Dopo   gli   stupri   di   questi   giorni,   i   morti   di   Livorno,   la   famiglia   distrutta   a   Pozzuoli,   i   pedofili ,  e   chi   più   ne   ha   più   ne   metta,   penso   e   credo   che   ognuno   di   noi   abbia   bisogno   di  riconsiderare   un   po’   la    vita,   quali   siano   i   veri   valori   su   cui   fondarla   e   perché   allora   non   ripartire   dalla   bellezza  ?   Ma   non   quella   falsa,   di   un   apparire   e   mettersi   in   mostra   come   in   una   vetrina,   no,   parlo   di   quella   interiore,   di   quella   bellezza   fatta   del   piccolo   che   diventa   grande.   La   bellezza   del   garbo,   della   gentilezza   nei   modi,   di   un   sorriso   donato   che   fa   sì   che   il   cuore   goda   di   una   gioia   improvvisa,   della   bellezza   dell’educazione   e   del   rispetto.   Finiamola   con   la   prevaricazione,   col   farci   i   selfie   e   i   tatuaggi,   finiamola   col   riprendere   tutto   e   tutti   con   morbosità,    finiamola   con   un   linguaggio   intriso   di   parole   volgari   e   oscene,   con   le   offese   su   facebook.   Viviamo   l’amore   nascosto   tra   le   mura   di   casa,   non   in   piazza,   che   amore   poi   non   è   ma   solo   sesso.   Viviamolo   con   dolcezza,   assaporando   quell’intimità   di   coppia   che   non   è   da   sbandierare,   ma   una   questione   assolutamente   privata.    Viviamo   con   civiltà,   la   vita   è   una   sola.    Ecco   perché   voglio   regalarvi   questo   post.   Spero   condividiate   quanto   scritto.   Buona   lettura   a   chi   vorrà   leggere.   Risponderò   ai   commenti   quando   potrò.   Scusatemi   ma   il   mio   tempo   non   è   più   quello   di   due   anni   fa,   quando   giravo   tra   voi   come   una   pazza.   Comunque   sapete   che   vi   ho   tutti   nel   cuore  ,   chi   per   un   motivo,   chi   per   un   altro.   Vi   abbraccio.   La   vostra   Isabella

 

“Dio vide quanto aveva fatto, ed ecco era cosa molto bella.”

 

( Genesi, I, 31)

 

 

Risultato immagine per nascita di venere

nascita   di   Venere   –   Botticelli   particolare

 

1. Il bisogno di bellezza

C’è bisogno di bellezza nei nostri giorni: troppo a lungo l’abbiamo trascurata, riducendola solo ad un fatto esteriore, a qualcosa che riguarda il piacere sensibile e basta, quando va bene, negando che essa investa tutto l’uomo, tutto ciò che riguarda l’uomo dal modo di pensare all’oggetto del pensare, dal bene, alla giustizia, all’utile. L’abbiamo negata anche là dove essa aveva un posto illustre, là dove essa era il punto di riferimento principale, tanto che si poteva chiamare “arte” solo ciò che era “arte bella”. Abbiamo chiamato “arte” qualsiasi cosa che si dicesse “arte”, cosicché questa altro non diventa che l’espressione di un singolo pensiero che sostiene che è arte quello che io chiamo arte, riducendo ancor più la definizione che Dino Formaggio   (  filosofo   e   critico   d’arte  italiano  )   diede nel 1973: “L’arte è tutto ciò che gli uomini chiamano arte”.[1]
C’è bisogno di bellezza nelle parole: troppo le usiamo senza vera comprensione del loro significato, le addomestichiamo a nostro uso e consumo, le interpretiamo senza dare loro nessuna vera ragione. Le parole sono pittura delle idee, esse danno agli uomini la meravigliosa possibilità di comunicare, tanto che non possiamo immaginare un mondo senza parole. Di belle parole sia il discorso e non di quelle triviali che, pur esistenti, sono state sdoganate per illusione di liberazione. Si crede che con ciò sia possibile un’emancipazione, un affrancamento; si sostiene: nessuno mi può censurare, qualsiasi linguaggio io usi. Io, infatti, mi esprimo con le parole che “voglio” con un arbitrio assoluto. La parola non è importante, non ha vero significato se non quello che io le do e chi comprende, se proprio vuole comprendere, comprenda.
C’è bisogno di bellezza nei nostri pensieri: essi non sono agglomerati di parole in fila, secondo un singolare arbitrio. E’ pensiero, si dice, tutto quello che il mio cervello elabora, senza alcun parametro di riferimento. Ogni uomo costruisce il suo pensiero, secondo quanto può, ma soprattutto secondo quanto vuole. Un pensiero rigoroso… solo una schiavitù, un pensiero che possa essere compreso, una possibilità non necessaria, tanto che ogni pensiero altro non è che un singolare, il mio, modo di esprimermi, un’arte: che questa sia scientifica, o un semplice sofisma, poco importa. Io ho misurato con i miei pensieri il mondo e il mondo ha la misura dei miei pensieri. Chi può comprenderli? Chiunque pieghi la sua comprensione al mio pensiero e deve accettare che esso è in quel momento, ma un istante dopo, sarà quello che io dico subito dopo.
Non si tratta nemmeno più di riuscire almeno a farsi comprendere in qualche modo: se io dico che questo è il mio pensiero, questo è il pensiero.
C’è bisogno di bellezza quando riflettiamo su ciò che è e ciò che entra in relazione con noi, sia esso l’Essere che solo l’uomo sa pensare, oppure gli esseri particolari, quelli che sono oggetto delle scienze. Le nostre parole, i nostri pensieri non possono essere casuali o frutto dell’occasione, dell’opportunità o essere semplicemente “al servizio”. Non si può pensare una scienza ad arbitrio e ad uso del singolo. Così facendo è il singolo che si lascia trascinare dalla propria corrente nella quale non riesce mai a bagnarsi che una volta e sempre in modo impreciso.
C’è bisogno di bellezza quando interroghiamo noi stessi, e nella profondità del nostro essere, che chiamiamo anima, possiamo trovare il nostro autentico significato.
C’è bisogno di bellezza quando interroghiamo l’universo, questo cosmo nel quale viviamo e senza il quale noi stessi nulla saremmo.
C’è bisogno di bellezza quando indaghiamo se il fondamento del nostro stesso esistere sia Dio, l’essere fondamento di tutto: Colui che è, e senza di Esso altro non saremmo che esseri vaganti senza significato.
C’è bisogno di bellezza nella riflessione morale: essa non è dettata dall’urgenza, dalle situazioni, ma con pacatezza deve cercare di riflettere su quale, tra le possibili azioni, possa portare al bene che si coniuga con la bellezza dell’atto da compiersi e lo considera, quando esso è compiuto, buono oltre che bello. Nelle possibili azioni dell’uomo anche quelle che riguardano tutti gli uomini che vivono insieme vi è necessità di bellezza. Superando l’interesse individuale ci si apre alla prospettiva di un’armonia tra le persone per ciò che può diventare bene civile, mediante leggi che sono giuste perché hanno insito in loro la prospettiva del bene.[2] Lo stesso bene che guida anche le azioni volte alla ricerca del benessere dei nostri giorni, che è necessario, ma non è mai il fondamento, se non per coloro che solo in basso sanno guardare o razzolare.
C’è bisogno di bellezza anche nell’estetica, ridotta sempre più a considerazione intellettualistica, dove nemmeno i sensi hanno più parte, quando semplicemente “vedono” quello che è definito dalla critica come “arte”, spesso, non si sa bene, con pensiero forzato. La critica sassifica, diceva il poeta Giacomo Zanella, fin da giovani, e fa perdere l’autentica relazione estetica, quella che si fa tale nell’incontro diretto con le opere, le quali vivono in noi e suscitano il desiderio di rincontrarle, di rileggerle.
C’è bisogno di riprendere la riflessione sulla bellezza perché essa tutto avvolge e in essa l’uomo trova autentico appagamento, ché, altrimenti, si limita a considerare ogni aspetto per se stesso o nella sola dimensione strumentale. Quando l’uomo diventa fantasma a se stesso, allora diviene fecondo di imposture e di inganni, prima di tutto verso se stesso, e finisce nel nichilismo, che oggi per alcuni è l’essenza stessa dell’Occidente. Il mondo, l’uomo non sono che “niente”, e in questo “niente” tutto si scioglie nell’oscuro che è proprio il contrario della bellezza. Il nichilismo è la rinuncia dell’uomo a cercare se stesso, a tentare una ricerca di senso, a tentare, seppur parzialmente, di definirsi. Così le parole di I. Kant aprono ad una precisa riflessione sul destino stesso dell’uomo:[3]

“Che cosa sia veramente l’uomo noi in realtà non lo sappiamo, benché i sensi e la coscienza avrebbero dovuto insegnarcelo; tantomeno potremo quindi indovinare quel che l’uomo sarà un giorno. Tuttavia, l’avidità di sapere dell’anima umana, spinta da una grande curiosità per questo argomento, aspira ardentemente a fare un po’ di luce nell’oscurità di simili conoscenze. L’anima immortale, per tutta l’infinità della sua vita futura, che nemmeno la tomba può interrompere ma solo mutare, è forse destinata a rimaner legata per sempre a questo semplice punto dell’universo che è la Terra? Non le sarà dunque mai concesso di vedere le altre meraviglie del creato? Chi sa se non è invece destinata di vedere, a conoscere da vicino, un giorno, quelle lontane sfere dell’universo e l’eccellenza del loro ordinamento, che già da queste infinite distanze suscitano la sua curiosità? Forse si stanno già formando nuove sfere del sistema planetario, destinate ad accoglierci in altri cieli quando il tempo assegnatoci per il nostro soggiorno sulla Terra sarà scaduto. Chi sa, forse un giorno godremo della luce dei satelliti di Giove.
E’ lecito, anzi è conveniente dilettarsi con simili pensieri; ma nessuno fonderà la propria speranza in una vita futura nei frutti così incerti dell’immaginazione. Quando la fragilità umana avrà pagato il tributo alla propria natura, lo spirito immortale si librerà, con un colpo d’ala, al di sopra di ogni cosa finita e inizierà un’esistenza diversa, in cui, grazie alla maggiore vicinanza all’essere supremo, occuperà una posizione nuova nei confronti di tutta la natura. Da quel momento lo spirito, che racchiude in sé la fonte della felicità, non cercherà più il proprio appagamento dissipandosi tra gli oggetti esteriori. Tutto l’insieme delle creature, che devono necessariamente trovarsi in armonia per il piacere dell’essere originario, arriveranno a goderne anche loro e in essa si placheranno come in una beatitudine eterna.
In realtà, quando si è nutrito il proprio animo con riflessioni di questo genere, basta uno sguardo al cielo sellato, in una notte chiara, per provare quel senso di rapimento di cui solo le anime nobili sono capaci. Nel silenzio universale della natura, nella quiete dei sensi, la segreta facoltà di conoscenza dello spirito immortale parla una lingua impronunciabile e suscita pensieri inespressi, che si sentono, ma non si lasciano dire. Se tra le creature pensanti del nostro pianeta vi sono degli esseri abietti, che nonostante il grande fascino di un argomento così importante preferiscono rimanere attaccati alla schiavitù delle cose vane, allora la Terra, per aver generato creature così miserabili, ci appare all’improvviso come un luogo molto infelice. Ma, viceversa, come ci appare felice, quando vediamo aprirsi in essa la sola via degna d’essere percorsa, quella che conduce alla suprema felicità del’anima, che nessun corpo celeste, anche quello dotato delle condizioni più eccellenti e vantaggiose, potrà mai offrire”.

Così se appare difficile la via dell’uomo verso se stesso, certamente più facile nella nostra epoca si mostra quella distruttiva, quella del nichilismo. Allora cercare di dare una qualche voce a quella “segreta facoltà di conoscenza dello spirito immortale (che) parla una lingua impronunciabile e suscita pensieri inespressi, che si sentono, ma non si lasciano dire” di cui parla il filosofo di Königsberg, ci appare come la via regia, quella che conduce l’uomo a tentare almeno di apprezzare se stesso e il mondo che lo circonda e l’Essere a suo fondamento. Se riusciamo a naufragare in questo mare, allora l’infinito non è paura, seppur il pensiero anneghi per tanto sforzo intellettuale e ciò perché l’uomo non è solo il suo cervello che pensa, è ben altro. Non è una pura funzione fisiologica, ma è l’espressione più alta della sua libertà, che a lui ascrive quanto di bene e quanto di male compie, e sa coniugare il vero, il bene, il giusto con il bello con un’autentica capacità di contemplazione, che è l’apice della conoscenza.
Chi ha tentato e tenta di negare la possibilità stessa della verità, confondendo il sapere delle scienze, con il sapere del vero e nega la possibilità del bene, ritenendo che esista solo il proprio utile, da spartire magari solidaristicamente, ma senza amore per il prossimo, allora a costui non resta che distruggere anche la bellezza. Il fuoco eracliteo che abbrucia è il niente di costoro. Non vi è che l’illusione amara del vivere e non resta che la propria fine, la fine della propria umanità e della persona. Tutto appare vano, vano di fronte alla massima bellezza, vano di fronte a se stessi. Quindi uomini ancora? No! Singoli, in una folla di solitudini che trascinano se stessi nella noia, nello scoraggiamento, nella sofferenza, in un solipsismo teoretico incapace di raggiungere un dialogo, nemmeno con se stessi. Nel niente si abbandonano i singoli, ma finendo per fare sempre i conti del proprio tornaconto! e delle prebende che possono ricavare da questa inutile predica sul “niente”. Timorosi di tutto, tranne che del suono del denaro, quando tintinna nelle loro tasche, che è l’unica salvezza che esibiscono a se stessi. Incapaci di fede, ma si dicono sicuri del proprio ragionamento, come se questa loro posizione non fosse essa stessa che una fede e senza alcun anelito.
C’è bisogno di bellezza in questo nostro mondo, in questi nostri attimi solcati di vita, dove abbiamo bisogno certo della natura, ma anche di ritenerci al di là di questa. E’ il nostro essere terreno stesso che apre alla dimensione metafisica, a quel tentativo di coniugare il vero, il bene con la bellezza.[4] Infatti, è, alla fine, la bellezza che apre all’ultima visione possibile per l’uomo, quella dove cessa ogni possa, e richiede nella contemplazione, fede,[5] alla quale con timore, ma senza paura possiamo abbandonarci, per sperare almeno in una gloria di luce eterna.
C’è bisogno di questa bellezza perché, altrimenti, cadiamo in quella fede che ci considera, dice Emanuele Severino, “effimeri, esposti al pericolo del nulla. E’ proprio questa fede che suscita in noi il timore, l’angoscia, la volontà di rimedio, la volontà di salvezza, l’esigenza di un salvatore, di un salvatore che c’è ma che a volte si ritrae, tutto questo dipende dalla nostra persuasione di essere povere cose effimere esposte alla minaccia del nulla, questa fede regge tutto ciò che noi oggi, sul pianeta, siamo diventati”.[6]
Certo una siffatta fede, immanente e diveniente, non è che nulla, e su di essa non varrebbe la pena di soffermarsi, ma ci sono coloro che, pur affermando il nulla, finiscono con il dissertare su niente: è questa la loro pena: essere nulla. Il loro “dio”, il nulla, il niente, ma in realtà solo se stessi. La loro voce è Max Stirner e a loro ben si addicono le sue parole: Io sono il proprietario della mia potenza; e tale diventa appunto nel momento stesso in cui acquisito la coscienza di sentirmi Unico. Nell’Unico, il possessore ritorna nel Nulla creatore dal quale è uscito. Qualunque essere superiore a me, sia esso Dio o Uomo, deve inchinarsi davanti al sentimento della mia unicità, e impallidire al sole di questa mia coscienza. Se io ripongo la mia causa in me stesso, l’Unico, esso riposa sul suo creatore effimero e perituro che da se stesso si consuma: quindi potrò veramente dire: – Io ho riposto la mia causa nel nulla”.[7]
Non si tratta di contraddizione, ma più semplicemente di paura di essere. Infatti, proprio la paura di essere conduce al nichilismo. Il pensiero è che si può vivere senza dover render conto, senza aprirsi alla luce che la bellezza esprime, nella consapevolezza che ciò per l’uomo è una tensione non immiserita in cerebralismi, definiti “riflessioni intellettuali”, né nel solo utile, ma in quella capacità di saper coniugare il vero, il bene e il bello, perché è alla luce del sole che viviamo e nella stessa notte sogniamo la luce. Le tenebre, se avvolgono tutto l’uomo, come lo fanno vivere? Non possiamo fornire una risposta, intuiamo però che senza luce non viviamo e la luce degli uomini è un amore che non si esaurisce nel loro orizzonte, ma prepara a ben altra meta.

 

 

“L’umanità può vivere senza la scienza, può vivere senza pane, ma soltanto senza la bellezza non potrebbe più vivere, perché non ci sarebbe più nulla da fare al mondo. Tutto il segreto è qui, tutta la storia è qui”.  

FEDOR   DOSTOEVSKIJ

estratto    da    un   articolo   di    Italo    Francesco   Baldo

 

 

Qui   sotto   nel   suo   autoritratto   il   pittore,   teorico   e   critico   d’arte   tedesco   Mengs   di   cui   riporto   ciò   che   teorizzava   sulla   bellezza.

Anton Raphael Mengs, Autoritratto, The Hermitage,

St.Petersburg

“Della bellezza”

 

I –  Spiegazione della bellezza

Siccome la perfezione non è propria dell’umanità, e si trova solamente in Dio, né comprendendosi niente dall’uomo fuorchè quello che cade sotto i sensi, così l’Onnipotente gli ha voluto imprimere una visibile idea della perfezione, e questa è ciò che si chiama bellezza. Questa bellezza trovasi in tutte le cose create ogniqualvolta l’idea, che abbiamo di una cosa, ed il nostro senso intellettuale non possono andar nell’immaginazione più oltre di quello che vediamo nella materia creata. Ciò può assomigliarsi alla natura nel punto: un punto dev’essere indivisibile; onde egli è anche sempre, propriamente parlande, incomprensibile.

Convien dunque figurarsi che la perfezione è come il punto matematico, o indivisibile, e che contiene in sè tutta la proprietà e gli attributi celesti; e questi non possono trovarsi nella materia, poichè ogni materia è imperfetta; onde abbiamo immaginata una specie di perfezione adatta alle umane comprensioni; cioè quando i nostri sensi non arrivano a capire che vi sia l’imperfezione in una cosa, allora quest’apparenza di perfezione chiamasi bellezza. (…)
Platone chiama i movimenti che la bellezza produce nell’anima, una ricordanza della suprema perfezione; e crede esser questo il motivo della sua forza incantatrice. Forse potrei sognare anch’io con altrettanto successo se dicessi che l’anima venga commossa dalla bellezza, perchè dalla medesima viene, per così dire, trasportata in una momentanea beatitudine, che ella spera ed aspetta presso Iddio per tutta l’eternità, ma che si perde subito in tutte le materie.

II – Causa della bellezza nelle cose visibili

(…) Perciò vi è bellezza in tutte le cose, giacchè la natura non fece niente che fosse inutile; e come già si è detto vi è bellezza in ciascuna cosa, sempre che la medesima apparisce perfetta a quell’idea ed aspetto a cui appartiene. L’idea viene dalla cognizione della destinazione di una tal cosa; e questa cognizione proviene dall’anima. la bellezza si trova allora in qualunque cosa, quando tutta la materia è conforme alla sua destinazione.

III – Effetti della bellezza

La bellezza consiste nella perfezione della materia secondo le nostre idee. Siccome Iddio solo è perfetto, la bellezza è perciò una cosa divina. Quanto più la bellezza si trova in una cosa, tanto più è la medesima animata. La bellezza è l’anima della materia. Siccome l’anima dell’uomo è la causa del suo essere, così anche la bellezza è come l’anima delle figure; e tutto quello che non è bello è come morto per l’uomo.
Questa bellezza ha un potere, che rapisce ed incanta; ed essendo spirito, muove l’anima dell’uomo, accresce, per così dire, le sue forze, e fa sì che si scordi per qualche momento di essere racchiusa nel ristretto centro del corpo. Da ciò nasce la forza attrattiva della bellezza: subito che l’occhio vede un oggetto assai bello, l’anima ne risente, e desidera unirvisi; onde cerca l’uomo di avvicinarvisi, ed accostarvisi.
La bellezza trasporta i sensi dell’uomo fuori dall’umano: tutto si altera, e si commuove in lui talmente che, se questo entusiasmo è di qualche durata, egli degenera facilmente in una specie di tristezza, allorchè l’anima si avvede non esservi che la mera apparenza della perfezione. La natura ha perciò prodotte molte bellezze graduate, affine di tener lo spirito umano colla varietà in una commozione eguale, e continuata. La bellezza attrae tutti, perchè la sua potenza è uniforme, e simpatica all’anima dell’uomo; chi la cerca, la trova su tutto, e da per tutto, poichè ella è la luce di tutte le materie, e la similitudine della stessa divinità.
V – Nella bellezza l’arte può superare la natura
L’arte della pittura vien detta una imitazione della natura: laonde sembra che nella perfezione debba ella esserle inferiore; ma ciò non sussiste se non che condizionatamente. Vi son delle cose della natura, che l’arte non può affatto imitare, ed ove questa comparisce assai fiacca, e debole in confronto di quella, come, per esempio, nella luce e nell’oscurità. Al contrario ha l’arte una cosa molto importante, in cui supera di gran lunga la natura, e questa è la bellezza.
La natura nelle sue produzioni è soggetta ad una quantità di accidenti: l’arte però opera liberamente, poichè si serve di materie del tutto flessibili, e che niente resistono. L’arte pittorica può scegliere da tutto lo spettacolo della natura il più bello, raccogliendo e mettendo insieme le materie di diversi luoghi, e la bellezza di più persone: all’incontro la natura è costretta a prendere, verbigrazia, per l’uomo la materia soltanto alla madre, ed a contentarsi di tutti gli accidenti; onde è facile che gli uomini dipinti possano essere più belli di quello che sieno i veri. (…)
(…) L’arte può molto ben superare la natura; imperocchè, siccome in nessun fiore si trova tutta la massa del miele, ma bensì in ciascuno di essi qualche parte del medesimo, che dalle api vien raccolta per comporne indi quel dolce sugo; così può anche l’avveduto pittore scegliere da tutto il creato il meglio ed il più bello, e produrre con questo artifizio la più grande espressione e dolcezza. Che con una buona scelta si possano assai migliorare le cose naturali, vedesi chiaramente nelle due belle e gratissime arti della poesia e della musica: questa non è altro che una raccolta di tutti i toni, che si trovano nella natura, in un ordine misurato, che dalla scelta riceve un motivo, ed acquista uno spirito è l’armonia. (…)
Questo è quanto ho voluto dire della bellezza. Ella dunque è la perfezione formata e visibile della materia, siccome la perfezione assoluta è uno spirito invisibile. La perfezione della materia consiste nella sua conformità colle nostre idee, le quali consistono nella cognizione del suo destino. Una cosa è perfetta quando non ha che un idea del tutto conforme alla medesima. Le perfezioni sono distribuite nella natura come tanti offizi: quella cosa, che più è capace ad atta ad adempire il suo offizio, è nel suo genere la più perfetta; perciò anche il brutto diventa qualche volta bello per via del suo offizio. La cosa, che non ha che un motivo del tutto conforme alla sua materia, è di un rango maggiore di bellezza di quella che ha diversi motivi: quello che ha più spirito è più sublime di quello che ha più materia: lo spiritoso ha il potere di somministrare della sua perfezione al materiale; e questo lo può ricevere. Bisogna che il virtuoso che vuol fare qualche cosa bella si proponga di andar gradatamente dalla materia in su, di non far niente senza ragione, niente di superfluo, e niente che sia morto, o senza espressione; poichè questo guasta ogni cosa dove entra: il suo spirito deve cercare di dar la perfezoine alla materia per mezzo della scelta: lo spirito è la ragione del pittore: questa ragione deve avere l’impero su la materia; e la sua diligenza principale deve essere di determinare i motivi delle cose, e di segnalare in una intiera opera un motivo principale, acciò vi apparisca un motivo solo, il quale sia distribuito sino nella minima parte della materia. Conviene che scelga il più atto della natura per rendere chiaro ed intelleggibile il suo pensiero a chi lo vede. Come la natura ha distribuito le sue perfezioni per gradi, così deve fare anche il pittore con dare a ciascuna cosa un significato, ossia una espressione diversa; ma tutte dirette verso il significato principale: allora lo spettatore distinguerà in ciascuna cosa l’idea, ed in tutte insieme il motivo dell’opera, che loderà come perfetta, quando la qualità della materia di ciascuna cosa sarà conforme alla sua idea: allora l’anima sua sarà commossa dalla bellezza, che apparisce in tutte le sue parti; poichè avendo ciascuna parte il suo motivo e spirito, tutta l’opera ne sarà piena, e per questo piacerà, ed avrà il più alto grado della perfezione.
Come il creatore della natura ha posta una perfezione in ogni cosa, e ci fa apparir tutta la natura bella, ammirabile e degna di lui; così deve anche il pittore mettere e lasciare in ciascuna espressione, in ciascuna pennellata un contrassegno del suo spirito e del suo sapere, acciò l’opera sua sia sempre e da tutti stimata degna di un’anima ragionevole.
Ripreso  dal  sito  Arts Life – Redazione