, dopo la visita fatta dal nostro amico e aver pranzato in una trattoria lontano quasi dal resto del mondo, arriviamo a Ferrara nel tardo pomeriggio. L’albergo è al centro, molto bello, elegante e ci sistemiamo subito con l’idea di scendere e andare in giro. C’è silenzio , poca gente, l’atmosfera è magica, le luci illuminano i palazzi e una nebbia soffusa sembra scendere per impadronirsi degli spazi geometrici e perfetti di questa città. Inizia così la scoperta di un luogo fascinoso quanto stranamente misterioso. ”Ampio, diritto come una spada, dal Castello alle Mura degli Angeli, fiancheggiato per quanto è lungo da brune moli di dimore gentilizie, con quel suo lontano, sublime sfondo di rosso mattone, verde vegetale, e cielo, che sembra realmente condurti, all’infinito.” Così in un libro famoso lo scrittore Giorgio Bassani descriveva corso Ercole I d’Este, la strada forse più celebre di Ferrara, immortalata dal Carducci e dal D’Annunzio, aperta nel Rinascimento in quella parte della città, che da lui prese il nome di Addizione Erculea. In fondo a questo corso quindi il romanziere ambientò la casa, o meglio il giardino dei suoi Finzi-Contini e Vittorio De Sica ne fece anche un film. Un giardino sconfinato che in realtà non è mai esistito, se non nella sua fantasia di scrittore. Ferrara, bella, affascinante cresciuta per ”addizioni” secondo una precisa politica di espansione territoriale, fino a diventare nel Rinascimento una capitale. Tra ampliamenti e trasformazioni, palazzi e giardini, grandi artisti lavorarono per la corte: architetti, pittori, scultori. E la città rinascimentale, compresa tra corso della Giovecca e le Mura nord, si deve proprio, nella realizzazione a Ercole I d’Este e all’architetto urbanista Biagio Rossetti. Ferrara, città che nasce sull’acqua, attorno ad un traghetto o un guado sul Po, e la sua nascita e sviluppo è legata indissolubilmente alla vita del fiume stesso ed ai suoi capricci. Capricci che nel 1152 si manifestarono nella rottura degli argini travolti dal Po a Ficarolo. Girarla a sera inoltrata, con il bavero alzato, ed entrare in un negozio antico della Loggia dei Merciai, sul lato meridionale della Cattedrale, e comprare un bel cappello rosso e nero per ripararsi dal freddo. E poi camminare nella nebbia, la stessa di cui parlava anche Tonino Guerra, raccontando :” essa copre una magia( Ferrara) come un velo, scende sui tuoi pensieri più limpidi, che diventano di una profondità maggiore”. E costeggiare palazzi antichi di un rosso cupo, colore che sfuma nella luce artificiale dei lampioni, in un silenzio notturno che perfino D’Annunzio avvertì annoverando Ferrara tra le sue ”città del silenzio” : ”O deserta bellezza di Ferrara,/ ti loderò come si loda il volto/ di colei che sul nostro cuor s’inclina/ per aver pace di sue felicità lontane; / e loderò la chiara/ sfera d’aere e d’acque / ove si chiude / la tua melanconia divina / musicalmente…”. E ancora città che diede i natali a personaggi illustri, pittori come Giovanni Boldrini (1842- 1931) brillante ritrattista, che operò soprattutto a Parigi . Molti dei suoi dipinti li possiamo trovare nel Palazzo dei Diamanti oppure registi come Michelangelo Antonioni, uno dei più grandi autori della storia del cinema che visse qui per ben 27 anni, e che riposa nella Certosa di Ferrara. O ancora Florestano Vancini regista altrettanto famoso autore di film come ”Il delitto Matteotti” del 1973. E assolutamente non ultimo il grande Arnoldo Foà, recentemente scomparso, che conobbi tempo fa, e di cui parlo in un altro mio post. Ma ancora, letterati, come ad esempio il grande Ludovico Ariosto, che pur essendo nato a Reggio Emilia, trasferitosi a Ferrara fin da bambino, l’amava molto e così la sua casa dove sul frontone in latino c’è la scritta: ”Piccola, ma adatta a me, non reca molestia a nessuno, non è indecorosa, e tuttavia l’ho acquistata con il mio denaro.” Nella Satira III così piangeva la sua casa lontana ( si doveva spesso infatti allontanare per missioni politico – diplomatiche): ”Chi vuole andare a torno, a torno vada: Vegga Ingheleterra, Ongheria, Francia e Spagna; / a me piace abitar la mia contrada.” Come non si può rimanere affascinati da una simile città ? Quando il freddo è talmente pungente da rischiare la neve… E allora via al riparo per capitare ”All’Antico Volano’‘ trattoria tipica, antica dove festeggiare degnamente i nostri amici nel giorno del loro anniversario di matrimonio e gustare i sapori di una volta : i salumi del ricco antipasto, scegliere come primo i famosi cappellacci al ragù di carne o i cappelletti in brodo di gallina ( con il freddo vanno benone). Gustare il bollito misto ferrarese con salse di tutti i tipi, buonissima quella al cren. La squisita ”somarina” in umido con la polenta. L’ottima salama da sugo o ”salamina”, dal gusto deciso e piccante, a base di carne suina macinata più o meno fine, vino rosso (piuttosto vecchio) , sale , pepe nero, noce moscata, cannella, chiodi di garofano. Il tutto accompagnato da purea di patate se calda, se fredda da qualche fico o fetta di melone ( non giudicateci ”mangioni”, ad ognuno un piatto diverso assaggiato da tutti ). Comunque solo prelibatezze. Poi, ahimè, la partenza, sotto la candida neve finalmente arrivata. Poesia che si aggiunge a poesia. Ferrara, ti porto nel cuore.
fonte: Le Splendide Città D’Italia – Selezione dal Reader’s Digest
Mi dispiace solo di una cosa: aver dimenticato la digitale e non aver immortalato immagini di una gita particolare.
Comincio qui un viaggio tra alcune delle nostre più belle città italiane, attraverso la voce non solo mia ma soprattutto quella ben più importante di personaggi famosi che le hanno visitate spesso in tempi anche lontani, o che vi hanno vissuto o addirittura vi sono nati. Talvolta potrò parlare anche di piatti tipici, sperando sempre di riuscire a stimolare il vostro interesse. Iniziamo dunque il viaggio partendo da Bolzano che ho visitato anni fa da ragazzina una prima volta, per tornarvi più tardi con mio marito e i miei figli piccoli e che mi piace molto. Una città nata nel 1100 attorno ad un mercato che si teneva in quel triangolo di terra che si protende tra il torrente Talvera e il fiume Isarco. Qui è il centro, di questo luogo ameno, da cui partono le vecchie strade, i vicoli, gli archi e gli sporti ( cornicioni, mensole) così cari all’architettura nordica. Io la ricordo a distanza di anni, ancora per via dei Portici, che ci riporta all’origine mercantile di Bolzano, che attirò fin dal Medioevo per la posizione geografica, i commercianti di ogni paese. In questa strada sfilavano dirette al Brennero le carovane delle Repubbliche marinare, con i loro carichi profumati e multicolori di spezie e di broccati. Ma la ricordo anche per tutto il verde spettacolare che la circonda e che mi è rimasto nel cuore, per quello scenario unico delle Dolomiti, che fanno in lontananza quasi da contrappunto alle guglie del suo Duomo. Distesa nella verde conca dove scorrono i già nominati Talvera e Isarco, Bolzano ha saputo difendere e valorizzare quel patrimonio naturale che la circonda, salvaguardando i boschi e i vasti pascoli, aggredendo i fianchi delle montagne non con il cemento ma con le viti oggi come al tempo di Carlo Magno, quando il ”Bozanarium” era uno dei vini più famosi d’Europa. E proprio da qui, nel maggio del 1953, comincia il viaggio che lo porterà in giro per l’Italia, di Guido Piovene. ”Parto dall’estremo nord, con l’intento di scendere fino a Pantelleria regione per regione, provincia per provincia. Sono curioso dell’Italia, degli italiani, di me stesso… Bolzano è città di fondo tedesco. Si sente in essa, e nei dintorni, la vita di un popolo comodo, sordo, chiuso, cocciuto, sentimentale, pochissimo passionale, orgiastico ad ore fisse…Bolzano è opulenta, moderna. Ma la sua bellezza è gotica: le lunghe vie fiancheggiate di portici, abbellite non tanto da questa o quella costruzione, quanto dal movimento degli spigoli e delle sporgenze, che crea fondali di teatro, giochi di luce…” Sempre da Bolzano, nell’ottobre del 1580, comincia l’avventura italiana di Michel de Montaigne : ”Arrivammo di buonora a Bolzano, città della grandezza di Libourne,non bella come le città tedesche, tanto che esclamai ” Si vede che cominciamo a lasciare la Germania”: infatti le strade erano più strette e non c’erano le belle piazze pubbliche. Ma c’erano ancora fontane, ruscelli, pitture e vetrate…C’è in città una così grande quantità di vini che ne forniscono tutta la Germania…Ho visto la chiesa che è delle belle”. L’11 settembre del 1786 arriva a visitare la città anche Goethe ”con un gran bel sole. Qui le facce dei mercanti mi hanno comunicato una certa allegria. La vita agiata e attiva si rivela con grande vivacità”. Tra molti personaggi illustri che furono importanti per Bolzano ci fu un poeta di lingua tedesca Von Der Vogelweide Walther (1170 ca.- 1230 ca.). Nato da nobile famiglia in un castello del Tirolo, visse alla corte di Filippo di Svevia, a Vienna, quindi al servizio di Ottone di Brunswick. Considerato il massimo rappresentante della scuola poetica del Minnesang ( canto d’amore), raggiunse la maggiore altezza nella poesia amorosa, conferendole più vigore rispetto alla stilizzazione manierata dei contemporanei. Bolzano, consacrandolo massimo poeta della letteratura tirolese, gli ha dedicato un monumento nella sua piazza centrale. Di stile romanico, fu scolpito in marmo bianco di Lasa, dallo scultore venostano Heinrich Natter ( 1889). Nel 1935 le autorità comunali fasciste ne disposero il trasferimento in un luogo più appartato della città ( Parco Rosegger- via Marconi ). Il monumento fu poi ricollocato nella piazza nel 1985. Parlando di cucina molto saporiti sono i piatti che nascono dal sapiente incontro tra cucina tirolese austriaca e cucina trentina. Buone le minestre, le zuppe di trippa acida o di crauti. Il camoscio alla tirolese, marinato in un vaso di terracotta con vino, aceto, erbe diverse, spezie, limone e poi cotto con vino, panna acida, alloro. Tra i dolci non manca di certo lo strudel, le frittelle di mele, i krapfen. E non dimentichiamo i vini , rossi, il Caldaro, il Santa Maddalena. Tra i bianchi Terlano Terlaner e il Sylvaner.
Ed ora potete guardarvi questo link dove troverete altre notizie su Bolzano tra le quali anche una bella passeggiata dedicata ad un santo il cui nome ricorda un nostro amico comune e cioè : OSVALDO
http://www.bolzano-bozen.it/it/da-vivere/passeggiate.html
Dedicato alla mia amica Loredana
fonte: ” Le splendide città d’Italia” Guida ai centri più importanti del nostro Paese Selezione dal Reader’s Digest